Inflazione da imperialismo

Non potendo gli Stati Uniti e le altre potenze imperialiste competere con la Cina su un piano paritario, di libero mercato, hanno proprio loro tradito le politiche liberali e liberiste, imposte fino a quando gli facevano comodo con ogni mezzo necessario, per ripiegare su posizioni protezioniste tipiche della tradizione fascista.


Inflazione da imperialismo

Come è noto l’aristocrazia operaia ha avuto due nefasti effetti di fondamentale importanza: sbarrare durevolmente la strada alla rivoluzione in occidente e consentire un consenso di massa, nei paesi a capitalismo avanzato, alle politiche imperialiste. Tali politiche hanno garantito al proletariato e alla piccola borghesia dei paesi imperialisti delle condizioni di vita indubbiamente superiori a quelle dei loro omologhi nei paesi sotto attacco imperialista e ha tolto alla classe che non aveva altro da perdere che le sue catene la sua potenzialità rivoluzionaria. In tal modo, le forze della sinistra rivoluzionaria hanno avuto e ancora oggi hanno scarsa capacità di incidere, come del resto le forze antimperialiste nei paesi a capitalismo avanzato. Perciò è essenziale per le forze antimperialiste e rivoluzionarie far emergere le strette connessioni fra la politica estera imperialista e il peggioramento delle condizioni di vita delle classi subalterne e, persino, della piccola borghesia e del ceto medio. Come è noto un po’ ovunque, ma in modo particolare nei paesi a capitalismo avanzato e, in primis, in Italia da diversi mesi l’inflazione sta facendo perdere potere d’acquisto a chi vive di un reddito fisso, proletari, ceti medi e pensionati, colpendo i risparmi di una vita della piccola borghesia.

I diretti colpevoli di tale espropriazione delle classi subalterne da parte dei ceti sociali dominanti sono naturalmente gli speculatori e il capitale finanziario. D’altra parte, entrambi questi fattori erano presenti anche prima che iniziasse l’inflazione e nonostante ciò per diversi anni, almeno i paesi a capitalismo avanzato, avevano avuto un’inflazione molto bassa. Ci devono essere, dunque, dei motivi più profondi, delle cause meno immediate che stanno favorendo questo inusitato arricchimento dei più ricchi ai danni dei meno ricchi. Con l’inflazione i primi possono, infatti, alzare i prezzi, anzi sfruttano l’inflazione per alzarli anche al di sopra di quanto rischierebbero di perdere, cosa impossibile per chi vive di reddito fisso. Inoltre, l’inflazione colpisce sempre di più i beni di prima necessità, che costituiscono la gran parte della spesa dei più deboli, mentre colpisce molto meno i beni di lusso, destinati principalmente ai più ricchi.

Queste cause meno evidenti, ma determinanti, non possono essere legate principalmente a questioni di politica interna dei diversi paesi, perché, sebbene in misura diversa, l’inflazione colpisce la maggioranza dei paesi. Il fondamento dell’inflazione va, dunque, ricercato principalmente in alcune scellerate scelte di politica estera. Ora, come è noto, il primo e più significativo aumento dell’inflazione, che a cascata ha prodotto rialzi in tutti settori, riguarda le principali fonti energetiche, come petrolio e gas. Si tratta di un settore fondamentale, in quanto il suo aumento non può che incidere, praticamente, su tutti gli altri settori. La quasi totalità delle merci prodotte e delle merci vendute al mercato per essere prodotte e vendute consumano, principalmente, queste fonti energetiche.

È evidente che la causa scatenante è stata l’embargo alla Federazione russa, che ha comportato un aumento dell’inflazione significativo in quasi ogni paese che ne è stato coinvolto. Tale embargo ha colpito in maniera particolarmente consistente l’Unione Europea e, in particolare, la sua locomotiva tedesca e, a cascata, tutti i sui subfornitori, a partire dall’Italia, che ha dovuto rinunciare alle fonti energetiche a prezzi contenuti garantite per anni dalla Russia.

Anche la ricerca di altri paesi da cui importare petrolio e gas è stata gravemente compromessa dalla politica di embargo imposta a molti produttori dai paesi della Nato e, in primo luogo, dagli Stati uniti. Altri due tra i maggiori produttori mondiali di tali decisive risorse subiscono da anni uno spaventoso embargo, che in diversi casi diviene un vero e proprio blocco economico volto a punire le loro posizioni antimperialiste. Come se non bastasse sempre i paesi imperialisti hanno devastato per anni altri grandi produttori di risorse energetiche come la Libia, l’Iraq, mentre altri grandi produttori come l’Algeria sono stati sistematicamente sabotati.

