Belgio, crisi etnica o soltanto politica?

Il Belgio all’interno al quadro delle elezioni europee presenta una propria peculiare particolarità: la crisi etnica tra le comunità del Paese. Non è chiaro se le dimissioni del premier De Croo siano dovute alla crisi etnica o se abbiano radici di natura politica. Avanzano i marxisti del Partito del Lavoro del Belgio.


Belgio, crisi etnica o soltanto politica?

La Spitzenkandidatin Ursula von der Leyen il 18 luglio è quasi certo che verrà rieletta Presidente della Commissione europea. L’ipotesi più probabile è la riconferma con la maggioranza uscente che può contare su 400 europarlamentari sul totale di 720, ma c’è da tener conto che dopo le elezioni del 6 e 9 giugno il quadro politico in Europa è cambiato e le destre, quelle estremiste e sovraniste, hanno aumentato la loro presenza nel parlamento europeo anche se il partito polare europeo di Ursula, il Ppe, ha aumentato i seggi in parlamento. Il Ppe è un partito di Centro Destra, dal 1999 è il più grande nel parlamento europeo e nella Commissione europea, ed è anche il più ampio nel Consiglio d’Europa che non fa parte delle istituzioni dell’Ue, ma ha il compito di promuovere la democrazia e i diritti umani. Gli Stati membri del Consiglio d’Europa sono 46, di cui 27 dell’Ue, ma è poco presente nel dibattito politico europeo e di conseguenza non è molto seguito dai media. 

Il Ppe governa l’Europa con le sue politiche economiche e finanziarie, dichiaratamente conservatrici e liberali, nonché liberiste. Ha consensi elettorali molto alti e con queste elezioni ha 190 parlamentari: in Polonia, con la Ko ha ottenuto il 37,1% dei voti, in Croazia con la Hdz il 34,6%, in Spagna, con il Pp il 34,2%, in Slovenia con la Sds il 30,6% e in Germania con il Cdu-Csu il 30%, con le varie formazioni che si richiamano ideologicamente alla famiglia dei popolari sono rappresentati in Grecia con la Nea Demokratia con il 28,3%, in Lettonia con la Jv con il 25,1%, in Finlandia con la Kok con il 24,8%, in Cipro con la Disy con il 24,8%, in Estonia con la Isamaa con il 21,5%, in Lituania con la Ts-Lkd con il 21,3%, in Bulgaria con la Gerb-Sds con il 22,9%, e nel Lussemburgo con la Csv con il 22,9%.

In contrasto al Ppe nel parlamento europeo, sebbene a volte soltanto in modo discorsivo, ci sono i socialisti che si sono affermati in 4 Paesi: in Svezia con il Sv con il 24,9%, in Portogallo con il Ps con il 32,1%, nei Paesi Bassi con Laburisti e i Verdi che sono al 21,6% e in Malta con il 45,2%. I Liberali sono presenti nella Repubblica ceca con Ano, 26,1% e Slovacchia con il Ps con il  30,6%. I Verdi sono presenti anche in Danimarca con il partito Sf che ha ottenuto il 17,4% dei voti. 

Contro, il Ppe  ma dipende anche dalle Risoluzioni e Direttive da approvare ci sono i “non iscritti ai gruppi” con Viktor Orbán che si è riaffermato in Ungheria con Fidesz, al 44,6%, Romania con l'inedita alleanza tra il Pnl, appartenente ai Popolari, e il Psd socialista, con il 53% dei consensi. 

In Irlanda le previsioni erano che la sinistra del Sinn Fein (The Left) avrebbe avuto la maggioranza, ma non è andata così in quanto i candidati indipendenti e i gruppi minoritari di estrema destra hanno prevalso con il 23% dei voti ed hanno ora 4 europarlamentari, mentre per gli altri partiti, 3 sono gli europarlamentari del Ppe, 3 sono dei liberali di RE, 1 dei Verdi e 3 della sinistra di Left. 

