Al pari di quanto avviene nel resto d'Europa, gli sconvolgimenti determinati dall'approfondirsi della crisi del capitalismo stanno lasciando un segno profondo nel panorama politico francese. La campagna elettorale per le elezioni presidenziali del prossimo 23 aprile si sviluppa in un quadro profondamente influenzato dal collasso del Partito socialista al governo con Hollande, travolta da continui scandali e artefice delle misure di macelleria sociale che, nella primavera del 2016, hanno scatenato un ciclo di lotte operaie e popolari d'inusuale radicalità nel Vecchio Continente di questo primo scorcio di XXI secolo. Le difficoltà che attraversa la destra "di governo" di François Fillon, protagonista insieme al Partito socialista del regime di alternanza che ha dominato la Francia dal 1958 ad oggi, completa la crisi del blocco politico neoliberista legato all'Unione Europea e all'asse atlantico con gli Stati Uniti. L'emersione di Emmanuel Macron e del suo movimento En marche! altro non è che un tentativo di restituire smalto all'euro-liberismo e prolungare di un quinquennio lo sviluppo delle politiche di austerità pretese dal Capitale monopolistico e dalle sue istituzioni. All'allungarsi dell'ombra di una fascistizzazione del paese transalpino, incarnata dal Fronte Nazionale di Marine Le Pen in tumultuosa ascesa, fa riscontro l'approfondirsi del dibattito a sinistra sulla democratizzazione della società e sulla rottura con le istituzioni del blocco imperialista euro-americano: espressione di questo fenomeno, il consenso crescente raccolto dalla candidatura di Jean-Luc Mélenchon e dal suo movimento La France insoumise (letteralmente "non sottomessa").
Per approfondire radici e prospettive della situazione francese abbiamo intervistato Georges Gastaud, filosofo e segretario nazionale del Polo di rinascita comunista in Francia (PRCF). Il PRCF è un'organizzazione politica nata dal rifiuto di militanti, intellettuali e figure storiche provenienti dal Partito comunista francese di proseguire la propria militanza in un PCF giudicato ormai del tutto convertito al riformismo e all'europeismo, protagonista a più riprese di accordi di governo al ribasso con la socialdemocrazia che ne hanno compromesso la credibilità e dissolto il blocco sociale di riferimento, di fatto aprendo la strada all'involuzione reazionaria di cui la crescita del FN è una delle conseguenze.
Il PRCF ha accordato il proprio sostegno critico alla candidatura Mélenchon, senza per questo rinunciare a criticarne i limiti e a lavorare per una radicalizzazione del quadro politico che, passando per la rottura da sinistra con l'UE ("Frexit progressista") e per l'uscita unilaterale dalla NATO, ponga le condizioni per un salto qualitativo nella lotta per il socialismo.
[Domanda] Le elezioni presidenziali si avvicinano e il PRCF ha espresso il proprio appoggio critico alla candidatura di Jean-Luc Mélenchon. Quali sono le motivazioni della vostra scelta?
[Georges Gastaud] Mélenchon e il suo partito, il Partito di sinistra, negli ultimi anni non hanno smesso di allontanarsi verso sinistra dal Partito socialista neoliberista. Questo cambiamento è il risultato, allo stesso tempo, dell'esperienza - disastrosa! - che i militanti di sinistra hanno fatto della socialdemocrazia al potere e del lavoro di massa metodico dei militanti autenticamente comunisti a proposito della Frexit progressista (uscita da sinistra della Francia dall'UE, NdR), della guerra e della pace, dell'unità combattiva della bandiera rossa con la bandiera della Rivoluzione francese, ecc. Innanzitutto Mélenchon avanza coraggiosamente la proposta di una rottura unilaterale della Francia con la NATO, elemento vitale in un periodo in cui l'Alleanza Atlantica prepara una guerra d'aggressione contro la Russia. Inoltre Mélenchon dichiara: "l’UE, o la cambiamo o la lasciamo!"; egli propone un piano A, la rifondazione sociale dell'UE e, in caso di rifiuto da parte di Merkel e soci, un piano B: l'uscita unilaterale. In altri termini, apre un dibattito di massa sulla Frexit progressista, anche se non offre alla questione che solleva una risposta altrettanto chiara di quella che offriamo noi del PRCF. Nel cumulo di rovine che è oggi la sinistra francese, in un momento in cui il PCF ufficiale difende a spada tratta il sacrosanto principio della costruzione europea e della rovinosa moneta unica mentre il Fronte nazionale, lo Stato di polizia e l'euro-dissoluzione della nazione avanzano a passi da gigante, i veri comunisti non devono fare gli schizzinosi di fronte alla possibilità che infine una sinistra euro-critica possa forse superare i socialisti pro-Maastricht, mantenendo aperto uno spazio politico progressista indispensabile alle lotte sociali. E si tratta di uno spazio assai minacciato: in seguito alle grandi lotte operaie contro la Loi Travail, la direttiva europea che da voi si è tradotta nel Jobs Act e in Belgio nella Loi Peters, più di duemila sindacalisti di CGT e SUD sono attualmente sotto processo davanti ai tribunali...
