Controstoria del medioevo II incontro: La rivoluzione passiva di Tommaso d’Aquino

Mercoledì 11 settembre, dalle ore 18 alle 20,15, seconda lezione del corso di storia e filosofia: Controstoria del medioevo, introdotto dal prof. Renato Caputo per l’Università popolare Antonio Gramsci. Nell’incontro (in diretta in videoconferenza al link: https://meet.google.com/xsg-rmee-wjn, in differita https://www.youtube.com/c/Universit%C3%A0Gramsci) si affronterà, in un’ottica marxista, la rivoluzione passiva di Tommaso d’Aquino.


Controstoria del medioevo II incontro: La rivoluzione passiva di Tommaso d’Aquino

Mercoledì 11 settembre, dalle ore 18, avrà luogo il secondo incontro del corso di storia e filosofia “Controstoria del medioevo in un’ottica marxista” introdotto dal prof. Renato Caputo per l'Università popolare A. Gramsci. Per una introduzione al corso in cui si chiariscono le motivazioni che hanno portato alla scelta del tema rinvio all’articolo: Le ragioni di una controstoria del medioevo. Di seguito potete leggere una versione sintetica dei temi che saranno affrontati e discussi nel secondo incontro, al quale si potrà partecipare in diretta in videoconferenza al link: https://meet.google.com/xsg-rmee-wjn. Il video del corso sarà disponibile nei giorni successivi sul canale youtube dell’Università popolare Antonio Gramsci.

Rivoluzione passiva e tomismo

Tommaso d’Aquino, a partire dalle indicazioni di Alberto Magno, costruisce un sistema concettuale le cui idee danno alla Chiesa del XIII secolo (sebbene questa impiegherà molto tempo per rendersene conto, oltre 50 anni dopo la morte di Tommaso) indicazioni quasi ottimali, ossia uno strumento molto “moderno” – in riferimento a quel periodo storico – per rimontare la china di un pericoloso discredito ideologico e politico, per riprendere il controllo sulle coscienze, sfilacciato dalle ripercussioni negative delle crociate e dalle mancate riforme ecclesiastiche. Gli intellettuali con la riscoperta di Aristotele abbandonavano la religione, borghesia e ceti popolari urbani – dinanzi a uomini di chiese interessati essenzialmente a potere, soldi e sesso – tendevano a simpatizzare per i movimenti pauperisti bollati come eretici dall’ideologia dominante. Gli ordini mendicanti si rivelavano una rivoluzione passiva che sbarrava la strada agli eretici. Per recuperare gli eretici intellettuali averroisti vi era bisogno della rivoluzione passiva di Tommaso che individuò una conciliazione avanzata fra le ragioni della filosofia e della scienza (aristoteliche) e la fede cristiana.

Dalla persecuzione alla canonizzazione, alla neoscolastica

Tommaso dai suoi contemporanei è considerato un audace innovatore ed è a lungo avversato da tradizionalisti e francescani e da una parte degli stessi domenicani rimasti fedeli ad Agostino e, quindi, al neoplatonismo. Alcune tesi di Tommaso legate all’aristotelismo sono condannate dalla chiesa, tanto che Tommaso è costretto a ritrattarle. La canonizzazione avviene solo nel 1325 e il tomismo diverrà l’ideologia del cattolicesimo solo grazie ai gesuiti, pasdaran della controriforma, tre secoli dopo.