Le destre sono all’opposizione: a volte i loro europarlamentari condividono alcune politiche, sopratutto liberiste, dei popolari, ma rilanciano in continuazione il loro sovranismo, basato sul razzismo, che  è fuori dalla storia, e sono negazionisti dei diritti umani come anche dei fenomeni migratori. Nonostante faccia parte di un gruppo politico all’opposizione, la nostra presidente del Consiglio dei ministri, Giorgia Meloni, che è di destra convinta e non come a volte si dice di centrodestra, voterà forse per Ursula von der Leyen, sebbene ciò non sia scontato

Le destre nel parlamento europeo sono così rappresentate: il gruppo di Identità e democrazia, ID, e il i Conservatori di Ecr. In Francia ID ha ottenuto il 32,4% dei voti a favore dei candidati lepenisti del Rassemblement National contro appena il 14, 5% dei candidati di Macron, che ha sciolto le Camere e convocato nuove elezioni per il 30 giugno e il 7 luglio; a ciò sembra essere conseguito un accordo “storico” tra  la destra, considerata moderata, dei Repubblicani (gollisti) e quella del Rassemblement National di Marine Le Pen. In Austria la destra è forte con la Fpoe al 25,7%, aderente sempre ad ID. Tuttavia potrebbero formarsi nuovi gruppi nel parlamento europeo, perché i Conservatori di Ecr, di cui  Giorgia Meloni è la Presidente, sono stati invitati da Orbán a costituire un gruppo unico. 

In Belgio c’è una situazione diversa, perché si è votato oltre che per le elezioni europee anche per quelle federali e regionali, e il voto, per quest’ultime, ha evidenziato alcune problematiche. Di conseguenza è nata una crisi politica che ha portato alle dimissioni del premier De Croo. Com’è noto in Belgio c’è una crisi etnica della quale l’aspetto linguistico è il più noto, che evidenzia disagi sociali diffusi soprattutto tra i lavoratori. Disagi che si sono evidenziati con le elezioni del 9 giugno, dalle quali la destra è stata premiata. Alle europee il PPE, il Gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani), ha eletto 4 europarlamentari, la S&D, il Gruppo dell'Alleanza progressista di Socialisti e Democratici, ha eletto 4 europarlamentari, la Renew Europe, il Gruppo Renew Europe, anche esso ne ha eletti 4, la ECR, il Gruppo dei Conservatori e Riformisti europei, ne ha eletti 3, la ID, il Gruppo Identità e Democrazia, ne ha eletti 3, The Left, il Verts/ALE, il Gruppo dei Verdi/Alleanza libera europea, ne ha eletti 2, Il gruppo della Sinistra al Parlamento europeo GUE/NGL, ne ha eletti 2. 

Le elezioni federali e regionali hanno provocato una crisi di governo perché i sovranisti del Vlaams Belang, Interesse fiammingo, vincendo con il 14,5% contro il 5,9% del primo ministro De Croo della “Open Vld liberali e democratici fiamminghi” hanno provocato le dimissioni di De Croo e il Re, Filippo del Belgio, le ha accettate. Il premier belga De Croo ha dichiarato le dimissioni per l’aumento dei consensi verso l’estrema destra e per il calo di consensi che ha ricevuto con il 5,9% alle elezioni federali e l’8,1% alle elezioni regionali, che rappresentano rispettivamente il 2,7% e il 5% in meno rispetto ai risultati elettorali del suo partito alle elezioni precedenti. Un risultato deludente, che pone anche un interrogativo: queste dimissioni possono essere connesse ad altre cause, come ad esempio la crisi etnica, caratteristica del Belgio, il cui tema della lingua rappresenta l’aspetto più noto? Una questione delicata che produce violente controversie politiche in funzione dell'uso delle lingue nell'area bilingue di Bruxelles, soprattutto nella sua periferia, e nelle zone di confine tra le Fiandre e la Vallonia. Dall’altra parte i liberali del MR hanno ricevuto il 29,6% dei voti nel Parlamento vallone, ovvero un incremento dell’ 8,2% rispetto alle elezioni del 2019. Si tenga conto che il governo De Croo era in carica dal primo ottobre 2020 ed era formato da una coalizione composta da Liberali, Riformisti, Cristiano-Democratici, Socialisti e Verdi. Quindi la coalizione governativa complessivamente con le elezioni del 9 giugno ha perso voti, ma i liberali sono più forti, diventando di fatto il partito più forte della coalizione governativa. Il fatto che il premier De Croo abbia dato le dimissioni senza consultare la propria coalizione, presentandole in tempo reale appena sono stati resi noti i risultati elettorali, fa presagire che non siano state decise dall’intera coalizione e siano state il frutto di una decisione personale. L’aumento dei voti alla destra pone un interrogativo se ciò sia il frutto del vento di destra che spira in tutto il continente, o se, invece, siano un segnale di un aggravamento della crisi etnica tra le comunità fiamminga e francofona, anche per via della sua gestione governativa?Il Belgio è uno stato federale a monarchia parlamentare ma è costituito, secondo la sua Costituzione, da tre comunità, la francofona, la fiamminga e la germanofona, con tre regioni, le Fiandre, la Vallonia e Bruxelles-Capitale. Le regioni, ad eccezione di Bruxelles-Capitale, sono ufficialmente monolingue, uno status che può essere allentato concedendo strutture a facilitazione linguistica. L’uso della lingua in Belgio è una questione molto delicata e viene gestita a livello istituzionale come una questione di Stato, tanto che il Re Filippo, il 10 aprile di quest’anno, ha pronunciato un discorso per la prima volta nel parlamento europeo parlando per metà in flammingo e l’altra metà in francese.  

