Appena smaltita la sbornia da insediamento alla Casa Bianca, neanche il tempo di stoppare il primo ciak sulla pila in primo piano di ordini firmati in pompa magna dal neo eletto presidente Trump, che arriva la prima mazzata tra capo e collo alla megalomania a stelle strisce.
Il muro del protezionismo eretto per competere sul mercato globale inizia a sgretolarsi, e lo fa proprio nel punto dove si pensava fosse più resistente: quello dell’alta tecnologia. Deepseek, “l’intelligenza” artificiale cinese, con il suo ultimo aggiornamento batte quasi tutti i suoi competitor occidentali sotto molti aspetti: di risultato, di costo e di efficienza energetica. A farne le spese - paradossi del protezionismo! - sono state le principali aziende HI-tech americane. In particolare la più colpita, con un tonfo in borsa tra i più pesanti della storia, è stata l’americana NVIDIA, proprio l’azienda costretta dal governo americano a tenere i propri prodotti migliori -i chip- lontani dal mercato cinese.
Ringraziamo Andrea Capocci, firma d’eccellenza del giornalismo scientifico, con il suo aiuto vorremmo entrare un pò in questo groviglio dell’intelligenza artificiale dove s’intrecciano vari piani: da quello scientifico a quello politico e persino etico.
Le posizioni da lui espresse nel rispondere alle nostre domande sono di indubbio interesse rispetto al dibattito politico che simili questioni possono ingenerare: il collettivo politico la Città Futura, tuttavia, esprime un punto di vista differente che parte dal presupposto che l’intelligenza artificiale non potrà mai giungere ai livelli di quella naturale come pure ci pare utopistica la soluzione “redditista”, ancorché sia essa meritevole di attenzione.
Intanto vorrei partire dalla domanda fondamentale: cos’è e come funziona l’intelligenza artificiale?
Spiegarlo in poche parole è difficile. L’intelligenza artificiale imita il nostro cervello: riceve dati come stimolo, li elabora con una funzione matematica piuttosto complessa e sceglie la reazione più opportuna. Nel caso più conosciuto, come chat GPT e simili sistemi, i dati in ingresso sono un testo (la nostra domanda) e la funzione matematica sceglie come proseguirlo con una risposta. Poi ogni parola aggiunta diventa a sua volta uno stimolo e quella successiva la reazione corrispondente, e così via fino a comporre un testo anche molto lungo ed elaborato. Con lo stesso sistema si possono prevedere le mosse da fare in una partita a scacchi. Ciò che rende così efficace l’intelligenza artificiale è l’allenamento della funzione matematica che elabora i dati: oggi disponiamo di molti dati di allenamento – pensiamo a tutti i testi disponibili su Internet – e la funzione matematica si allena fino ad imitarli nel modo più accurato e indistinguibile possibile. Oppure può giocare milioni di partite di scacchi contro se stessa finché l’intelligenza artificiale non diventa più brava di un maestro internazionale.
Perché questa nuova piattaforma cinese ha creato così scompiglio sul mercato dell'alta tecnologia, in cosa differisce dalle più blasonate versioni americane?
L’efficacia della funzione matematica che sceglie la risposta dipende dalla sua complessità, cioè dal numero di processori a disposizione, e dalla quantità e dalla qualità dei dati con cui allenarla. I colossi statunitensi come openAI, Google o Meta hanno speso centinaia di milioni di dollari e usato centri di calcolo enormi per raggiungere i risultati che abbiamo imparato a conoscere tutti con chat GPT o Gemini. DeepSeek, a quanto racconta l’azienda produttrice, non ha potuto utilizzare i processori più efficaci perché non si possono importare in Cina dagli USA. E ha usato – sempre stando alle loro parole – molte meno risorse per addestrarla e raggiungere un’accuratezza simile. Si parla di un investimento di 6 milioni di euro, proprio nei giorni in cui l'amministrazione Trump ha annunciato un piano faraonico di cinquecento miliardi di dollari per sviluppare l’intelligenza artificiale. A qualcuno è venuto il dubbio che investire tutti quei soldi possa essere uno spreco.
In più quella di DeepSeek è una tecnologia open source, che chiunque può copiare gratuitamente e riutilizzare. Ciò permetterebbe anche di aggirare eventuali dazi ed embargo tra Usa e Cina. Per questo la finanza statunitense ha reagito in modo così negativo alle notizie su DeepSeek.
Alcuni esperti del settore ritengono sbagliato usare il termine intelligenza quando sarebbe meglio parlare di algoritmi di statistica avanzata. Tali algoritmi appaiono effettivamente come “intelligenti” e, in molti casi, soprattutto quando viene usata per inferire su fenomeni che si ripetono in modo massivo senza grandi variazioni, funziona molto bene, ma le regole di fondo sono essenzialmente irrazionali. Con questi algoritmi, il rischio di affermare che il sole sorge perchè il gallo canta è sempre dietro l’angolo, allora ti chiedo: qual è secondo te il confine da non varcare, il limite delle cose che ha senso fare con l’AI oltre il quale conviene non spingersi a meno che non si voglia accettare l’empirismo come paradigma assoluto?
