Ci sono dei passaggi della storia che definiscono degli elementi di chiarezza poiché fanno emergere alla luce del sole contraddizioni economiche e politiche profonde che venivano soffocate sotto la coltre dell’ideologia e della propaganda di guerra. E’ questo il caso dei colloqui a Riad che si stanno tenendo tra gli Usa e la Russia su un ipotetico accordo di pace o un armistizio su cui le diplomazie di Usa e Russia stanno discutendo a Riad. Non possiamo sapere nel dettaglio come si definirà il conflitto in Ucraina né quali saranno gli accordi e le clausole con cui si concluderà la guerra. Un dato è certo: la Nato ha perso la guerra contro la Russia in virtù del fatto che gli ucraini non sono più in grado di fare da carne da macello per conto della Nato, degli Usa e dell’Europa. La scelta di Donald Trump di trattare con la Russia ha alla base due motivazioni:
1) il collasso dell’Ucraina potrebbe determinare un conflitto sociale fortissimo in Ucraina a causa delle scelte scellerate di Zelensky, dell’Europa e degli Usa
2) la politica ultraprotezionista e fascistoide della classe dirigente che sostiene Trump è costretta ad accelerare il conflitto con la Cina, in particolare nei settori più avanzati dello sviluppo tecnologico, in primis sull’intelligenza artificiale.
Il fatto che ha prodotto più scalpore nella diplomazia europea è che per volere della Russia e dell’amministrazione Trump gli stati europei non sono stati invitati alla conferenza di pace mostrando plasticamente al mondo intero e all’opinione pubblica europea la totale sconfitta diplomatica e militare delle classi dirigenti europee. Di questo punto, da convinti antiimperialisti quali siamo non possiamo che rallegrarcene. La reazione di queste classi dirigenti è stata disordinata, scomposta, rabbiosa ed inefficace, segno evidente della loro impotenza e dell’amarezza per il colpo inferto nell’immediato. Il vertice di Parigi convocato in fretta e furia da Macron ha manifestato al mondo l’immagine di un cane rabbioso che cerca di reagire in modo scomposto e disordinato al corso degli eventi. Interessante notare come, mentre si apre un negoziato per la pace in Ucraina, notizia di cui ogni uomo dotato di ragione e buon senso dovrebbe essere soddisfatto, i leader europei, oltre ad arrabbiarsi per non essere stati invitati, proponevano di inviare più armi, il Regno Unito, l’Estonia e la Polonia mettevano in campo l’ipotesi concreta di inviare subito dei contingenti ma non venivano seguiti dagli altri Stati. Il grosso dei media italiani, sospinti dalle dichiarazioni del Presidente della Repubblica che, riproponendo l’equazione tra Putin ed Hitler, invitava, neanche troppo subdolamente, a non fermare il conflitto, spingevano esplicitamente per un’accelerazione dei processi di riarmo in Europa come unica via d’uscita all’umiliazione subita. Come in un teatro dell’assurdo i protagonisti rimettevano in scena uno spettacolo tragico in cui le paure legittime e pienamente giustificate dell’opinione pubblica verso le prospettive inquietanti future che si apriranno con Trump vengono utilizzate psicologicamente per un rilancio in grande stile dell’economia di guerra, cioè per la preparazione di un conflitto con la Russia che viene solo rimandato nel tempo. Certo, dal punto di vista della ragione e del senso comune questa prospettiva appare in tutta la sua follia ed irrazionalità ma le dinamiche contradditorie dell’imperialismo in una fase di crisi e le classi dirigenti degli stati europei che ne sono espressione politica ed ideologica e che tentano di attuarle, non sono per nulla razionali ma riflettono nella loro coscienza la crisi economica che stiamo vivendo e per loro la crisi è sovrapproduzione di capitali a cui, se non ci sono più mezzi per uscirne l’unica cosa da fare è la guerra.