Tommaso d’Aquino: una grande operazione di politica culturale

In meno di cinquant’anni di vita (1225-1274), Tommaso è stato un prodigio di attivismo. Contro la volontà della sua famiglia aristocratica entra diciottenne nell’ordine mendicante domenicano, poi è uditore di Alberto Magno a Parigi, quindi insegnante lui stesso (memorabili le dispute contro il clero secolare avverso agli ordini mendicanti), è, inoltre, organizzatore in Italia di scuole superiori per domenicani e, infine, funzionario pontificio incaricato a promuovere la riunificazione con la Chiesa greca. Nonostante questi molteplici impegni trova pure il tempo di redigere circa 60 trattati e opuscoli filosofici e teologici. Tra le opere più importanti ricordiamo: i commenti alle opere di Aristotele (che non rendevano più indispensabili quelli di Averroè) e l’opera filosofica più importante: la Summa contra Gentiles documento insigne del metodo scolastico; lo scritto teologico più influente è la Summa Theologiae, rimasta incompiuta, che diverrà la base dell’insegnamento ecclesiastico cattolico; occorre, infine, ricordare gli scritti dedicati ad argomenti specifici quali l’opuscolo Sull’unità dell’intelletto contro gli averroisti (centrale nello scontro contro l’averroismo che faceva sempre più proseliti fra gli intellettuali che da cristiani tendevano, di fatto, a divenire agnostici) e L’ente e l’essenza.

Fede e ragione

Tommaso distingue rigorosamente i due campi, convinto che solo facendo coesistere il sapere profano con le dottrine da accettare per fede, anzi integrandolo in esse, la chiesa avrebbe potuto conservare il primato di istituzione spirituale e temporale. Affermare che i principi naturali della ragione non sono in contrasto con la verità di fede aveva per Tommaso un’importanza tattica immediata: i “non credenti”, gli infedeli non avrebbero accettato un discorso che subordina la validità delle conoscenze umane direttamente alla rivelazione divina testimoniata dall’autorità della Bibbia, ma Tommaso nella sua grande operazione di politica cultuale proprio costoro voleva recuperare, quindi utilizza soprattutto questo argomento: fra il campo della fede e la sfera dove il filosofo esercita il suo intelletto naturale non c’è contraddizione in via di principio, anzi esiste una sostanziale concordanza. Insomma mentre il filosofo parte dalle creature per poi giungere alla conoscenza di Dio (dell’assoluto), il credente considera prima Dio e poi le creature.

La critica alla mistica francescana

Questa rivalutazione del sapere profano va di pari passo con la critica dell’illuminazione divina propria dei francescani: per Tommaso le cause intermedie devono essere indagate da una scrupolosa attività intellettuale e questo passaggio non si può saltare in favore di un’illuminazione totale e originaria che spieghi tutto. Il richiamo alla fede diventerebbe, come diceva Alberto Magno con cui Tommaso è in sintonia: “il rifugio di chi vuole sfuggire alle difficoltà” razionali che non è in grado di rivolvere.

Le cinque vie

Si inserisce in questo quadro la convinzione di Tommaso che, prima di scomodare il lume sovrannaturale della rivelazione, è sufficiente il lume naturale della ragione a dimostrare l’esistenza di dio. La Summa theologiae elenca le 5 vie della dimostrazione razionale della divinità, abborrita dai religiosi ortodossi. Dio (l’assoluto) è primo nell’ordine dell’essere, ma non nella conoscenza, che comincia dai sensi (contro la prova ontologica) secondo l’impostazione scientifica aristotelica. 1) Prova cosmologica (ex motu) da Aristotele: Dio è il primo motore immobile, secondo una concezione della divinità quanto mai aliena da quella tradizionale cristiana. 2) Prova causale (ex causa) da Avicenna: dio è causa prima incausata, secondo la visione del mondo scientifica in cui domina la necessità del nesso causa effetto. 3) Dal rapporto fra il possibile e il necessario (ex possibili et necessario) da Avicenna: Dio è l’ente assolutamente necessario, ancora secondo l’impostazione scientifica per cui il necessario è decisamente superiore al possibile. 4) Gradi di perfezione (ex gradu), da Aristotele: dio è la perfezione somma, su una linea di fatto opposta al Dio persona. 5) Dalla finalità delle cose (ex fine): dio è l’intelligenza ordinatrice, da Averroè, per cui dio è la ragione assoluta.

