12 giugno, Campidoglio, sala della Protomoteca. È in atto un’assemblea indetta dal Comitato 1666 –ex Almaviva. Arrivo trafelata, in ritardo. Mi attende Lorena Roscetti, ex referente del comitato. C’è un posto riservato per me fra quelli destinati alla stampa. L’impatto visivo non è incoraggiante. La sala è semivuota. Minime le rappresentanze dei lavoratori e al tavolo sono attesi dei relatori che non arriveranno mai. Che succede? A quando l’unità dei lavoratori? Le domande sono provocatorie e sottintendono una richiesta di attenzione sul silenzio e sulle assenze che pesano sulla questione del lavoro. E’ anche un appello per un risveglio delle coscienze di quella classe operaia, classe che non vuole andare in paradiso, ma restare nelle piazze a lottare unita in questo inferno che è diventato il mondo del lavoro.
Troppe le assenze delle rappresentanze istituzionali al tavolo dei relatori. Assente, ma è usuale modalità, l’invitata d’onore al tavolo romano, come primo cittadino, la sindaca Raggi. Assenti anche il governatore Zingaretti, l’onorevole Miccoli (Pd), il senatore Damiano, presidente commissione lavoro. Un’assenza collettiva che fa pensare ad un declino di responsabilità di fronte al grave problema che investe come un tornado quelle realtà romane, come gli ex Almaviva, Sky, Tim-Telecomunicazioni, Trony, Alitalia, che il lavoro lo hanno perso o è, ad oggi, fortemente compromesso dal Jobs act e dalle riforme che lo hanno preceduto. Ma anche dall’assenza dei sindacati confederali.
Presente, ed è una manna, Daniela Cortese, sindacalista Usb, Tim-settore Telecomunicazioni. Lei c’è al tavolo della Protomoteca a difendere le cause dei lavoratori e a denunciare l’estraneità ai problemi e il mancato coinvolgimento delle istituzioni .“Ci sono delle vertenze che vanno per la maggiore, perché tutti li invitano. Poi man mano cala l’attenzione e il problema resta sulle spalle dei lavoratori” dice la sindacalista. Della vertenza Almaviva bisogna continuare a parlarne, anche se il tema è complesso e di misteriosa soluzione. Lo esplicita anche la denominazione dell’assemblea “Quale lavoro in Italia?”. Già, quale lavoro? Gentiloni ha dichiarato pochi giorni fa, elaborando a modo suo i dati Istat. ‘Crescono i posti di lavoro, disoccupazione al minimo. Premiate le scelte di questi anni…’. “Quest’uomo va aiutato- afferma la sindacalista - Ci vuole coraggio a fare queste affermazioni, visto che i lavoratori vengono affamati dal Governo che non provvede a mettere in atto gli ammortizzatori sociali”.
In realtà i dati Istat rappresentano una situazione diversa, a volerli bene interpretare. “Quando la democrazia e i diritti calano nei luoghi di lavoro, automaticamente questo porta elementi negativi in tutta la società civile. Il costo del lavoro è sceso dell’1,3%, mentre in Germania è salito del 5,2%. E questa è l’Unione europea a doppia velocità. Ci sono dei Paesi come la Germania, e in subordine la Francia, che devono guadagnare sul disvalore degli altri paesi che perdono anche sovranità e quindi il costo del lavoro è più alto. Vuol dire che in quei Paesi le condizioni dei lavoratori migliorano, mentre in Italia scendono di valore. È importante sapere questi dati per capire in quale contesto si è andata ad infilare la vertenza Almaviva e tutte le vertenze in corso”.
Si parla di tassi di investimenti: “In Italia le aziende investono con dei tassi al 19%, mentre nel resto d’Europa l’investimento è del 22%. E investono anche in nuove tecnologie, mentre noi stiamo fermi al palo, investendo meno di tutti gli altri Paesi. In contrasto a peggiorare la situazione in Italia il tasso di profitto è più alto che in tutto il resto d’Europa. In Italia è del 42%, mentre è del 41% negli altri paesi. La differenza sostanziale è nei tassi d’investimento e in quelli di profitto. Se noi investiamo così poco e i gruppi industriali guadagnano così tanto, questo significa che c’è un prelievo di ricchezza dalle tasche dei lavoratori a quelle dei padroni”. E quanto recentemente avvenuto in Tim, e, dalle informazioni della Cortese, veniamo a conoscenza della buona entrata.
“In Tim, attualmente, con l’insediamento del nuovo amministratore delegato, Flavio Cattaneo, è entrata in vigore la buona entrata, formula inaugurata da questo reparto delle Telecomunicazioni. L’Ad, dal consiglio di amministrazione si è fatto accreditare 2 milioni e mezzo di buona entrata. E per la buona uscita?55 milioni per lui e per i nuovi dirigenti che ha fatto nominare in sostituzione dei precedenti che gli piacevano di meno”. Un gap di ricchezza che è ‘un atto criminale’, perché la classe dei lavoratori nel frattempo è arrivata ai limiti della sopravvivenza”. Informazioni che lasciano l’assemblea di sale, sia pur note ai più. Ma sentirsele dire così, secche, fa montare e indignare. Ben venga la rabbia, ma cosa fare?
