La necessità del razzismo per incrementare lo sfruttamento

Più il capitalismo entra in crisi è più ha necessità di fomentare il razzismo per dividere gli oppressi e fomentare la guerra fra poveri


La necessità del razzismo per incrementare lo sfruttamento Credits: https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/08/31/di-cosa-parliamo-quando-parliamo-di-razzismo/5412518/

Certamente è necessario evitare di naturalizzare il fenomeno del razzismo, dal momento che si rischia in tal modo di giustificarlo, normalizzarlo, eternizzarlo. D’altra parte non bisogna sottovalutare gli aspetti “preistorici” del fenomeno, ovvero una certa tendenza presente ai livelli meno evoluti dello sviluppo umano di temere il diverso, il radicalmente altro e di dotarsi di una identità collettiva proprio nella persecuzione del diverso, che non ha modo di integrarsi. Da questo punto di vista il razzismo potrebbe essere inteso in modo psicoanalitico freudiano come comoda occasione per scaricare all’esterno il proprio impulso primario di morte, che rischierebbe al contrario di trovare sfogo all’interno dello stesso soggetto. O altrimenti, sempre per restare nell’ambito freudiano, come risposta irrazionale al crescente disagio della civiltà.

D’altra parte, il razzismo ha svolto una funzione sociale ed economica decisiva sin nei tempi più antichi come più comoda giustificazione del passaggio da forme di comunismo primitivo, all’interno del proprio gruppo, alla possibilità di rendere schiavi i diversi, gli altri all’esterno, preparando il terreno per il passaggio al modo di produzione schiavistico.

Allo stesso modo debbono essere considerate, all’interno dello stesso nucleo familiare, le tendenze del patriarcato a condannare alla schiavitù domestica le donne e gli stessi figli. Anche in tal caso questa forma di dominio dipende da un mancato riconoscimento dell’altro come eguale e del conseguente imporsi di un rapporto diseguale, il rapporto servo-padrone. Quest’ultimo, fondato sul mancato riconoscimento dell’altro, trova spesso proprio in forme di razzismo la propria pseudo-giustificazione.

Abbiamo poi il razzismo che si esplicita nella volontà di potenza di una civiltà più avanzata rispetto a una più arretrata, anche in tal caso il mancato riconoscimento dell’umanità dell’altro ne consente più facilmente tanto lo sterminio, quanto l’assoggettamento nel rapporto servo-padrone.

Il richiamo a queste forme “primitive” di razzismo è importante per comprendere come ancora oggi le classi dominanti riescano a consolidare il proprio imperio mediante il classico principio del divide et impera, generalmente giustificato in termini razziali, che paradossalmente trova terreno fertile anche fra i subalterni privi di coscienza di classe e di una qualche forma di autonomia culturale rispetto all’egemonia dell’ideologia dominante.

Questa base ancestrale favorisce certamente le forme anche contemporanee di razzismo. D’altra parte per intendere queste ultime sono ben più importanti le forme più propriamente storiche di razzismo, legate alla progressiva divisione delle società primitive in classi con interessi necessariamente contrastanti. In tal caso, le classi dominanti tenderanno a giustificare e a eternizzare il loro dominio, che col tempo tenderà a divenire sempre più irrazionale, sfruttando coscientemente il razzismo “primitivo”, fondato essenzialmente sull’ignoranza, in quanto da tempo la scienza ha ampiamente dimostrato che non esistono razze umane. Questo spiega come lo storico razzismo classista sia comunque agevolato dal poter strumentalizzare il razzismo primitivo, sfruttando, per limitarci a un solo caso emblematico, il differente colore della pelle.