La struttura logica comune alle prove è:

1) si parte da un dato di esperienza che non si spiega; 2) si applica il principio di causalità; 3) si esclude il regresso all’infinito; 4) si perviene a una realtà trascendente esplicativa. Si tratta, quindi, di un procedimento dimostrativo a posteriori, sostanzialmente il contrario dell’attitudine fideista predicata da conservatori e reazionari. 

I limiti delle prove di Tommaso

Mobilitare le energie razionali per applicarle al campo teologico ha sicuramente un significato culturale e storico positivo, si tratta di una promozione degli strumenti razionali di contro ai mistici che li denigravano. Arrivare invece alle conclusione universalizzante cui le cinque vie approdavano (“tutti riconoscono che il primo motore immobile è dio”) è un altro discorso: infatti ben difficilmente potevano le cinque vie recuperare i non credenti: a livello di ragione le cinque vie affermano che i fenomeni contingenti rinviano a qualcosa di necessario, ma perché mai questa causa prima dovrebbe identificarsi con il dio uno e trino del dogma cattolico e non piuttosto con una causa prima materiale quale indeterminata origine del cosmo come lo intendevano, sollecitati da influenze neoplatoniche, Avicenna e Averroè? Nelle prove dio è l’assoluto, quindi difficilmente riportabile alla concezione cristiana del dio persona.

L’importanza della separazione fra ambito razionale e ambito teologico

È vero che Tommaso da uomo della chiesa cattolica non poteva fare altrimenti; in ogni caso separare la filosofia dalla teologia, finché l’autonomia della ragione non intaccasse la fede, aveva il vantaggio di incorporare nella scolastica l’intera logica, gnoseologia, psicologia ed etica di Aristotele il che costituiva un significativo contributo al progresso e allo sviluppo della storia della filosofia, di contro alle forze della conservazione e della reazione che apparivano decisamente preponderanti.

La gnoseologia e gli universali

La teoria della conoscenza di Tommaso riprende quella di Aristotele, al tempo progressista. Dalla conoscenza sensibile, espressa nel principio che “nulla v’è nell’intelletto che precedentemente non sia stato nel senso”, procede la conoscenza intellettuale che consiste nell’astrarre le forme dalla materia individuale (trarre fuori l’universale dal particolare). Quindi, per Tommaso l’universale (la forma) non sussiste “fuori” delle singole cose, ma è reale solo in esse, di contro alle posizioni neoplatoniche dell’ideologia dominate. In ciò consiste il cosiddetto “realismo moderato” di Tommaso, secondo il quale l’universale è in re, come forma delle cose, e post rem, nell’intelletto; è invece ante rem solo nella mente divina, come principio o modello (idea) delle cose create. Come tutti i grandi intellettuali, Tommaso offre una soluzione dialettica all’intellettualistica contrapposizione fra realista e nominasti.

L’importanza del recupero di Aristotele come lume naturale della mente

Innegabile è la capacità di mediazione di Tommaso: Aristotele aveva acquisito la fama di filosofo per eccellenza soprattutto grazie agli arabi, Tommaso mobilitando un arsenale di sottigliezze dialettiche, recupera Aristotele presentandolo come guida che conduce il “lume naturale” della mente fino alla soglia della fede; non si capisce però perché il sapere razionale può solo avvicinarsi all’idea di dio (le 5 vie), ma non ne può penetrare l’essenza, comunque quest’avvicinamento all’opera di un filosofo pagano era pregno di conseguenze future. In primo luogo poiché la razionalità diveniva centrale al di fuori della fortezza che appariva inespugnabile della dogmatica cristiana.

Il rapporto fra ragione naturale e fede

Per la dottrina della trinità, dei sacramenti, del giudizio universale, del mondo che ha inizio per creazione, insomma per tutti i misteri della fede Tommaso rinvia alla rivelazione. La ragione naturale in questo caso si subordina alla fede (in caso contrario non si sfuggiva all’inquisizione), ma la può servire in tre modi: 1. dimostrando i preamboli della fede. Ad esempio l’esistenza di dio, verità la cui dimostrazione è necessaria alla fede. Ecco così rivendicata la necessità della razionalità per la stessa religione. 2. Chiarisce tramite analogie e similitudini i misteri della rivelazione. La razionalità è dunque indispensabile per rendere comprensibili i misteri della fede. 3. Combatte le argomentazioni contrarie alla fede, che vanno confutate e non immediatamente represse.