[D.] Quali sono invece le criticità che riscontrate nel profilo politico e programmatico di Mélenchon?
[G.G.] Ovviamente Mélenchon non è comunista e ci sono poche possibilità che lo diventi; nel suo partito sopravvivono illusioni "altreuropeiste", come quella di un piano A di rinegoziazione dei trattati europei tra ventisette paesi! Inoltre la tendenza "insoumise" veicola ogni sorta d'illusioni pseudo-moderne sul movimentismo, lo spontaneismo, il rigetto del leninismo, il rifiuto di fare spazio a un vero partito comunista, l'idea che il cambiamento progressista debba interamente restare sul piano elettorale e legale, l'idea che la violenza rivoluzionaria sia obsoleta, come se il popolo e lui solo decidesse, e non la violentissima e reazionaria borghesia francese, che dispone del ripiego lepenista ed è pungolata da Berlino. Ma cosa devono fare dei veri comunisti a fronte di questo stato di cose? Rinchiudersi nel settarismo in attesa che la rivoluzione maturi da sola? Restaurare surrettiziamente la "unione della sinistra" con il Partito socialista neoliberista per salvare delle poltrone nelle istituzioni, prescindendo dalle basi programmatiche? Oppure lavorare alla rinascita di un vero partito comunista, cosa che implica un lavoro approfondito nei confronti degli operai e una "mano tesa" permanente ai comunisti esterni al PRCF - compresi ovviamente i membri ancora comunisti del PCF -, e alla costruzione di un largo Fronte antifascista, patriottico, progressista ed ecologico di cui la France insoumise di Mélenchon può essere un abbozzo? Ricostruire il partito comunista, sostenere il rinascente sindacalismo di classe, forgiare il Fronte popolare e patriottico destinato a isolare il grande capitale, a contrastare la destra dura (Fillon), la nuova destra neoliberista (Macron) e la "Francia in ordine" fascista di Le Pen, e rompere la camicia di forza euro-atlantica, sono tutte lotte differenti, ma per nulla in contraddizione tra loro. Il nostro lavoro di comunisti è di articolarle senza confonderle. È quello che ci hanno insegnato, in condizioni differenti, non solo Lenin, ma Thorez in Francia, Togliatti in Italia e Dimitrov quando definiva le condizioni di principio di un Fronte popolare antifascista, patriottico e pacifico al VII Congresso dell'Internazionale comunista.
[D.] Tra le ragioni fondanti del vostro sostegno, vi sono dunque le posizioni espresse da Mélenchon riguardo l'Unione Europea. Ritenete che tali prese di posizione siano sufficienti ad aprire un serio dibattito a sinistra sulla rottura con l'UE e l'euro, capace d'intercettare i sentimenti e le aspirazioni delle masse?
[G.G.] Quelle proposte portano per la prima volta su vasta scala (non dimentichiamo che nel 2012 Mélenchon ha ottenuto quattro milioni di voti) il dibattito sulla Frexit progressista. Tuttavia, come dicevo, la France insoumise è un movimento assai composito di settori piccolo-borghesi e le sue posizioni ne risentono in modo importante. Per il momento, la campagna di Mélenchon ci sembra ancora non sufficientemente centrata tanto contro UE e NATO e per la pace, quanto sulle condizioni di vita della classe operaia e del popolo. Secondo noi occorre sistematicamente evidenziare la connessione tra la "costruzione" europea, la guerra, la fascistizzazione, la distruzione delle libertà sindacali e soprattutto l'austerità salariale, lo smantellamento dei servizi pubblici, le delocalizzazioni industriali, l'impoverimento dei ceti popolari e medi. È in questo spirito che abbiamo pubblicamente interpellato Mélenchon, non per rilanciare da sinistra rispetto alle sue proposte ma per dirgli: se vuoi superare elettoralmente il Partito socialista di Hamon e i neoliberisti di Macron, il Renzi francese, e se vuoi anche sgonfiare il voto operaio a favore del Fronte "nazionale", bisogna privilegiare il riferimento al mondo del lavoro, aprire il grande dibattito sulla Frexit progressista permettendo una larga discussione tra coloro che credono ancora che si possa "cambiare l'UE" e quelli che, come noi, dimostrano che l'UE è una prigione dei popoli e che la sovranità nazionale non si negozia: essa si prende per avviare immediatamente, senza attendere chissà quale negoziato con la Merkel, le riforme progressiste che il nostro popolo non può più permettersi di attendere con calma.
[D.] In quale misura esistono già le condizioni per un'evoluzione del dibattito nella direzione per cui voi lavorate?