Non ho una risposta chiara, perché credo che nessuno sappia se il nostro cervello funzioni in modo molto diverso, cioè riconoscendo le ripetizioni e usandole per prevedere il passato. Se l’intelligenza artificiale non fosse in grado di imitare la creatività e la logica del nostro cervello, non dovremmo preoccuparci molto perché il suo uso rimarrebbe limitato a compiti limitati ed esecutivi. Se invece, con le risorse computazionali necessarie, l’intelligenza artificiale si rivelasse versatile e adattabile quanto la nostra, allora dovremmo ragionare in termini politici e non bioetici. La politica cerca le forme di convivenza tra miliardi cervelli capaci di tutto, cercando di impedire che le cattive intenzioni di una danneggino le altre o, al contrario, privilegiando forme di dominio e gerarchia. Credo che i limiti da porre all’intelligenza artificiale debbano essere di ordine politico e non bioetico. Quindi non si tratta di rispettare comandamenti stilati da qualche filosofo della tecnologia, ma conflitti tra interessi sociali da comporre. Proprio come avviene già oggi.
Un altro spettro che si evoca in questo ambito è la perdita di milioni di posti di lavoro a causa dell’AI. Tu cosa pensi in proposito e cosa bisognerebbe fare eventualmente per arginare questo problema senza necessariamente scadere in banalizzazioni o facili posizioni “neo-luddiste”?
Lo sviluppo dell’economia dei servizi ai danni di agricoltura e manifattura dagli anni ‘80 ha sfumato la differenza tra lavoro e non lavoro per una fascia molto ampia della popolazione occidentale. A seconda delle scuole di pensiero si è parlato di post-fordismo, capitalismo cognitivo, bio-politica. Questa prospettiva ritiene inattuale fondare la retribuzione del lavoro su parametri come l’orario di lavoro o la forma contrattuale e, non a caso, ha promosso lo sviluppo di forme di reddito sganciate dalla prestazione lavorativa formale come il reddito di cittadinanza nelle varie declinazioni che esso ha assunto in Occidente. L’intelligenza artificiale fondata sui dati che forniamo in ogni momento con la nostra mera esistenza biologica porta all’estremo questa economia “estrattiva” e rende ancora più attuale lo sviluppo di forme di reddito sganciate dal lavoro. Va detto che da tanti punti di vista il mondo che si profila nel futuro non invita a lanciarsi in previsioni visionarie e futilmente nuoviste. Ma se ci aspettano guerre fredde e calde, competizioni globali per la sussistenza energetica, migrazioni di massa dovute ai cambiamenti climatici, anche per l’intelligenza artificiale (che richiede flussi liberi di informazioni e fonti energetiche facilmente disponibili) ci sarà poco futuro.
Veniamo agli aspetti più politici. Se la Cina sta imboccando sempre più la strada di divenire leader nel settore delle tecnologie, scalzando i precedenti primatisti, c’è modo di prevedere come tale situazione di guerra economica abbia ricadute sul piano politico globale, soprattutto nell’era Trump?
Come accennavo, è possibile che si vada verso una nuova Guerra Fredda in cui intorno alla Cina e agli Usa si coagulino due sistemi industriali paralleli e incomunicabili. Trump potrebbe dare un’accelerazione a questa tendenza ma non credo che i rapporti tra sistemi industriali e politici globali dipendano dalle mattane di un singolo leader. In effetti, la politica estera di Biden (su Cina e Medio Oriente) non è stata molto diversa da quella dell’amministrazione Trump che lo ha preceduto e di quella che l’ha seguito: è sintomo che tutta la politica statunitense, e non solo quella di destra, finora è stata disponibile ad assecondare le esigenze poste dal capitalismo Usa. Immagino che per un periodo abbastanza lungo il protezionismo tornerà a svolgere un ruolo economico importante.
Un’ultima curiosità. Ho finora creduto che attingere in maniera continua ed indiscriminata alle possibilità offerte dall’intelligenza artificiale anche laddove io sia effettivamente nelle condizioni, con un maggiore sforzo indubbiamente, di produrre da me il risultato di cui ho bisogno, possa alla fine rivelarsi controproducente. Un esempio: se ogni volta che ho necessità di comporre un testo chiedo all’AI di farlo al posto mio, e se tutti facciamo la stessa cosa in continuazione per un periodo prolungato di tempo, alla fine disimparo ad utilizzare le mie fonti e le mie doti per fare qualcosa che prima sapevo produrre e in qualche modo “atrofizzo” la mia capacità creativa. In tale maniera anche l’AI stessa diventerà più stupida perché lo è divenuto l’elemento umano da cui essa impara. Inoltre essa posta in mani sbagliate può divenire uno strumento ulteriore di controllo delle masse e diffusione di fake news magari in una dinamica di rapporto tra intelligenza artificiale e social network. Sono osservazioni che hanno un qualche tipo di fondamento a livello scientifico?
Lo sviluppo della AI prevede che almeno una classe ristretta di esperti rimanga in grado di allenarla e indirizzarla. È certo possibile che noi diventiamo tutti più “stupidi” in certi ambiti (le calcolatrici hanno già atrofizzato la capacità di svolgere operazioni matematiche semplici) ma l’intelligenza artificiale rimarrà tale. Il collegamento tra intelligenza artificiale, social network e disinformazione è già in atto, non è un rischio futuro. L’intelligenza artificiale è già in “mani sbagliate”: a dominarne gli sviluppi sono aziende come Microsoft (a cui openAI è commercialmente legata), Google e Amazon, cioè protagonisti assolutamente dominanti del mercato dell’informazione capaci di controllare i flussi di dati a scopo pubblicitario e di profilazione degli utenti. E non potrebbe essere altrimenti, perché senza costruire monopoli sui dati (di ogni tipo: da quelli informativi a quelli biometrici) non è possibile realizzare sistemi di intelligenza artificiale davvero potenti.
Ti ringraziamo molto della disponibilità e confidiamo in nuove collaborazioni in futuro.