I separatisti fiamminghi si sono riconfermati la prima forza con il 17% delle preferenze mentre l'estrema destra di Vlaams Belang si è fermata al 14%. Anche nella parte meridionale francofona del Paese, la Vallonia, gli elettori si sono spostati a destra con il Movimento riformista liberale francofono, Mr, che è diventato il principale partito con circa il 32% dei voti francofoni, a seguire i centristi di Les Engagés, che hanno strappato il monopolio del Partito socialista che ha guidato la regione per decenni. Non a sorpresa il “Partito del Lavoro del Belgio”, che è un partito marxista, ha ricevuto un ottimo consenso. Il Presidente Raoul Hedebouw lunedì 10 giugno ha tenuto una conferenza stampa ed ha postato un comunicato sul suo account Facebook:

“Questo pomeriggio abbiamo tenuto una conferenza stampa sui risultati delle nostre elezioni. Siamo chiaramente uno dei grandi vincitori di queste elezioni. Siamo il quarto partito a livello nazionale in termini di voti, passiamo da 12 a 15 eletti alla Camera e in totale passiamo da 566.000 a 750.000 voti in Belgio. A livello europeo passiamo a due deputati con Rudi Kennes, ex delegato sindacale e operaio della Opel Anversa. Saranno il megafono della classe operaia e della lotta sociale in Belgio e ovunque in Europa. Raddoppiamo anche i seggi nelle Fiandre da 4 a 9 eletti. Dal versante francofone si passa dal 14,6 al 15,4%, grazie in particolare ad una crescita a Bruxelles che ha raggiunto il 19%. Siamo riusciti anche ad avere l'ordine del giorno delle questioni politiche di sinistra. Molti vogliono una tassa sui milionari. O andare in pensione a 65 anni. Tutti gli altri partiti hanno dovuto sostenere questo durante la campagna elettorale. Finalmente siamo riusciti a mandare tanti lavoratori e giovani nei parlamenti. Con loro porteremo una boccata d'aria fresca in tutti i parlamenti”.

Il “Partito del Lavoro del Belgio” è molto seguito in Belgio ed è un riferimento importante per la sinistra in Europa e, anche se non è conosciuto, gode di apprezzamenti significativi tra i lavoratori, che si sono evidenziati con queste elezioni portando dei lavoratori nei parlamenti.