Solo se partiamo dai presupposti reali, dalle contraddizioni di fondo, possiamo capire il rapporto di cooperazione nella conflittualità tra il Governo di Trump e le classi dirigenti dei principali paesi europei. Spostare il centro del conflitto verso il pacifico richiede un relativo disimpegno di truppe e di mezzi in Ucraina ed un rallentamento di tensioni con la Russia che, come aveva cominciato a fare Berlusconi, Salvini, o come fa attualmente Orban, servono a rallentare ed indebolire i rapporti tra Cina e Russia e a riavvicinarla ai paesi europei. Se questo progetto riuscirà e come non lo possiamo sapere; dal nostro punto di vista non è per nulla auspicabile e, comunque, la differenza di prospettive su questo punto tra i membri e le forze politiche dell’Unione Europea è un’arma potentissima nelle mani di Trump nella concorrenza tra Usa e Paesi europei sui mercati internazionali. Stiamo facendo queste riflessioni non per fare geopolitica ma per capire il contesto in cui saremmo costretti a muoverci da domani. Le classi dominanti in Europa e i loro lacchè mediatici stanno già focalizzando lo scontro ideologico – sul quale vorrebbero concentrare l’opinione pubblica – sull’alternativa ideologica e culturale tra estrema destra razzista, sciovinista e trumpiana da una parte ed europeista, “moderata, occidentalista dall’altra. Il punto è che, rimanendo in un’ottica di subalternità culturale ed ideologica all’imperialismo l’opzione è sempre e comunque all’insegna della difesa del fortino occidentale rispetto ai popoli e ai paesi del terzo mondo.
Nel caso specifico dell’Italia, poi, l’alternativa che ci propone l’imperialismo di casa nostra è ancora più drammatica e palese: giungere ad un livello di servilismo totale nei confronti dell’amministrazione trumpiana rilanciando il sovranismo in chiave sciovinista e razzista (vedi Salvini, in parte Meloni e Vannacci) oppure collocarsi nel “campo largo” dei sostenitori dell’occidentalismo per cui l’occidente è il migliore dei mondi possibili mentre Trump e Putin sarebbero dei dittatori che, per difendere i loro imperi si accordano contro la “fallita Ue” che sognava di risolvere la propria crisi alimentando all’infinito la guerra per interposta ucraina. E’ evidente che bisogna rompere questa dicotomia, foriera di sciagure e di sacrifici inenarrabili per i settori popolari ma anche per la tenuta sociale del settore produttivo. Costruire una larga area di dissenso alle politiche belliciste è un compito importantissimo che va portato avanti con una politica estremamente complessa di radicalità ma anche di alleanze politiche e sociali. Sul terreno politico con chi – anche con delle ambiguità – non si riconosce nelle politiche occidentaliste o atlantiste portate avanti dalla classe dirigente italiana, cioè con tutte quelle forze, con quegli intellettuali che, partendo anche da posizioni diverse, non accettano la prospettiva di uscita dalla crisi attraverso il riarmo e la guerra. Non dare spazio politico né costruire alleanze con chi intende il sovranismo come una via d’uscita alla crisi in alleanza con il protezionismo dell’attuale classe dirigente americana. Tutto ciò porterebbe solo miseria economica (la politica di dazi sulla Cina non sarebbe sopportabile dal tessuto economico italiano oltreché foriera di razzismo e suprematismo); sostenere, quindi tutte quelle proteste- a partire dalle manifestazioni del 5 stelle – che rimettono al centro i problemi sociali criticando le scelte belliciste di Meloni e Draghi. Non condividiamo l’impostazione utopistica portata avanti dal 5 stelle sulle questioni internazionali e sociali (proprio perché mancante di un’analisi sull’imperialismo – ma approfondire il divario tra questa forza ed il PD su questo punto non può far altro che stimolare la mobilitazione e il dibattito pubblico. Sul piano delle mobilitazioni sociali, invece, contrastare con la maggiore energia possibile le politiche repressive ed ultra-conservatrici del Governo Meloni, lavorando anche con quei settori i cui dirigenti sono collegati con l’imperialismo europeo (penso a pezzi dell’Anpi o alla CGIL) ma la cui base viene sistematicamente attaccata dagli effetti delle politiche di crisi e che può riconoscerne concretamente le ragioni solo se si mobilita a partire dagli effetti ( la demolizione dei contratti di lavoro, il DDl 1660 e tutte le leggi sulla repressione, l’Autonomia Differenziata o il Presidenzialismo). Portare la lotta contro la guerra anche in questi settori – generalmente concentrati esclusivamente sugli effetti delle politiche di guerra e concentrati sul limitare i danni di questi stessi effetti – rappresenta il passaggio più difficile ed importante. Per farlo è necessario sviluppare un fronte il più possibile vasto contro l’imperialismo, di cui, in questo momento storico c’è una grande urgenza. Si tratta di costruirlo a partire da quelle classi sociali che più hanno subito, sulla loro pelle, gli effetti nefasti della guerra in Ucraina, in primis i lavoratori.