“Il quantitative easing contribuirà ad aumentare ancora di più la forbice tra ricchi e poveri. Andrà a beneficio dei proprietari mentre i salari continueranno a rimanere sotto pressione per la disoccupazione e la concorrenza tra i lavoratori”.
di Alessandro Bartoloni
Ad affermarlo è George Soros [1] , uno dei più grandi e famosi finanzieri che il mondo abbia mai conosciuto, intervistato a margine del World Economic Forum di Davos[2]. Ma che cos’è questo quantitative easing (QE)? E sopratutto, a chi giova e perché?
Traducibile in italiano come facilitazione, agio o alleggerimento quantitativo, si tratta dell’ultima frontiera dell’interventismo monetario in periodo di bassi tassi di crescita della produzione e dell’inflazione, quando la manovra sui tassi di sconto si è già esaurita senza successo. Tecnicamente consiste nell’acquisto di titoli di debito (obbligazioni) pubblici e privati da parte della Banca Centrale Europea sul mercato secondario, vale a dire dai capitalisti che li detengono (principalmente società finanziarie, banche e grandi industrie) e non direttamente dai governi o dalle aziende che li emettono. Il QE europeo annunciato il 22 gennaio dal governatore Mario Draghi partirà a marzo e consisterà in acquisti per 60 miliardi di euro al mese e durerà almeno fino a settembre 2016 e comunque fino a quando il tasso di inflazione nell’eurozona sarà tornato ad avvicinarsi al 2%. A questo obiettivo si affianca quello di stimolo alla ripresa economica, in quanto il QE sarebbe in grado di produrre un abbassamento dei rendimenti sui titoli a lunga scadenza e di indurre i capitalisti a maggiori e più rischiosi (quindi più remunerativi) investimenti.
Gli obiettivi enunciati e abbondantemente propagandati sono però destinati ad essere mancati, come già i QE in Usa, Giappone e Uk hanno dimostrato, per la semplice ragione che le politiche economiche e monetarie non possono risolvere la crisi ma sono utilissime per farla pagare alle classi sociali subalterne. L’attuale crescita dei prezzi al consumo a dir poco fiacca, ad esempio, tanto spaventa i potenti perché evidenzia il perdurare della sovrapproduzione di capitale, nonostante gli annunci quotidiani di svendite e fallimenti, dell’ampliamento dell’esercito industriale di riserva, di guerre sempre più frequenti e distruttive. Illudersi che questi problemi siano aggredibili aumentando stabilmente e sensibilmente il livello generale dei prezzi e provare a farlo depositando moneta elettronica nei conti correnti dei grandi creditori del mondo significa confondere le cause dei problemi coi loro effetti. Significa sperare che questo denaro continui a circolare alla stessa velocità di prima, che non venga parcheggiato in qualche bene rifugio, che rimanga nei confini dell’eurozona. Significa ignorare che è il saggio generale del profitto che determina i prezzi e che sono questi, in ultima analisi, a determinare la quantità di moneta in circolazione, non viceversa.
A queste illusioni e confusioni se ne devono affiancare anche altre per giustificare la bontà del QE in termini di riduzione dei tassi e aumento del PIL. In un contesto di cronica sovrapproduzione, il denaro è merce preziosa non solo per realizzare il plusvalore ma anche solo per evitare la bancarotta. Il credito diventa difficile e caro, tanto più per chi maggiormente soffre la crisi, che si tratti di società di diritto privato o di nazioni. Quando la banca centrale abbassa i c.d. “tassi” influenza sopratutto l’andamento dei prestiti a breve termine (pochi mesi) sul mercato interbancario, mentre l’andamento del credito alle aziende continua ad essere determinato dalle condizioni di produzione e dalle aspettative di profitto e solvibilità futuri. Parimenti, voler aumentare la massa di moneta elettronica circolante per rivitalizzare il credito significa voler fare, mutatis mutandis, del moderno banchiere un antico legatario di fedecommesso. Significa dimenticare che in un determinato periodo la quantità di moneta in circolazione è determinata dalla quantità di pagamenti che vengono a scadenza e non dalla quantità delle promesse di pagamento che vengono concluse. Significa, in ultima analisi, dichiarare la propria impotenza di fronte alle leggi economiche che contraddittoriamente governano il reale andamento delle categorie economiche che si vorrebbero meccanicamente determinare.
A dispetto della propaganda dei banchieri centrali e delle pie illusioni dei loro cantori, appare sempre più chiaro che la funzione del QE è legata indissolubilmente alla necessità di continuare a rifornire di fiches la grande speculazione internazionale.
Non c’è capitalismo che possa garantire che i soldi del QE vengano investiti là dove servono per creare occupazione, garantire il ricambio organico con la natura e il pieno sviluppo della persona umana. Non è neanche possibile garantire che vengano investiti al di fuori della borsa. È la stessa logica di questo sistema economico che prescrive in tempi di vacche sempre più magre di rifugiarsi nella speculazione o di dirottare il proprio denaro in beni rifugio e paradisi fiscali. Tantoché neanche la BCE è disposta a rischiare più di tanto e il debito pubblico degli stati appartenenti all’eurozona verrà acquistato in proporzione alle quote del proprio capitale detenute dalle banche centrali nazionali (quindi a farla da padrone saranno i titoli tedeschi), allocando il 92% del relativo rischio sui singoli istituti nazionali (che scende all’80% se si considerano anche gli acquisti dei titoli di debito pubblico delle istituzioni europee).
In conclusione, è proprio Soros che ci fornisce la giusta chiave di lettura per capire a chi gioverà questo quantitative easing: ai grandi proprietari, che potranno continuare a gonfiare indici di borsa e bilanci patrimoniali con quel capitale fittizio fatto di strumenti finanziari derivati che rappresentano l’unica fonte di profitto che gli è rimasta, ognuno sperando di non rimanere col cerino in mano quando scoppierà la bolla.