[G.G.] Evidentemente il gioco non lo gestisce solo Mélenchon: non si può ignorare il ruolo deleterio dei dirigenti del PCF che, mentre fingono di sostenere Mélenchon alle presidenziali, conducono un lavoro di fiaccamento nel paese chiedendo la fusione delle candidature Mélenchon e Hamon. Dimenticando giusto alcuni "dettagli": che Hamon è al 100% per la NATO, per il rafforzamento immediato dell'Europa sovranazionale, (con un "parlamento della zona euro"), per portare il budget militare al 2% del PIL, per la "difesa europea", ciò che significa consegnare a Berlino la chiave dell'arsenale nucleare francese. In breve "dimenticando" per sordide questioni di negoziazione di posti con il PS (in Francia non c'è il proporzionale, le elezioni parlamentari si fanno in due turni con dei negoziati tra i partiti) che sulla questione della NATO Mélenchon è nel campo della pace mentre Hamon e a fortiori Macron, Fillon e Le Pen sono nel campo della guerra. Una questione decisiva è quella dell'intervento unitario tra i lavoratori dei militanti autenticamente comunisti, compresi quelli che sono ancora membri del PCF ma che non seguono più la dirigenza di quel partito affiliato alla Sinistra Europea. Non spetta a Mélenchon, e in ogni caso non solo a lui di tornare a inquadrare correttamente le vere questioni. Non è lui a poter mettere in connessione Frexit progressista, classe operaia e lotta per il socialismo. Ciò spetta ai veri comunisti, uniti nell'azione nel comune rivolgersi al mondo del lavoro. Bisogna quindi evitare due tendenze ugualmente negative: la prima consistente nello "snobbare" Mélenchon dicendo "non è comunista, quindi non vado a votare"... lasciando così che la dirigenza del PCF favorisca in sordina il candidato del PS, e la seconda consistente nel sommarsi passivamente alla France insoumise e seguirla. Nel Fronte da costruire, bisogna in pari tempo unire forze sociali diverse e soprattutto assicurare l'intervento indipendente dei comunisti. Perché senza conquista del ruolo dirigente della classe operaia all'interno del Fronte Antifascista, Patriottico, Popolare ed Ecologico - che noi chiamiamo FRAPPE (in francese "attacco", "colpo", con connotazioni militari ma usato anche nella terminologia sindacale, NdR) - quest'ultimo non potrà né consolidarsi, né condurre a termine la Frexit, né mettere in connessione l'Europa delle lotte con la riconquista dell'indipendenza nazionale, né tantomeno inserirsi nei grandi scontri di classe che ne risulteranno per porre la questione decisiva: quella del socialismo.
[D.] Il rafforzamento del Fronte nazionale provoca allarme e interroga sulle conseguenze del crescere del senso comune reazionario in seno alle classi popolari francesi. Pensi che esista in Francia un pericolo fascista?
[G.G.] Da anni il PRCF, e prima di lui i suoi fondatori, denunciano la tendenza alla fascistizzazione prodotta da due fenomeni connessi: la restaurazione controrivoluzionaria del capitalismo in URSS e nell'Europa dell'Est e l'accelerazione della "costruzione europea" che ha permesso la rivincita dell'imperialismo tedesco, la ricolonizzazione e l'annessione di fatto degli ex paesi socialisti e la criminalizzazione dei partiti comunisti in ex-DDR, in Polonia, nei Paesi baltici, in Bulgaria, Repubblica ceca, ecc. A partite dagli anni '90 noi dicevamo che la criminalizzazione della Rivoluzione d'Ottobre e del paese di Stalingrado non avrebbe potuto che condurre a una riabilitazione rampante dei nostalgici del fascismo, allo scontro con la Russia, anche se postcomunista e, parlando della Francia, a rimettere in discussione le conquiste della Resistenza, ma anche della Rivoluzione francese e di quanto ne è seguito. Ora ci siamo arrivati e il FN è la parte emersa, l'ala in movimento del processo di fascistizzazione. Dimitrov spiegava già nel 1935 che il fascismo non arriva mai al potere senza da un lato la fascistizzazione della democrazia borghese e dall'altro senza uno scontro, a volte assai violento, con i partiti borghesi tradizionali, senza parlare della violenza anti-operaia. Oggi il FN dichiara che la Francia è "minacciata dalla guerra civile" a causa della "immigrazione" e, d'altra parte, si dichiara fautore della "Francia in ordine". Evidentemente la Francia non è ancora un paese fascista, esistono da noi forti tradizioni democratiche, ma le elezioni presidenziali - che avvengono in un clima deleterio, sullo sfondo di scandali di corruzione che scoppiano da tutte le parti e da cui il FN non è d'altra parte risparmiato - possono far fare al paese un salto qualitativo sulla via della fascistizzazione.
[D.] Qual è la natura dell'antifascismo praticato dal PRCF?
