Recentemente l'ex vice governatore della Banca del Giappone (BoJ), Kikuo Iwata, ha sostenuto che il Giappone deve aumentare la spesa fiscale tramite l’aumento del debito del settore pubblico finanziato dalla banca centrale. Questo ex governatore sembra aver adottato la Teoria della moneta moderna (Modern Monetary Theory, MMT), o almeno una versione keynesiana del deficit spending come una risposta ‘radicale’ (o disperata?) al continuo fallimento dell'economia giapponese, incapace di crescere ad un tasso anche solo vicino a quello pre-crisi.
Gli ultimi dati sull'economia giapponese fanno davvero tristezza. La migliore misura dell'attività nel settore manifatturiero, l’indice degli acquisti nel settore manifatturiero (PMI Nikkei), è sceso a 48,5 nel febbraio 2019, il dato più basso da giugno 2016, poiché sia l'output che i nuovi ordini sono diminuiti a ritmi più rapidi. Nel frattempo, la fiducia delle imprese si è indebolita per il nono mese consecutivo. Nel quarto trimestre del 2018, la produzione nazionale del Giappone ha ristagnato. La crescita è stata nulla rispetto a quella di fine 2017. Questo comparato ad un tasso medio di crescita annua che dagli anni ‘80 è del 2%.
Iwata era in origine l'architetto del massiccio programma di acquisto di titoli della BoJ soprannominato “allentamento quantitativo e qualitativo” (quantitative and qualitative easing - QQE) che avrebbe dovuto stimolare l'economia attraverso una massiccia iniezione di moneta. Ma sebbene il governo giapponese abbia continuato a produrre deficit di bilancio pubblico, ciò non è servito a rilanciare la crescita nominale del PIL o i redditi reali delle famiglie.
Il PIL pro capite del Giappone è in aumento, ma solo perché la popolazione è in declino e anche la forza-lavoro. Il reddito personale disponibile non è cresciuto così velocemente come l'economia nel suo insieme in molti anni, un punto percentuale in meno rispetto alla crescita media del Prodotto nazionale lordo dalla fine degli anni '80. Il Giappone può avere una “piena occupazione”, ma la percentuale della forza-lavoro impiegata su base temporanea o part-time è salita dal 19% nel 1996 al 34,5% nel 2009, insieme ad un aumento del numero di giapponesi che vivono in povertà. Secondo l'OCSE, la percentuale di persone in Giappone che vivono in povertà relativa (definita come quelli che percepiscono un reddito inferiore al 50% della mediana) dal 12% della popolazione totale nella metà degli anni '80 è passata al 15,3% negli anni 2000.
La risposta di Iwata alla “stagnazione secolare” del Giappone è di continuare con i deficit e le spese statali, ma questa volta finanziandola semplicemente stampando denaro, non emettendo obbligazioni [da collocare sui mercati finanziari, ndt]. “Le politiche fiscali e monetarie devono funzionare come una cosa sola, in modo che vengano spesi più soldi per le misure fiscali e il denaro totale destinato all'economia aumenti di conseguenza”. Questa è l'unica opzione politica rimanente poiché “l'attuale politica della BoJ non ha un meccanismo per aumentare le aspettative di inflazione. Abbiamo bisogno di un meccanismo in cui i flussi di denaro verso l'economia siano diretti e permanenti”. Gli acquisti di obbligazioni della BoJ non funzionano, perché le banche accumulano denaro in depositi e riserve e non in prestito. Perciò devono essere ignorate, dice Iwata.
Questa proposta assomiglia all'idea di gettare “denaro dall'elicottero”, una politica in cui la banca centrale finanzia direttamente la spesa pubblica sottoscrivendo obbligazioni. La soluzione di Iwata alla bassa crescita e ai deboli redditi reali è solo un'altra variante dell'idea che la domanda deve essere stimolata per far funzionare un'economia capitalista, in questo caso semplicemente stampando più denaro.
Un'altra variante ora in via di sviluppo è creare un'economia senza contanti. Vedete, le persone continuano ad accumulare i loro soldi (sotto il materasso) e non a spendere mentre le piccole aziende vengono pagate in contanti e poi li nascondono dai loro profitti dichiarati accumulandoli. Quindi le banche centrali ei governi, nel mondo delle valute digitali e delle criptovalute, se ne sono usciti con l’idea di abolire o svalutare il denaro contante in favore delle transazioni digitali.