Il confronto con Averroè

Insieme all’eternità del mondo, Averroè aveva sviluppato una teoria del rapporto di corpo e anima secondo cui quest’ultima, connessa con il corpo, muore con esso, secondo la visione del mondo scientifica di Aristotele sovversiva rispetto alle credenze religiose. Averroè aveva inoltre svolto una teoria dell’intelletto a partire da Aristotele che, separato dall’anima, era unico per tutti gli uomini (il general intellect) indipendentemente dal loro essere cristiani, musulmani, ebrei. Il corollario era il rifiuto di discriminazioni fatte in base della confessione religiosa e un forte appello alla tolleranza, decisamente rivoluzionario per l’epoca.

Sull’unità dell’intelletto contro gli averroisti

Tommaso, di fronte a tali teorie al tempo sovversive, cerca invece di ancorare la teoria al dogma (anche per non farla divenire fuorilegge): mentre per Averroè (interprete fedele di Aristotele) l’intelletto attivo è divino, universale e separato dall’uomo e l’intelletto passivo è umano e può trasformarsi in attivo, unico per tutti e separato dall’anima, per Tommaso (interprete di Aristotele) l’intelletto attivo fa parte dell’anima ed è molteplice. L’intelletto passivo è umano, conosce grazie all’intelletto attivo (divino). È molteplice e individuale. Ci sono tanti intelletti quante sono le anime, in questo modo salva l’immortalità dell’anima. In tale polemica appare quantomai evidente la rivoluzione passiva di Tommaso.

L’immortalità dell’anima

Per quanto riguarda l’immortalità dell’anima invece: l’anima è secondo Aristotele l’atto, la forma del corpo. Ma così, seguendo Aristotele, rischia di morire con il corpo, ed è questa la conseguenza che trae Averroè da Aristotele. Per Tommaso invece l’anima possiede un suo essere proprio che riceve direttamente da dio, che la rende autonoma, incorporea e immortale in quanto pura forma. Dopo la separazione dal corpo rimane “individuale” per poi riunirsi al corpo il giorno della resurrezione, secondo l’irrazionale dogmatica cristiana.

Per la resurrezione della carne e contro la tolleranza

In effetti l’averroismo nega, oltre la sopravvivenza dell’anima, anche la resurrezione fisica dei corpi nel giudizio universale, destinati o ai tormenti dell’inferno o alle delizie del paradiso (credenza comune sia a cristiani che ai musulmani). Ma tale dottrina rappresentava per l’ideologia del feudalesimo un efficace strumento per frenare sovversioni contro l’ordine esistente: si tratta di una sorta di inquisizione contro i ribelli che continua anche dopo la morte, e questo Tommaso lo sapeva bene, infatti nello scritto citato denuncia il fatto che se all’uomo si toglie la parte immortale, non c’è più un luogo di premi e pene né alcuna differenza fra gli uomini. Da qui emerge il carattere sovversivo che aveva l’averroismo. Ora se queste teorie sovversive fossero state patrimonio solo di isolati uomini di studio il rischio sarebbe stato circoscritto, il problema è che queste concezioni di stampo averroista, che mettono capo a una sorta di panteismo (eternità del mondo, dio identificato con la materia universale, intelletto appannaggio della totalità degli uomini), si diffondono tra le sette ereticali e il pericolo reale veniva da queste, dal loro rifiuto della gerarchia, dalla loro visione comunitaria della chiesa, e dai fermenti di protesta antifeudale che con queste si intrecciano. In tal modo l’averroismo rischiava di divenire dominante sia fra gli intellettuali, che condizionano il modo di pensare dei lavoratori manuali, sia fra le stesse masse popolari potenzialmente rivoluzionarie. Pericolosa è anche l’idea averroista della tolleranza che doveva necessariamente apparire una pericolosa eresia a chi militava come Tommaso nell’ordine domenicano il cui compito istituzionale era divenuto, fra l’altro, quello di scovare e inquisire gli eretici, sovversivi dal punto di vista dell’ideologia dominante.