[G.G.] L'antifascismo del PRCF è in qualche modo genetico. Basta evocare il nome del nostro presidente, Léon Landini, figlio di un comunista e antifascista italiano, eroe deiFranchi tiratori e Partigiani della Mano d'opera Immigrata (i gruppi combattenti organizzati dal PCF che si battevano con i FTPF, i partigiani francesi), come quelli di molti alti veterani del nostro movimento. Ma soprattutto, noi non separiamo l'antifascismo dalla lotta contro l'euro-dissoluzione nazionale del nostro paese. Non bisogna cadere nella trappola di una union sacrée dietro al partito social-maastrichtiano, e meno che mai dietro Macron o il borghese reazionario Fillon, il Thatcher francese. Ben inteso, alla base occorre tendere la mano a tutti gli antifascisti sinceri, ma senza per questo legittimare la costruzione euro-atlantica che, distruggendo la Francia, le sue fabbriche, i suoi servizi pubblici, le sue tutele sociali, la sua scuola pubblica, le sue libertà democratiche e finanche la sua lingua nazionale vessata dalla terminologia inglese dei settori dominanti, promuove ogni giorno il FN strumentalizzandolo per obbligare il popolo a votare per dei politici che esso condanna, in nome di un antifascismo fatto di pura apparenza. In realtà, il PRCF chiama a rompere la tenaglia che schiaccia il nostro paese tra i falsi progressisti dell'euro-dissoluzione nazionale e gli aperti reazionari e finti patrioti del FN e della destra dura risucchiata nella sua scia.
[D.] Di che natura sono, in questa fase, i rapporti del FN con le classi dominanti e l'apparato statale francese?
[G.G.] Per il momento una parte importante del grande capitale diffida ancora del FN, la cui retorica "populista" implica una parte di demagogia sociale e di ostentata ostilità verso l'UE. Perché la parte decisiva dell'oligarchia, il MEDEF (Confindustria francese, NdR) e il CAC-40 (le principali imprese "francesi" quotate in Borsa) è completamente impegnato nella strategia di euro-dissoluzione che è stata messa nero su bianco nel programma del MEDEF intitolato "Bisogno d'aria", o come in altri tempi si sarebbe detto in modo più schietto, di "spazio vitale". Stati Uniti d'Europa, primato del globish sulla lingua nazionale, regionalizzazione alla tedesca della nostra repubblica giacobina una e indivisibile, "Unione transatlantica"; il grande padronato non dissimula nemmeno di essere pronto a liquidare lo Stato nazionale sorto nel 1789 per conquistarsi un posto al sole della globalizzazione euro-atlantica, per schiacciare la classe operaia, deindustrializzare il paese e farne una zona di logistica improduttiva e di parassitismo finanziario e turistico. Quindi se l'oligarchia può per il momento favorire Fillon o Macron, o al limite Hamon, ma assolutamente non Mélenchon, di certo non punterà immediatamente su Le Pen. Il voto le può però sfuggire di mano, come è avvenuto in occasione di quello del 2005 sulla costituzione europea. Ma soprattutto, il FN rimane l'ultima cartuccia per "mettere la Francia in ordine" semmai Fillon o Macron dovessero suscitare una rivolta di massa di cui le grandi lotte operaie della primavera 2016 sono state un'anticipazione. La classe operaia, la gioventù e il mondo del lavoro non hanno detto la loro ultima parola e non hanno dimenticato di certo le loro grandi tradizioni rivoluzionarie, e anche comuniste: è stato proprio in Francia, sulla scia della Rivoluzione giacobina, che il "nostro" grande Gracco Babeuf e il "vostro" Filippo Buonarroti hanno fondato l'antenato dei partiti comunisti, la Congiura degli Eguali. Nell'attesa, il FN tesse la sua tela nella polizia, sempre più brutale e razzista - i sondaggi parlano di una maggioranza di poliziotti che già vota FN - e nell'esercito. Per noi non si tratta di dire semplicemente, come degli anarchici, "abbasso l'esercito e gli sbirri", ma, tenendo presente il ruolo degli apparati dello Stato nella democrazia borghese in via di fascistizzazione, di inserirci nelle contraddizioni di un apparato di Stato che agisce in modo sempre più brutale mentre non cessa di rivendicare la libertà, eguaglianza e fratellanza repubblicane!
[D.] La crisi economica ha accelerato il processo di definizione di una nuova divisione del lavoro all'interno del blocco imperialista, le cui conseguenze in Italia si fanno sentire già da tempo con lo smantellamento del nostro apparato produttivo nell'ottica della retrocessione del nostro paese a potenza economica di secondo piano. Che posizione occupa la Francia in questa ridefinizione della gerarchia imperialista?