L'ultima versione di questo viene dal FMI. Avendo provato l'allentamento quantitativo, come in Giappone e altrove, e poi i “tassi di interesse negativi” (cioè le persone vengono pagate per prendere in prestito denaro) per rilanciare le economie, l'idea ora è una cassa vuota. Ecco come funzionerebbe: “In un mondo senza contanti, non ci sarebbe limite inferiore ai tassi di interesse. Una banca centrale potrebbe ridurre il tasso di riferimento da, ad esempio, il +2% al -4% per contrastare una recessione grave. Il taglio del tasso di interesse verrebbe trasmesso a depositi bancari, prestiti e obbligazioni. Senza contanti, i depositanti dovrebbero pagare il tasso di interesse negativo per mantenere i loro soldi in banca, rendendo più appetibili i consumi e gli investimenti. Ciò potrebbe dare una scossa al credito, aumentare la domanda e stimolare l'economia. Un'opzione per sfondare il limite inferiore dello zero sarebbe eliminare gradualmente i contanti”. Ma come? Rendendo i contanti costosi quanto i depositi bancari con tassi di interesse negativi, rendendo così fattibili tassi di interesse profondamente negativi pur preservando il ruolo del denaro.
[Figura 1 - Fmi: I contanti ancora regnano. Mentre la Svezia e altri paesi si sono mossi verso una società senza contanti, molti paesi fanno ancora affidamento ai contanti. I dati si riferiscono alla quantità di contanti in circolazione in percentuale del Pil]
La proposta è che una banca centrale divida la base monetaria in due valute locali separate: contanti e moneta elettronica. La moneta elettronica sarebbe emessa solo elettronicamente e pagherebbe il tasso di interesse stabilito dalla politica monetaria, mentre il contante avrebbe un tasso di cambio, il tasso di conversione, contro la moneta elettronica. I negozi inizierebbero a pubblicizzare i prezzi della moneta elettronica e di contanti separatamente, proprio come i negozi in alcune piccoli paesi con economie aperte pubblicizzano già i prezzi sia nella valuta nazionale che in quelle confinanti. La liquidità perderebbe quindi valore sia in termini di beni che in termini di moneta elettronica, e non ci sarebbe alcun vantaggio nel detenere liquidità rispetto ai depositi bancari. “Questo doppio sistema di valuta locale consentirebbe alla banca centrale di applicare un tasso di interesse negativo come necessario per contrastare una recessione, senza innescare sostituzioni su larga scala in contanti”.
Con questa idea l'FMI ci è andato giù duro rispetto all'effettivo tentativo di un governo di svalutare il contante. Due anni fa, il governo indiano sotto Modi ha abolito le banconote di alto taglio. Il governo sosteneva che l'obiettivo era di eliminare i guadagni illeciti da parte di ricchi indiani che nascondevano i loro guadagni in contanti per evitare le tasse. Ma sono stati i poveri indù, in particolare nelle zone rurali, a essere maggiormente colpiti da questa “demonetizzazione”. Due terzi dei lavoratori indiani sono impiegati in piccole imprese con meno di dieci lavoratori - la maggior parte sono pagati in modo casuale e in rupie contanti. La demonetizzazione avrebbe dovuto attaccare la corruzione e l'evasione fiscale, ma sembra aver avuto scarso effetto su questo. In effetti, molti ricchi indiani hanno fatto “accordi privati” per ottenere nuove banconote ed evitare di dover dichiarare denaro in conti bancari.
Uscire da una recessione o da una depressione stampando denaro o riducendo il valore del denaro contante è stata a lungo un'idea di stile keynesiano. Lo stesso Keynes era molto interessato alle idee di Silvio Gesell, un mercante tedesco, ministro delle finanze nel governo rivoluzionario della Baviera nel 1919. Gesell era convinto che i problemi delle depressioni capitaliste come quello della fine del XIX secolo fossero dovuti all'alto tasso di interesse sui prestiti. Ciò ha incoraggiato l’accaparramento. Se ciò potesse essere fermato, il denaro verrebbe speso e le depressioni superate. Keynes pensava che il lavoro di Gesell contenesse “sprazzi di intuizione profonda senza riuscire a raggiungere l'essenza della questione”. Keynes era particolarmente innamorato del tentativo di Gesell di stabilire “un socialismo anti-marxiano, una reazione contro il laissez-faire costruito su basi teoriche totalmente dissimili da quelle di Marx basate su un ripudio anziché su un'accettazione delle ipotesi classiche, e su una liberazione della competizione invece della sua abolizione. Credo che il futuro imparerà di più dallo spirito di Gesell che da quello di Marx” (Teoria generale).