Così l’affermarsi delle società classiste è indissolubilmente connesso al divenire per sé del razzismo in sé ancestrale, ossia della volontà di sfruttare in modo cosciente l’ignoranza che favorisce la diffusione di concezioni antiscientifiche come quelle razziste. Così, ad esempio, come evidenziava già Giambattista Vico, nei tempi antichi le classi dirigenti giustificavano il loro dominio sociale sfruttando la concezione mitologico-religiosa, ampiamente diffusa fra i lavoratori manuali, sostenendo che i nobili avrebbero avuto origini divine, mentre le masse popolari animali. D’altra parte la stessa schiavitù domestica della donna si è ampiamente giovata di antichi pregiudizi per cui il sesso femminile sarebbe privo di ragione e/o di anima.

Storicamente anche le diverse religioni hanno e contribuiscono ancora oggi a favorire attitudini primitive razziste verso i fedeli di altre religioni o verso persone che sembrano non condividere le sedicenti “naturali” credenze religiose.

Detto ciò, non si può in nessun modo considerare in epoca moderna e contemporanea il razzismo come un mero residuo del passato, destinato necessariamente, con il tempo e lo sviluppo economico e culturale, a venir meno. Proprio perché per le società classiste – dal momento che il loro dominio tende, necessariamente, con il tempo a divenire sempre più irrazionale e il loro dominio sulle classi subalterne tende ad apparire sempre più difficilmente giustificabile sul piano etico e morale – il ricorso al razzismo diviene indispensabile a mantenere l’egemonia e a salvaguardare così rapporti di produzione sempre più palesemente anti sociali.

Altrimenti non sarebbe spiegabile come una delle forme più estreme e totalizzanti di razzismo si sia in epoca contemporanea affermata proprio in Germania, ovvero nel paese per diversi aspetti più avanzato a livello internazionale. Ancora più difficile sarebbe spiegare come un ricco razzista, proprio ostentando quest’ultimo aspetto, sia divenuto l’uomo oggi alla guida della maggiore potenza mondiale. Più in generale possiamo oggi vedere come in tutte le potenze a capitalismo avanzato – persino quelle che, fino a non molto tempo fa potevano apparire le più immuni, come l’Olanda o la Scandinavia – siano sempre più attraversate da tendenze razziste. Per altro non è nemmeno un caso che il pensiero unico dominante tenda a far considerare comunemente paesi che sono sorti fondandosi su concezioni e pratiche decisamente razziste, come l’Australia, il Canada o Israele, come parti integranti dei paesi guida della comunità internazionale, come esemplari liberal-democrazie nel pieno diritto di denunciare i mancati rispetti dei diritti umani nella maggioranza dei paesi “meno sviluppati”.

Del resto, come il razzismo è stato ampiamente sviluppato all’interno delle grandi religioni universalistiche, che sostengono che ogni uomo è figlio di dio – come il cristianesimo e l’islam – allo stesso modo esso conosce anche ai nostri giorni un eccezionale successo proprio nei paesi liberal-democratici, che pretendono di essere paladini della difesa dei diritti umani a livello internazionale.

Per altro, come fare sì che le masse degli sfruttati di un paese possano sentirsi dalla stessa parte dei propri sfruttatori e nemici dei membri più fragili della loro stessa classe sociale, che ne sarebbero – in teoria – i più “naturali” e decisivi alleati? Allo stesso modo quale migliore espediente per impedire alle masse degli sfruttati di non aver niente altro da perdere, in una rivoluzione socialista, che le loro catene, che dargli a intendere di essere dei privilegiati nei confronti dei lavoratori poveri stranieri o dei propri concittadini con la pelle scura, costantemente discriminati e brutalizzati dalle forze del (dis)ordine borghese.