[G.G.] L'evoluzione dei nostri due paesi presenta più di un'analogia. Già Lenin aveva previsto, nel suo studio classico sull'imperialismo, che il capitalismo giunto allo stadio monopolistico si sarebbe tradotto in una distruzione dell'industria nei paesi del centro, tramite l'estorsione di un plusvalore massivo sui paesi di quello che lui chiamava l'Oriente e conseguentemente, tramite un'evoluzione delle economie centrali verso il parassitismo economico. Ci siamo arrivati. Parlando della Francia ci sono anche delle forti ragioni politiche per l'enorme sfascio industriale che abbiamo subito a partire dagli anni '70. Dopo l'immenso sciopero proletario del 1968, le borghesie tedesca e francese si sono suddivise i ruoli. La Germania capitalista, giudicata socialmente più calma, ha conservato l'essenziale della sua grande industria, mentre in Francia sono stati precipitosamente liquidati le miniere, la siderurgia, il tessile, dove la CGT e il PCF erano ben radicati, così come interi settori del bracciantato rosso. Contemporaneamente la Francia borghese sviluppava la finanza, il turismo di alta fascia, i trasporti e soprattutto un forte complesso militare-industriale trainato dall'arma atomica. Ma ben inteso, dal momento che è sempre il plusvalore estorto al lavoro produttivo salariato la fonte profonda della ricchezza, lo squilibrio tra Francia e Germania non ha cessato di accrescersi. Inoltre, sul piano geopolitico, una politica borghese di tipo gaullista è divenuta ben più difficile. Una simile politica era possibile quando il Generale De Gaulle poteva giocare sulla competizione sovietico-americana per far valere la Francia borghese come una sorta di arbitro internazionale che certamente restava nel campo anticomunista, ma che poteva usare le sue relazioni con l'URSS o con la Cina per bilanciare l'influenza statunitense. Con il crollo dell'URSS e la riunificazione tedesca, la servitù volontaria dell'oligarchia francese nei riguardi ora di Berlino, ora di Washington, ora di entrambe e la sua subordinazione alla costruzione di un Impero euro-atlantico, non hanno fatto che aggravarsi. Ciò s'inscriveva d'altra parte in una assai antica tendenza delle classi privilegiate francesi a subordinarsi a dei potenti "protettori" stranieri per difendere i loro vantaggi e tenere il popolo sottomesso. Lo si è visto all'alba della costruzione nazionale francese, all'epoca di Giovanna d'Arco, quando la Chiesa cattolica vendette l'eroina popolare nazionale alla monarchia inglese, sotto la Rivoluzione francese quando le classi privilegiate dell'Ancien Régime passarono armi e bagagli con le armate della Coalizione antifrancese, sotto la Comune di Parigi, quando Thiers e Bismarck si associarono per schiacciare l'insurrezione patriottica e internazionalista degli operai parigini, negli anni '30 e '40 in cui la borghesia ha fatto scientemente la scelta della disfatta davanti a Hitler per schiacciare gli operai francesi e liquidare il Partito comunista, la CGT e le conquiste del Fronte Popolare del 1936.
[D.] E dunque che posizione occupa la Francia nella ridefinizione in atto della gerarchia imperialista?
[G.G.] Sarebbe falso dedurre da quanto detto che l'imperialismo francese sia scomparso o che la Francia sia divenuta un paese dominato. Essa è piuttosto un paese vassallo volontario di imperialismi più potenti. È proprio l'imperialismo francese, nemico principale del popolo francese e della nazione, che si subordina a Berlino e Washington per ottenere come contropartita dei posti al sole per l'oligarchia francese. La quale nemmeno parla più la lingua nazionale, dal momento che gli amministratori delegati del CAC-40 vivono in maggioranza a New York... Dopo De Gaulle, la Francia era sullo stesso piano della Repubblica Federale di Germania, le due unite nella tristemente nota coppia franco-tedesca. Oggi la Francia potrebbe diventare la prima dei PIGS e non più la seconda della coppia dominante. Nondimeno, una parte della grande borghesia francese tenta di rifondare la coppia franco-tedesca sfruttando la Brexit e mettendo sul tavolo il suo ultimo vantaggio: l'arsenale nucleare francese e il seggio della Francia nel Consiglio di Sicurezza dell'ONU, i quali verrebbero messi a disposizione dell'UE...in cui la Germania non sarebbe più egemone! Con dei rischi enormi per la pace in Europa e senza dubbio, con un calcolo segreto avente come bersaglio le forze popolari francesi. In effetti, essendo state le forze militari classiche francesi largamente ridimensionate dall'euro-austerità, a lungo termine è impossibile restare forti militarmente e deboli economicamente: gli stessi USA cominciano a fare i conti a loro volta con questa contraddizione. In una prospettiva d'integrazione che si evolva in questa direzione, l'indipendentismo progressista di cui sono portatori i veri comunisti e in parte Mélenchon diventerebbe più difficile da attuare. Per dirla tutta la Frexit progressista, e più ancora l'avanzata verso il socialismo, diventerebbero de facto se non impossibili, quantomeno estremamente acrobatiche. In breve, il blocco maastrichtiano della Francia, ma anche dell'Europa delle lotte, che passa attraverso l'ultima distruzione del potenziale rivoluzionario francese, diverrebbe quasi irreversibile. Si tratta di un'impresa imperialista tremendamente reazionaria. Perché dopo aver distrutto l'URSS e il campo socialista, schiacciato la Grecia madre dei Lumi, la posta in gioco per l'imperialismo non è altra, in questa "reazione su tutta la linea", che chiudere il ciclo storico preparato dal Rinascimento italiano, aperto in grande dalla Rivoluzione francese e prolungatosi nel Risorgimento con la figura a un tempo italiana e francese - era nizzardo - di Garibaldi. Insomma, la posta in gioco di uno sfascio della Francia per euro-disintegrazione o peggio, il disonore che sarebbe per il nostro popolo e per la sua classe lavoratrice la fascio-lepenizzazione del paese, costituirebbero una nuova catastrofe per i rapporti di forza mondiali tra forze reazionarie e forze di progresso.