La principale proposta politica di Gesell per porre fine alla crisi è stata stampare denaro. Secondo questa proposta, le banconote (anche se ovviamente dovrebbero applicarsi anche ad alcune forme di moneta bancaria) conserverebbero il loro valore solo timbrandole ogni mese, come una carta di assicurazione, con francobolli acquistati presso un ufficio postale. Keynes ha commentato: “L'idea dietro il denaro timbrato è solida. È, infatti, possibile che si possa trovare il modo di applicarlo nella pratica su scala modesta”. L'idea era di svalutare denaro e costringere le persone a spendere e quindi aumentare la "domanda effettiva” rompendo la “trappola della liquidità” dell'accumulo di denaro.
L'idea di Gesell è stata ampiamente acclamata da molti post-keynesiani. Ma a differenza loro, sebbene Keynes fosse incline a questo “trucco della circolazione” (per usare la frase di Marx), ne vedeva le mancanze. Una era che Gesell non si rendeva conto che l'investimento capitalistico non era governato solo dal tasso di interesse sui prestiti, ma anche dal tasso di profitto sugli investimenti (ciò che Keynes chiamava “efficienza marginale del capitale”). Così “costruì solo una mezza teoria del tasso di interesse”. L'altra preoccupazione era che se fossero state timbrate le banconote, allora quelli che desideravano accumulare avrebbero semplicemente tenuto i soldi in depositi bancari, oro o valuta straniera. Quindi siamo tornati al punto di partenza. Per ulteriori informazioni sulle differenze fondamentali tra Gesell e Marx in denaro, consultare qui: http://www.unotheory.org/files/2-15-4.pdf
Tutte queste teorie monetarie della crisi - il cui esponente più ampio è la cosiddetta finanziarizzazione - hanno una cosa in comune. Ignorano o negano la legge del valore, cioè che tutte le cose di cui abbiamo bisogno o che utilizziamo nella società sono il prodotto della forza-lavoro umana e che in un'economia capitalista in cui la produzione è a scopo di lucro e non per il bisogno, il denaro rappresenta il tempo di lavoro socialmente necessario. Vediamo solo il denaro, non il valore, ma il denaro è solo la rappresentazione del valore nella sua forma universale, vale a dire il lavoro astratto misurato nel tempo di lavoro socialmente necessario. È un feticcio pensare che il denaro sia qualcosa che è al di fuori e separato dal valore.
Come dice Marx: “una merce particolare diventa solo denaro perché tutte le altre merci esprimono il loro valore in essa” MA “sembra al contrario, che tutte le altre merci esprimano universalmente i loro valori in una merce particolare perché è denaro. Il movimento che ha mediato questo processo svanisce nel suo stesso risultato, senza lasciare traccia. Senza dover fare nulla per raggiungerlo, le merci trovano la forma del proprio valore, nella sua forma finita, nel corpo di una merce esistente al di fuori e al loro fianco .... Da qui la magia del denaro. ... L'enigma del feticcio del denaro è quindi semplicemente l'enigma del feticcio delle merci, che è diventato visibile e accecante agli occhi”.
Questo è importante e non una supercazzola metafisica. Se Marx ha ragione nella sua caratterizzazione del denaro, allora possiamo sostenere che la produzione capitalista è la produzione di più denaro (valore e plusvalore) attraverso lo sfruttamento della forza-lavoro. Ciò significa che a meno che non venga creato più valore dalla forza-lavoro, il denaro non può fare più soldi. Marx si è sempre affrettato a opporsi “alle fantasiose nozioni secondo cui le contraddizioni che derivano dalla natura delle merci, e quindi vengono in superficie nella loro circolazione, possono essere rimosse aumentando la quantità del mezzo di circolazione”. (Riferendosi all'opera del fisiocratico Jean-Daniel Herrenschwand).