In tal modo, le classi dirigenti e dominanti e la maggioranza degli intellettuali a loro organici o asserviti tendono artificialmente a riprodurre una situazione ispirata al mondo antico, dove la plebe pur essendo decisamente una classe subalterna non diveniva per sé una classe rivoluzionaria, in quanto aveva degli indubbi “privilegi” rispetto alla masse degli schiavi. Discorso analogo vale oggi per un proletario caucasico statunitense che, per quanto sempre più spesso ridotto nella miserabile condizione del working poor, si sente un privilegiato dinanzi ai latinos che – pur vivendo nella stessa situazione di sfruttamento, da parte della medesima classe padronale – rischiano a ogni momento di essere deportati o difronte agli afroamericani che rischiano costantemente di essere incarcerati o brutalizzati dagli appartati repressivi dello Stato liberal-democratico per i più futili e arbitrari motivi.

Senza contare che il più significativo tentativo storico di superare realmente il classismo e, di conseguenza, il razzismo sia stato sconfitto principalmente per la capacità delle classi dominanti di reclutare il proprio proletariato nazionale nelle politiche imperialiste – indispensabili alla sopravvivenza stessa del modo di produzione capitalistico in una fase di crisi strutturale e permanente assicurata dalla caduta tendenziale del tasso di profitto. In tal modo, le classi dominanti imperialiste hanno potuto creare, con i sovraprofitti estorti con ogni sorta di violenza ai popoli coloniali, quell’aristocrazia operaia necessariamente revisionista, che ha messo in minoranze facilmente neutralizzabili le avanguardie rivoluzionarie degli sfruttati. Per altro le avventure, aggressioni e guerre imperialiste – oltre che la repressione delle classi subalterne – hanno offerto in diversi casi le uniche alternative al lavoro nero, al servizio della malavita organizzata, alla necessità di emigrare o di precipitare nel sottoproletariato a causa della strutturale disoccupazione, fondamento dell’accumulazione indispensabile alla sopravvivenza stessa della società capitalista.

Per altro, a rendere così arduo per il proletariato dei paesi a capitalismo avanzato prendere coscienza della mortale trappola del razzismo, ordita dalla classe dominante, vi è il dato di fatto che il capitalismo sfrutta costantemente l’emigrazione, soprattutto se clandestina, per aumentare artificialmente l’esercito industriale di riserva, che non può che divenire un micidiale strumento di pressione sui lavoratori sfruttati. Questi ultimi, in effetti, se non sono in grado di costruire un movimento di lotta allo sfruttamento in grado di coinvolgere significativi settori dell’esercito industriale di riserva, non potranno che vedere i propri “diritti” conquistati e il proprio salario sociale diminuire progressivamente. Anzi, le stesse condizioni d’impiego diverranno, in assenza di una grande movimento di lotta per il socialismo, sempre più precarie. Anche i movimenti di lotta dei lavoratori salariati saranno sempre più indeboliti dalla presenza di un ampio esercito industriale di riserva ridotto alla fame dalla clandestinità cui è artatamente costretto, che lo costringerà a svolgere anche inconsapevolmente la funzione oggettiva di crumiro. Infine, le stesse organizzazioni sindacali e riformiste della classe degli sfruttati non saranno più in grado né di attutire le condizioni di sfruttamento dei lavoratori salariati e nemmeno di salvaguardare lo status quo: in quanto, in presenza di un ampio esercito industriale di riserva, costretto a essere disposto a tutto o quasi per poter sopravvivere, le organizzazioni sindacali non egemonizzare da un partito rivoluzionario e le forze riformiste divengono di fatto progressivamente impotenti.

Per altro il razzismo viene abilmente sfruttato dall’ideologia dominante, espressione della classe dominante, come strumento privilegiato di sfogo delle frustrazioni degli sfruttati autoctoni che non sono più in grado nemmeno di arginare il progressivo ampliamento dell’oppressione da parte dei ceti sociali dominanti. Con sindacati e partiti riformisti impotenti e con le organizzazioni rivoluzionarie divenute in larga parte scarsamente in grado di incidere, una parte non marginale degli stessi sfruttati finisce con il dare sfogo alla propria progressiva impotenza nel conflitto sociale, prendendosela con chi è ancora più debole e indifeso.

27/09/2020 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Renato Caputo

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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