[D.] Nell'ultimo decennio abbiamo assistito a un nuovo protagonismo militare dell'imperialismo francese nell'ambito della NATO (Costa d'Avorio, Libia, Mali, Siria, ecc.): come interpreti questo dato?
[G.G.] È un classico: più una forza reazionaria è in declino e più diviene aggressiva. Pavida nei confronti dei forti, impietosa con i deboli. In realtà la Françafrique, cioè lo spazio neocoloniale francese, è in piena crisi. Lo spettro rosso di Sankara continua ad aggirarsi per l'Africa! Approfittando della Primavera araba, l'imperialismo francese ha tentato di contrattaccare in Libia e soprattutto in Siria. Ma nella nostra epoca, questa riconquista coloniale operata sotto la maschera dei diritti umani passa per una subordinazione profonda all'imperialismo americano. Da patrioti, noi diciamo che l'imperialismo francese non è soltanto nemico dei popoli africani e arabi, ma è anche il principale distruttore della nazione francese perché un popolo che ne distrugge altri non può che distruggere se stesso, soprattutto in questo periodo in cui tutta l'umanità è oggettivamente legata in solido nel bene come nel male. I comunisti francesi devono far rivivere le grandi tradizioni anticoloniali del Partito comunista francese, non solo per dovere internazionalista ma anche per una questione di onore e sopravvivenza della nazione.
[D.] Le lotte operaie della scorsa primavera hanno riproposto la Francia come "paese tradizionale della lotta di classe", ma l'assenza di una loro compiuta espressione politica a sinistra sembra comprimere le potenzialità della mobilitazione dei lavoratori. Come valutate il ruolo del PCF?
[G.G.] In Francia viviamo l'epoca delle contraffazioni. Il PCF sta al comunismo di Jacques Duclos come il PS sta al socialismo di Jean Jaurès e i "Républicains" (nuovo nome dell'UMP, il partito di Sarkozy e Fillon, NdR) al patriottismo gaullista. Per essere chiari, cos'ha ancora di comunista un partito che da più di quarant'anni (l'abbandono della dittatura del proletariato è avvenuto nel 1976), ha abbandonato in successione i suoi fondamenti marxisti-leninisti, salutato l'implosione del campo socialista come un grande "sconvolgimento democratico", supportato la costruzione europea imperialista proponendo di "riorientarla a sinistra", partecipato a due governi social-europeisti (sotto Mitterrand e poi sotto Jospin), e che oggi usa un doppio linguaggio fingendo di sostenere Mélenchon mentre ammicca al candidato del PS e propone una "unione" con un candidato vicino all'UE e alla NATO? Al fondo, se il FN oggi è così forte tra la classe lavoratrice, non è forse in larga misura perché è venuto meno il partito storico del proletariato, che ancora ieri combatteva l'UE, difendeva il "produrre in Francia", univa la bandiera rossa con quella nazionale, sosteneva il sindacalismo di classe e faceva della classe operaia un soggetto centrale della storia nazionale? Facendo proprio il tema social-europeista del "riorientamento progressista dell'Europa", difendendo l'euro, correndo di continuo per ragioni elettoraliste dietro al Partito "socialista" pro-Maastricht, abbandonando le sue cellule sui luoghi di lavoro, relegando nel museo il suo linguaggio marxista e finanche l'espressione "classe operaia", le dirigenze del PCF che si sono succedute hanno creato un enorme spazio per i temi nazionalisti e populisti del Fronte nazionale: quest'ultimo ha d'altra parte ripreso il nome dell'organizzazione unitaria di combattimento che il glorioso PCF clandestino aveva creato per battersi contro l'occupante tedesco e il regime collaborazionista di Vichy... La classe operaia però non è sparita e la scorsa primavera ha combattuto, a volte anche fisicamente, le forze della repressione e i loro provocatori, affermando il suo ruolo dirigente potenziale. Questo ha scatenato una campagna d'odio forsennata contro la CGT. Ben inteso, la classe operaia è stata indebolita dalle privatizzazioni e dalle delocalizzazioni industriali, ma ciò che più le manca è soprattutto un partito d'avanguardia e un orientamento sindacale di classe conseguente che permetta alla nostra classe di tornare ad essere il soggetto centrale della storia nazionale. È alla ricostruzione di questo partito comunista a partire dalle lotte, dall'unione dei comunisti, da una strategia di rottura da sinistra con l'UE che apra la via alla rivoluzione socialista che lavorano i comunisti del PRCF.
[D.] Cosa pensate si debba fare per salvaguardare il carattere conflittuale del movimento sindacale francese? Che ruolo gioca in questo contesto l'attuale direzione della CGT?