È proprio nella categoria di interesse che Marx calcola che il feticcio del denaro è più forte. Nel capitale fruttifero il “carattere di feticcio del capitale e la [concezione] di questo feticcio [diventano] ora completi” (Capitale, libro III, Penguin, p.516). Quindi sembra che il denaro possa fare soldi attraverso gli interessi maturati senza lo sfruttamento o la produzione. È “forma senza contenuto” (p.255). “In D-D’ abbiamo la forma priva di significato del capitale, la [inversione] e [reificazione] dei rapporti di produzione nel loro grado più alto, la forma portatrice di interesse, la forma semplice del capitale, in cui antecede il proprio processo di riproduzione; [...] capacità del denaro, o di una merce, di espandere il proprio valore indipendentemente dalla riproduzione - che è una mistificazione del capitale nella sua forma più flagrante” (p.256).
È questo feticismo del denaro che domina le teorie dei guru post-keynesiani come l'economista americano degli anni '80, Hyman Minsky. L'ossessione di Minsky per il denaro e la finanza come causa delle crisi è stata brillantemente esposta in un recente articolo di Mike Beggs, docente di economia politica all'Università di Sydney. Beggs mostra che Minsky è nato come socialista, seguendo le idee del “socialismo di mercato” di Oscar Lange. Ma alla fine, nel tentativo di risolvere le contraddizioni del capitale finanziario all'interno del capitalismo, ha smesso di sostenere la necessità di sostituire il capitalismo con una nuova organizzazione sociale.
Negli anni '70, Minsky contrapponeva la sua posizione a Keynes. Keynes aveva chiesto la “socializzazione in qualche modo completa degli investimenti”, ma ha continuato a modificarlo affermando che “non è la proprietà degli strumenti di produzione che è importante per lo Stato assumere", essendo sufficiente “determinare l'ammontare aggregato di risorse destinate ad aumentare gli strumenti e il tasso di ricompensa per coloro che li possiedono”. Negli anni '70, Minsky andò oltre e invocò l'acquisizione delle “altezze elevate” dell'industria e in questo modo il keynesianismo potrebbe essere integrato con il "socialismo di mercato" di Lange e Abba Lerner.
Ma negli anni '80, l'obiettivo di Minsky non era quello di esporre le debolezze del capitalismo, ma di spiegare come un capitalismo instabile potesse essere 'stabilizzato'. Biggs: "Le sue proposte sono mirate, quindi, al problema della stabilità. .... L'espansione del consumo collettivo è completamente abbandonata. Minsky sostiene quello che chiama "Grande Governo" principalmente come forza macroeconomica stabilizzatrice. Il bilancio federale dovrebbe essere almeno dello stesso ordine di grandezza degli investimenti privati, in modo che possa recuperarne le mancanze quando questi ultimi diminuiscono, ma non deve essere più grande”.
Questo approccio politico non è dissimile da quello dei sostenitori della MMT. Minsky ha persino proposto una sorta di politica di lavoro garantito tipo quello della MMT. Il governo manterrebbe una rete di sicurezza del lavoro, promettendo posti di lavoro a chiunque altrimenti sarebbe disoccupato. Ma questi devono essere sufficientemente mal pagati per contenere i salari di mercato nella parte inferiore. La paga bassa è purtroppo necessaria, ha detto Minsky, perché “i vincoli sui salari monetari e sul costo del lavoro sono corollari dell'impegno a mantenere la piena occupazione”. La disciplina del mercato del lavoro rimane: i lavoratori magari non avrebbero più paura della disoccupazione, ma continuerebbero ad avere sicuramente paura di una riduzione al salario minimo (Beggs).
Così, negli anni '80, Minsky vide la politica del governo come un obiettivo per stabilire la stabilità finanziaria, al fine di sostenere la redditività e sostenere la spesa privata. “Una volta raggiunta una struttura istituzionale in cui le esplosioni verso l'alto derivanti dalla piena occupazione sono limitate anche quando i profitti si stabilizzano, i dettagli dell'economia possono essere lasciati ai processi di mercato”. (Minsky).