La politica

È vero: Tommaso difende la Chiesa come istituzione gerarchica sia spirituale che temporale e la sua prevalenza sulla feudalità laica, ma non ne è un difensore in senso incondizionato e assoluto, come lo erano gli intellettuali conservatori e reazionari. La sua concezione politica è tratta dal commento alla Politica di Aristotele e dal Trattato sul governo dei principi, il cui scopo è fornire all’uomo di governo precetti per la sua azione. Il contenuto è all’altezza dei tempi, si ispira a Luigi IX, detto il santo, morto nell’ultima crociata e che in Francia doma i riottosi feudatari e consolida il potere monarchico centrale dello Stato, che allora svolgeva una funzione progressiva dinanzi alla anarchia, anche se si trattava comunque di una forma di rivoluzione passiva. I tre temi che Tommaso sviluppa sono all’ordine del giorno nella sua epoca: 1) la subordinazione del potere dei re al superiore governo di dio (in corrispondenza alla prassi teocratica di Innocenzo III). Questa era certamente l’aspetto più conservatore, non a caso sarà quello che avrà maggiore successo negli anni successivi alla sua morte, a opera di Egidio Romano, ideologo di Bonifacio VIII, mentre gli aspetti più progressisti non verranno esplicitamente ripresi per paura dell’inquisizione; 2) la degenerazione del potere dei re in odiosa tirannide quando dimenticano la legge di dio, qui in qualche passo Tommaso sembra legittimare il diritto di resistenza al tiranno, ma è preminente l’idea della sopportazione paziente delle ingiuste offese (importante viste le inquietudine potenzialmente sovversive dell’epoca); 3) nell’apparato amministrativo dello Stato il re è causa prima che opera mediante cause prossime (Tommaso avverte la modernizzazione dell’apparato burocratico dello Stato, l’importanza che assumono i funzionari del re). Per cui, per quanto moderata, la posizione della filosofia politica di Tommaso è progressista per l’epoca.

L’etica

Il fine dell’uomo è secondo Tommaso la felicità; ogni uomo punta alla realizzazione di se stesso, ma esiste una gerarchia dei fini. Oltre alla felicità mondana esiste, per Tommaso, una superiore beatitudine soprannaturale raggiungibile (sia durante la vita che dopo la morte) solo attraverso la grazia divina, mediante la fede (non è l’esito della vita contemplativa come in Aristotele). Anche in questo caso porre come fine dell’uomo la felicità era rivoluzionario rispetto all’idea cristiana della vita sulla terra quale valle di lacrime e la conseguente serie di pratiche ascetiche volta a reprimere la propria natura stessa peccaminosa. D’altra parte, la rappresentazione di una superiore beatitudine per la quale era necessaria la fede nella Grazia era in linea con l’ideologia dominante e decisamente conservatrice anche rispetto alla posizione non rivoluzionaria aristotelica che pone quale fine più elevato una esistenza dedita principalmente allo studio e alla ricerca.

Tommaso non svaluta il corpo e non è fautore di una fuga dal mondo

Tuttavia la beatitudine cristiana non si oppone alla felicità naturale (non c’è in Tommaso la svalutazione del corpo e la fuga dal mondo). Quindi, al solito, Tommaso si contrappone ai conservatori e reazionari anche all’interno del proprio stesso ordine. La moralità naturale è raggiungibile dall’uomo con le sue forze (anche, secondo Tommaso, per chi non conosce dio). Si tratta di una posizione davvero rivoluzionaria per l’epoca al punto che persino Kant, in pieno illuminismo, non la condividerà, da una posizione, su questo punto, di fatto più arretrata.

06/09/2024 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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