[G.G.] Da più di trent'anni, i militanti sindacali di classe appoggiati dai comunisti lottano instancabilmente contro la deriva dei dirigenti della CGT che, mentre si riempivano la bocca con l'indipendenza sindacale, seguivano la stessa evoluzione dei dirigenti del PCF. Così la CGT ha rinunciato ai riferimenti alla lotta di classe, alla Federazione sindacale mondiale e all'esproprio dei capitalisti per avvicinarsi al sindacato CFDT, che è poco a poco divenuto una cinghia di trasmissione diretta del padronato, e per affiliarsi alla disastrosa Confederazione europea dei sindacati, che è oggi un vero blocco imposto all'Europa delle lotte. Per esempio la CES non ha dato il minimo sostegno ai lavoratori francesi nella loro lotta della scorsa primavera contro la distruzione del Codice del lavoro, mentre la FSM inviava i suoi dirigenti a sfilare al nostro fianco. Tuttavia l'esperienza delle lotte, combinata con le spiegazioni pazienti dei militanti autenticamente comunisti e del Fronte sindacale di classe (fronte dei militanti sindacali su posizioni conflittuali sostenuto dal PRCF, NdR), ha permesso delle chiarificazioni. Nel 2015 e nel 2016, la CGT è stata attraversata da una crisi salutare che ha visto l'intervento critico di numerose basi sindacali rosse. L'ex segretario generale, Thierry Le Paon, che proseguiva la linea disfattista del "sindacalismo riunito" di Bernard Thibault, è stato scaricato dai lavoratori. Ciò ha reso possibile l'emersione di Philippe Martinez che ha onorevolmente svolto il suo ruolo alla testa delle lotte durante tutto il conflitto. Ma per il momento la CGT resta in mezzo al guado. È ancora affiliata alla CES e si guarda bene dall'affrontare l'intoccabile costruzione europea. Essa continua ad attendere la convergenza delle lotte e dei conflitti territoriali senza davvero perseguire una strategia di "tutti insieme contemporaneamente". In occasione delle elezioni nazionali essa non prende posizione contro la socialdemocrazia, malgrado questa abbia duramente represso i sindacalisti CGT. Insomma, bisogna accentuare lo scontro di classe e le spiegazioni dei militanti rossi per denunciare la fonte principale della deindustrializzazione e della privatizzazione generale: la costruzione dell'Impero europeo del capitale.
[D.] La vostra organizzazione nasce per ricostruire un partito comunista d'ispirazione marxista-leninista nella Francia di oggi. Come vi ponete rispetto all'eredità storica del PCF?
[G.G.] Noi rivendichiamo la grande eredità ricompresa tra il Congresso di Tours e la "mutazione" (politica di mutazione genetica in senso riformista perseguita dal PCF a partire dagli anni '90, NdR), compresi certi aspetti della lotta patriottica che ha condotto ancora il dirigente operaio Georges Marchais, malgrado le sue già numerose derive verso l'eurocomunismo. Il Congresso di Tours, dove il PCF si è separato dal PS in seguito alla Rivoluzione d'Ottobre: sotto nuove forme, un congresso del genere sarebbe assai necessario ai giorni nostri per riunire tutti i veri comunisti, ovunque essi militino - eccettuati i partiti trotzkisti - e contemporaneamente separarli sul piano dell'organizzazione dai dirigenti euro-riformisti del PCF. Tutto il periodo del Fronte popolare, della Resistenza antifascista, della Liberazione, delle grandi riforme promosse dai veri ministri comunisti del 1945/47, le lotte anticoloniali, appartengono alla nostra eredità. Ciò non significa che il PCF non abbia commesso alcun errore, ma globalmente esso è sempre rimasto dalla parte degli oppressi, dell'indipendenza nazionale, della democrazia e della pace. Insomma, noi mettiamo in pratica ciò che Lenin chiamava "assimilazione critica dell'eredità". Certamente come in ogni eredità, e questo vale anche per il nostro rapporto con i paesi socialisti e l'Internazionale comunista, ci sono attivi e passivi. Ma per passare al vaglio un'eredità - è una regola antropologica - bisogna innanzitutto assumerla, a differenza dei revisionisti di destra o di sinistra che rinnegano il loro passato e lo criticano da un punto di vista borghese o piccolo-borghese. Occorre dunque superare quella che Domenico Losurdo chiama "autofobia dei comunisti". Ma parlando del PCF e del PCI, i nostri due grandi partiti di riferimento che furono a un tempo patriottici e internazionalisti, bisogna anche superare radicalmente l'autofobia nazionale, sorella della xenofobia, che la grande borghesia e la social-eurocrazia vorrebbero instillare nelle nostre teste facendoci confondere il rigetto del nazionalismo imperialista col disprezzo autofobo per i nostri popoli, le nostre lingue, le nostre storie. Come si può fare la rivoluzione con il proprio popolo se lo si disprezza? Il "Manifesto del partito comunista", che si conclude con il vibrante e più che mai giusto "proletari di tutti i paesi, unitevi", non chiedeva forse ai differenti proletariati nazionali di "diventare la nazione"?
[D.] Quali risultati avete già raggiunto nel vostro lavoro di ricostruzione della soggettività comunista e quali sono i vostri obiettivi in questa fase?