Queste politiche hanno favorito gli Stati Uniti, i quali sono divenuti esportatori, in quanto i loro prodotti energetici, prima invendibili a causa dei costi troppo elevati, sono ora richiesti in particolare dai paesi dell’Unione Europea, costretti in un modo o nell’altro a rinunciare ad acquistare da altri produttori. A ciò ha contribuito e continuerà a contribuire a lungo in futuro il sabotaggio del gasdotto Nord Stream che consentiva alla Germania e, di conseguenza, a diverse economie UE a essa strettamente connesse, di rifornirsi di risorse energetiche russe a buon mercato. Peraltro l’attentato terroristico – di cui l’ideologia dominante ha provato a incolpare la Russia, nonostante si tratti del paese che ne ha subito i maggiori danni – è sempre più attribuito, persino dagli apparati di sicurezza tedeschi, al governo ucraino, con complicità più o meno vaste in Polonia da dove l’attacco è partito. Risultato di tutto ciò: la recessione della locomotiva tedesca e la più generale crisi dell’intera Unione Europea anch’essa prossima alla recessione, mentre al contrario gli Stati Uniti, anche se non di molto, hanno continuato a crescere.

D’altra parte anche paesi che, come gli Stati Uniti hanno finito per avere giovamenti da queste politiche distruttive imperialiste – visto che i costi delle loro imprese sono divenuti più bassi e hanno battuto la concorrenza delle imprese dell’Unione Europea costrette ad alzare i prezzi – hanno patito i costi dell’inflazione, anche se in misura minore. Ci deve essere, quindi, un’altra ragione fondamentale in grado di spiegare l’improvvisa esplosione dell’inflazione negli stessi paesi imperialisti. Tale seconda ragione è certamente da individuare nella politica protezionista e di progressivo embargo imposta in primo luogo dagli Stati Uniti, ma con la complicità di tutti gli altri stati imperialisti, e volta a colpire, in primis, la Repubblica Popolare Cinese. Non potendo gli Stati Uniti e le altre potenze imperialiste competere con la Cina su un piano paritario, di libero mercato, hanno proprio loro tradito le politiche liberali e liberiste, imposte fino a quando gli facevano comodo in tutto il mondo con ogni mezzo necessario, per ripiegare su posizioni protezioniste tipiche della tradizione fascista. Come noto la Cina è divenuta da tempo la fabbrica del mondo e da anni i paesi imperialisti riuscivano a consentire la riproduzione del proletariato, pur abbassando gli stipendi e tagliando lo stato sociale, importando merci a prezzi molto bassi della Cina, che peraltro riforniscono tutte le grandi multinazionali campioni di vendite nei paesi imperialisti, da Walmart, a Ikea, a Leroy Merlin etc. 

Occorre inoltre tener presente che l’imperialismo, nei paesi a capitalismo avanzato, comporta necessariamente la monopolizzazione dell’economia. Ciò consente alle grandi imprese, che dominano sempre più incontrastate i mercati nei paesi a capitalismo maturo, di imporre prezzi di monopolio o di fare cartello, alla faccia della concorrenza e del libero mercato, così centrali nell’ideologia liberale.

Anche le politiche monetarie portate avanti da Stati Uniti e Unione Europea sono di chiara matrice imperialista, dal punto di vista economico. Alzando il costo del denaro favoriscono i rentiers, il grande capitale finanziario e l’ulteriore concentrazione e centralizzazione dei capitali, dal momento che i più grandi e forti inglobano e sussumono i più deboli e, più in generale, le piccole e medie imprese. Tali politiche favoriscono principalmente il grande capitale bancario e, di conseguenza il prevalere di investimenti speculativi rispetto agli investimenti produttivi, e lo strozzinaggio, dal momento che crescono esponenzialmente gli interessi da pagare su mutui e prestiti. Tanto che persino il governo Meloni si è sentito in dovere di annunciare, senza realmente realizzare, una tassazione degli extraprofitti delle banche. Allucinante, dinanzi a questo scenario, il silenzio imbarazzato del Pd, la più plateale dimostrazione che tale partito non intende minimamente mettere in discussione la deriva neoliberista che caratterizza dalla sua nascita questa formazione politica.

Dinanzi a un tale attacco complessivo ai subalterni sia sul piano della politica interna che estera appaiono del tutto inconsistenti le politiche portate avanti dalle opposizioni maggioritarie in Italia, che vi hanno contrapposto rivendicazione come il salario minimo e il reddito si sopravvivenza, misure del tutto impotenti a far fronte all’inflazione e del tutto incapaci di far emergere i legami fra la lotta contro l’imperialismo e la lotta a favore dei ceti sociali subalterni. Senza contare che tali rivendicazioni, invece di ricompattare il proletariato, rischiano di essere d’aiuto solo per i più poveri, talvolta a discapito della grande maggioranza dei lavoratori salariati, favorendo inconsapevolmente una contrapposizione fra sfruttati.

Allo stesso modo, appaiono del tutto inadeguati i tentativi anche di forze della sinistra radicale di governare dei paesi a capitalismo avanzato nei quali, se non si mira a una transizione al socialismo, non si possono che portare avanti politiche imperialiste, come tutte le esperienze storiche continuano a comprovare. A tal proposito, vale la pena di ricordare quantomeno gli ultimi due significativi esempi della Spagna e del Portogallo in cui governi che hanno visto la partecipazione anche dalla grande maggioranza delle forze della sinistra radicale, non solo non hanno messo minimamente in discussione la politica imperialista dei propri paesi, ma sotto alcuni rilevanti punti di vista la hanno ulteriormente inasprita.

22/09/2023 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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