“Bisognerebbe sostenere una proposta di legge – auspica la sindacalista Usb- (per chi lo può fare, visto che in Parlamento da molto tempo non ci sono più operai, ma solo professionisti e imprenditori, tutta la borghesia e l’alta borghesia vi è rappresentata, ma non le fasce deboli che sono la maggioranza in questo paese), atta a ridurre da 10 a 1 la differenza della retribuzione fra i dipendenti e il signor padrone”. Questa è la drammatica situazione del lavoro in Italia, piegata dalle riforme sullo Statuto dei lavoratori che nell’ultimo decennio hanno messo in ginocchio il Paese. Gli ex lavoratori Almaviva, sono stati i primi a saggiare i duri colpi inferti dal Jobs act, con un licenziamento di massa. La loro è una vicenda amara di cui abbiamo spesso parlato nelle pagine di questo giornale. A questi lavoratori, che oggi sopravvivono con le loro famiglie con un ridicolo supporto della Naspi (indennità di disoccupazione), si sono aggiunte tante altre realtà lavorative della capitale che non hanno accettato i ricatti del padrone, il demansionamento, i trasferimenti, come nel caso dei lavoratori Sky di Roma, i lavoratori Alitalia, di Tim- Telecomunicazioni e di Trony.
Per loro le vertenze aperte sono sicuramente in mani sbagliate e i sindacati fanno tiepide apparizioni nei coordinamenti dei lavoratori in lotta. La sfiducia nelle istituzioni e le mancate risposte hanno anche favorito lo scioglimento del comitato Almaviva, i cui coordinatori hanno scelto di far parte di un coordinamento più allargato che abbraccia tutte le lotte dei lavoratori in sofferenza. Si è costituito così il Coordinamento lotte unite. “Si è arrivati alla conclusione di coordinarsi per redigere una piattaforma di lotta comune su alcuni punti che possano vedere la convergenza di forze politiche e sindacali. ..l’azione per contrastare questo attacco ai lavoratori deve assumere una dimensione globale e il percorso deve essere di lotta politica e non ridursi solo a delle rivendicazioni parziali o limitate di una sola azienda” si legge nel comunicato del coordinamento, che lancia uno strale anche sulla Naspi, sull’Anpal e sulla giurisprudenza del lavoro che agiscono in conformità della riforma del lavoro con provvedimenti a danno del lavoratore, come recita il Jobs act. Ne fa accalorata menzione, durante l’assemblea, Walter Ambrosecchio, promotore e coordinatore dell’assemblea. Lui è uno dei 1666 licenziati Almaviva, uscito dal direttivo del Comitato per abbracciare un più vasto campo di lotte.
Nel corso dell’assemblea capitolina, interviene anche un uomo della Raggi, rivendicando il suo intervento al tavolo ministeriale di Calenda e Terranova a sostegno dei lavoratori Almaviva. Intervento ridicolizzato dai lavoratori presenti per l’inefficacia del risultato. La febbre della insofferenza, da parte della platea, sia pur esigua, è aumentata per l’intervento di Maurizio Del Conte, il presidente dell’Anpal (agenzia nazionale politiche attive lavoro), man di Zingaretti. Dalle prime frasi che pronuncia si comprende dove vuole andare a parare. Parla di corsi di formazione, di nuove tecniche digitali per promuovere il lavoro autonomo in rete, della possibilità di creare il lavoro tramite le app, parla quindi di autoimprenditorialità. Non fa in tempo a parlare di “lavoro gratis”, e per fortuna, perché la protesta immediata dei presenti raggiunge il culmine.
Intervengono i compagni di Rifondazione comunista, l’unica rappresentanza di partito presente all’assemblea a sostenere i lavoratori. Mentre il segretario del partito della Rifondazione di Roma deposita sul tavolo dei relatori il disegno di legge sul piano del lavoro, presentato dal partito quando era presente in Parlamento (governo Prodi), intervengono alcuni compagni del Prc: “Chi ha rappresentanza istituzionale, se ha a cuore i lavoratori, deve mettersi alla testa delle lotte, così come faceva Petroselli” dice un compagno del circolo del terzo municipio, ironizzando anche sull’intervento dell’esponente Anpal, in riferimento alla filosofia dell’auto imprenditorialità, che costituisce uno degli strumenti dell’egemonia neoliberista, all’interno dei posti di lavoro. Conclude gli interventi una compagna del circolo Prc Monti “ I lavoratori non vanno lasciati soli nella lotta”.
Ma soli, davvero soli oggi, i lavoratori lo sono veramente. Soli con un’unica chance, unirsi nelle lotte per costituire una nuova classe operaia, in grado di lottare unita al fine del ripristino dello Statuto dei lavoratori, il maltolto di un governo irresponsabile e di uno Stato che non è più garante dei primi diritti dei cittadini.