[G.G.] Siamo riusciti a consolidare un'organizzazione ancora piccola ma molto coerente, combattiva, fraterna, che pubblica un mensile, Initiative communiste, una rivista teorica, Étincelles, dispone di un sito internet di successo (il decimo sito politico più visitato in Francia), di relazioni internazionali relativamente estese, di una ricerca non trascurabile sull'economia e il materialismo dialettico, di un lavoro costante e accanito contro la criminalizzazione del comunismo storico e delle rivoluzioni. Proponiamo una strategia innovativa che riprende il meglio dei principi del Fronte antifascista, popolare, patriottico caldeggiato da Dimitrov: un fronte oggi non più da farsi con i partiti socialdemocratici, totalmente asserviti all'UE, ma contro di loro e sulla base di una larga convergenza antimonopolista centrata sul mondo del lavoro. L'idea della Frexit progressista, che al momento della sua fondazione nel 2004 solo il PRCF sosteneva, progredisce largamente nella sinistra radicale e tra i comunisti, come abbiamo visto prima. Dobbiamo rendere ancora più evidente l'unità della Frexit progressista con la rivoluzione socialista, contrastando chi vuole una rottura borghese con l'UE e chi al contrario disdegna la lotta democratica contro l'UE perché esige il socialismo immediatamente o niente. La realtà è che non ci sarà nessuna Frexit se la classe operaia non se ne pone alla testa, mettendo in connessione indipendenza nazionale e progresso sociale. E se la Frexit si facesse sulle basi progressiste per le quali noi ci battiamo, gli scontri di classe nazionali, ma anche internazionali che ne risulterebbero, in considerazione del ruolo della Francia in Europa, porrebbero rapidamente la questione di chi comanda in Francia: la classe operaia e i suoi alleati o l'oligarchia e i suoi seguaci. In breve, esiste un legame dialettico tra la Frexit e il socialismo, al quale noi ci riferiamo come la politica delle "quattro uscite": dall'euro, dall'UE, dalla NATO e dal capitalismo.
[D.] Quali similitudini individui tra la situazione francese e quella italiana? Che spazi individui per una riflessione comune sul tema della ricostruzione del movimento comunista nei nostri paesi?
[G.G.] Per quanto ne so, i nostri due paesi subiscono offensive non identiche, ma analoghe. Euro-distruzione delle forze produttive industriali e agricole, negazione delle nostre lingue latine in nome del globish portato dai sostenitori del Patto transatlantico, (auto)distruzione del movimento operaio di classe da parte delle forze esterne ed interne, ecc. Ma oltre al fatto che le traiettorie storiche della Penisola e dello spazio gallico s'intrecciano da 2500 anni, i nostri due movimenti comunisti si sono spesso evoluti in parallelo; per il meglio, Gramsci e Cachin, Thorez e Togliatti, Duclos e Longo; per il peggio, con l'enorme deviazione a destra, antileninista, social-europeista e antisovietica dell'eurocomunismo. Apparentemente, da voi il PCI si è auto-dissolto senza posa mentre da noi i dirigenti del PCF non hanno ancora potuto arrivare a quel punto. Ma non è necessariamente più facile ricostruire de novo che subire la concorrenza di una contraffazione politica che continua a prevenire una rinascita e a screditare in incessanti commistioni con il PS il nome dei comunisti. In Francia, l'eredità teorica di Gramsci comincia a essere assimilata a ispira la nostra battaglia per ricostruire le condizioni di un'egemonia culturale di classe: quale comunista francese non conosce Bella Ciao e Bandiera rossa?! Come voi, noi cerchiamo d'individuare nella storia nazionale, non soltanto in quella del proletariato ma in quella di tutti i gruppi progressisti, ciò di cui nutrire la nostra resistenza. Riassumendo, la grande borghesia distrugge i nostri rispettivi paesi. Ne consegue che i lavoratori di Francia abbiano la missione storica di perpetuare la Francia come i lavoratori italiani devono perpetuare la nostra nazione sorella. Questo non allontana la prospettiva socialista e comunista, a maggior ragione dal momento che chiaramente le nostre nazioni non sono isolate nella spaventosa globalizzazione capitalista che trascinerà l'umanità verso il baratro, se non si produce una rinascita del Movimento comunista internazionale nel XXI secolo. In termini generali, Fidel Castro riassumeva mirabilmente la problematica contemporaneamente nazionale e internazionale attraverso due slogan che concludevano i suoi discorsi a partire dal 1989, a partire dalla caduta imminente dell'URSS che egli aveva anticipato: "patria o morte, socialismo o morte!". Perché da un lato la rivoluzione proletaria, portatrice di larghe alleanze anti-oligarchiche, deve assumere la continuità, oppure la rinascita delle nazioni erose dall'imperialismo. E poiché l'UE è una prigione, perché non evaderne a gruppi? In prospettiva, però, il socialismo-comunismo è la sola risorsa per l'umanità, ma anche per la vita sulla Terra, tanto la generalizzazione delle guerre imperialiste, la fascistizzazione politica e la devastazione dell'ambiente generata dalla corsa alla massimizzazione del profitto minano le basi materiali, culturali e morali dell'esistenza e della dignità umane.