Purtroppo, il Belgio si è complessivamente posizionato a destra ed è un rebus per la nuova coalizione di governo. È noto che Filippo, Re del Belgio, mercoledì 12 giugno, ha incaricato Bart De Wever, presidente del partito nazionalista fiammingo Nuova Alleanza Fiamminga, N-VA, di coordinare i colloqui esplorativi per formare un nuovo governo belga e, al momento, non si sa niente dei programmi di questo nuovo governo, almeno in Rete non ci sono dichiarazioni sul programma. In Rete non si trovano neanche previsioni per la formazione del governo e questo è preoccupante, perché le trattative per la formazione del governo, di solito, in Belgio vanno per le lunghe. L’ultima volta sono serviti 16 mesi e 14 sessioni di consultazione, il record storico è stato nel 2010-2011, quando per formare un governo ci vollero 541 giorni, praticamente quasi un anno e mezzo. 

Quali saranno le scelte del Belgio in politica estera con il nuovo governo, soprattutto nei confronti delle guerre d’Ucraina e Gaza, è un tema importante. Sul conflitto Ucraina-Russia, Il Belgio aveva inizialmente mostrato una certa distanza per l’approvazione delle sanzioni economiche verso la Federazione Russa e per l’invio di armamenti all’Ucraina, provvedimenti che incontravano molte riserve per il timore di ritorsioni da parte della Russia e per l’opposizione di alcune fazioni parlamentari. C’era stato attendismo nelle prime fasi del conflitto, poi progressivamente tutto è stato parzialmente superato. Soltanto nelle scorse settimane l’ex premier belga, Alexander De Croo, aveva firmato un accordo di aiuto militare con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky dal valore di 977 milioni di euro. Di pari passo è seguito l’annuncio dell’invio entro la fine del 2024 di almeno 30 aerei da guerra di tipo F-16 a Kiev. Un cambio di passo notevole rispetto al passato, fino ad ora non intrapreso, in quanto non si voleva il loro utilizzo per colpire il territorio della Federazione Russa. De Croo anche per questo è stato punito dall’elettorato. Insieme all’Italia, alla Spagna, alla Slovacchia ed Ungheria, il Belgio è l’unico Paese occidentale a non consentire agli ucraini di colpire la Russia con le armi inviate. Sulla guerra in corso in Medio Oriente il Belgio, invece, è schierato nel campo dei paesi più ostili a Israele. La sua solidarietà dopo gli attacchi di Hamas del 7 ottobre è stata più formale che sostanziale, non a caso è svanita in fretta. Il governo De Croo ha spesso accusato Israele di commettere crimini di guerra nella Striscia di Gaza, inoltre, sembrava pronto anche a riconoscere l’esistenza di uno Stato palestinese, sulla linea diplomatica assunta da Spagna, Irlanda e Norvegia.

Il sistema politico del paese si fonda su una complessa struttura confederale, rafforzata dagli emendamenti costituzionali del 1993, proposti al fine di evitare la definitiva rottura tra la comunità fiamminga e quella vallona. Il governo federale è composto da 15 ministri, che compongono il Consiglio dei ministri, equamente divisi e ripartiti: sette francofoni, sette fiamminghi, più eventualmente il Primo Ministro che è considerato linguisticamente asessuato. Però, anche se c’è equilibrio istituzionale, si registrano ancora oggi consistenti residui di tensioni di natura politico-economica tra i due gruppi etnici, nonostante il federalismo belga si basi sul concetto dell’equipollenza delle norme, in pratica il governo unitario non ha alcun diritto di sovrastare o contraddire i decreti varati dalle regioni confederate. La Costituzione belga risale al 7 febbraio 1831, data dell'approvazione da parte del Congresso nazionale belga, ed esiste un Parlamento federale, suddiviso in due camere: la Camera dei rappresentanti e il Senato

Importante è guardare il Belgio dal punto di vista strettamente linguistico perché è diviso in tre “comunità riconosciute come istituzioni che hanno poteri nell'ambito dell'istruzione e dell'assistenza sociale, ovviamente limitati all'interno delle regioni di competenza”. La netta spaccatura tra fiamminghi, francofoni e germanofoni si rispecchia anche nelle formazioni politiche: non esistono partiti nazionali attivi su tutto il territorio affiancati da fazioni regionaliste o autonomiste, ma ognuna delle tre comunità ha partiti propri, però c'è da rilevare che il Partito del Lavoro è uno dei pochi partiti belgi che si presenta sia nella comunità fiamminga, sia in quella francofona.

22/06/2024 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Felice di Maro

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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