Il viaggio di Minsky dal socialismo alla stabilità per la redditività capitalista avviene perché lui ei post-keynesiani negano e/o ignorano la legge del valore di Marx, proprio come fecero i 'socialisti del mercato', Lange e Lerner. I post-keynesiani e gli esponenti della MMT negano che il profitto provenga dal plusvalore ricavato dallo sfruttamento del processo di produzione capitalista ed è questo il motore trainante per gli investimenti e l'occupazione. Invece fanno tutti del denaro un feticcio. Così il denaro sostituisce il valore, piuttosto che rappresentarlo. Tutti vedono il denaro come causa della crisi e anche come soluzione creando valore! Ciò li porta a ignorare l'origine e il ruolo del profitto, tranne che come residuo di investimenti e spesa per consumi.
Questo per quanto riguarda la teoria. E la realtà? La realtà è che la depressione del 19° secolo non è finita perché il denaro è stato pompato nell'economia. Ma è finita, quindi perché? Nel mio libro, The Long Depression [La lunga depressione, ndt] spiego come funzionava la legge della redditività di Marx e dopo vari crolli, la redditività nelle principali economie fu ripristinata per consentire una ripresa degli investimenti nel 1890 (Capitolo 2) seguita da una crescente rivalità internazionale in un periodo di globalizzazione (imperialismo) che alla fine esplose in una guerra mondiale quando la redditività cominciò a scivolare di nuovo negli anni ‘10.
I keynesiani (compresi gli esponenti della MMT) amano dire che la Grande Depressione è stata risolta con l'allentamento monetario e la spesa fiscale in stile keynesiano. Ma le prove sono contro questo. Negli anni '30, l'allentamento monetario (QE ecc.) fallì, qualcosa che Keynes riconobbe all'epoca. I disavanzi di bilancio del New Deal non sono mai stati applicati molto, ma, anche così, i programmi di lavoro del New Deal non hanno realmente ridotto la disoccupazione o ottenuto entrate reali fino al “boom” della guerra. Di nuovo, vedi il mio libro, (capitolo 3), in cui mostro che l'economia americana si è ripresa solo dopo l'imposizione di un'economia di guerra con il governo che ora domina gli investimenti.
Ciò che differenzia la lunga depressione del 2009 è che, a differenza della Grande Depressione degli anni '30, ci sono ora tassi di disoccupazione (ufficiali) molto bassi nelle principali economie. Invece, i redditi reali sono stagnanti, mentre la produttività e la crescita degli investimenti sono abissali. I mercati finanziari stanno esplodendo, ma i settori produttivi dell'economia stanno strisciando. Eppure il periodo dal 2009 è stato accompagnato da ogni sorta di trucchi monetari: zero o addirittura tassi d'interesse negativi, politica monetaria non convenzionale (QE) e ora proposte di gettare “denaro dall'elicottero”, deficit governativi in stile MMT senza fine e un'economia senza contante (in stile Gesell).
Come ha dimostrato Maria Ivanova, rimane una convinzione cieca che la natura incline alla crisi del capitalismo possa essere gestita mediante “l’arte monetaria”, cioè dalla manipolazione del denaro, del credito e del debito (governativo). Ivanova sostiene che i meriti dell'interpretazione marxiana della crisi superano quelli di Minsky per almeno due ragioni. Innanzitutto, le cause strutturali della Grande Recessione non si trovano nel settore finanziario, ma nel sistema della produzione globalizzata. In secondo luogo, la convinzione che i problemi sociali abbiano origini monetarie o finanziarie e possano essere risolti armeggiando con denaro e istituzioni finanziarie, è fondamentalmente viziata, poiché la stessa ricorrenza delle crisi attesta i limiti delle politiche fiscali e monetarie come mezzi per assicurare l’accumulazione “equilibrata”.
Nessuno degli schemi feticistici ha funzionato o funzionerà per far marciare l'economia capitalista. Invece tali misure hanno appena creato bolle finanziarie a beneficio dei più ricchi. Questo perché questi "trucchi della circolazione" non sono basati sulla realtà della legge del valore.
Articolo apparso sul blog dell’autore il 26/02/2019
Traduzione a cura di Alessandro Bartoloni
Le enfasi (grassetti e corsivi) quando non diversamente specificato sono del traduttore
Per approfondimenti si veda, dello stesso autore:
La teoria della moneta moderna - parte prima: cartalismo e marxismo
La teoria della moneta moderna - parte seconda: i trucchi della circolazione monetaria
La teoria della moneta moderna - parte terza: una rete di protezione a favore del capitalismo