Lo sciopero partito il 17 Novembre nel quadro della conflittualità sociale in Italia

Una riflessione sullo sciopero generale del 17 novembre


Lo sciopero partito il 17 Novembre nel quadro della conflittualità sociale in Italia

Il 17 Novembre CGIL e Uil hanno indetto uno sciopero generale con lo scopo di contenere l’attacco complessivo all’intera classe lavoratrice in tutti i settori. Premetto che chi scrive è un iscritto FLCGIL che nell’ultimo ultimo mese si è impegnato – nel suo luogo di lavoro e nel suo settore – a favorire in tutti i modi possibili, prima la manifestazione nazionale del 7 Ottobre della CGIL poi, con ancora più determinazione, lo Sciopero Generale del 17 Novembre. Mentre scrivo sono ancora in attesa dei dati definitivi, tanto più che in alcune Regioni lo sciopero è stato dilazionato in altri giorni, creando confusione ai lavoratori e permettendo a Matteo Salvini di utilizzare la precettazione come mezzo politico di ricatto per indebolire gli effetti concreti dell’azione di sciopero sulla cittadinanza e sul paese. Non avendo utilizzato la manifestazione nazionale del 7 Ottobre per lanciare lo sciopero la CGIL ha perso del tempo importante che sarebbe servito per parlare con i lavoratori, per spiegare bene le motivazioni concrete dello sciopero nonché per animare questi ultimi ad un’azione pratica di discussione, elaborazione collettiva e calcolo del significato concreto della scelta intrapresa. Nonostante tutti questi limiti nella preparazione dello sciopero il Governo Meloni ha dimostrato un nervosismo imbarazzante rispetto alla semplice possibilità che il problema dei salari emergesse. Le ragioni di questo nervosismo sono rintracciabili nella modalità con cui il Governo ha affrontato le dinamiche inflattive degli ultimi due anni. Accettando completamente le politiche di stampo protezionistico condivise dalle classi dirigenti dei paesi occidentali la classe dirigente italiana si è distinta per l’aver assecondato la grande finanza e una parte della piccola borghesia nell’operazione di scarico della crisi operata totalmente sui lavoratori dipendenti privati e pubblici. In nessun paese europeo il crollo dei salari per effetto dell’inflazione è stato così drastico come in Italia. Il Governo è consapevole di tutto ciò ed è decisamente intenzionato a nascondere il problema, a non farlo emergere alla luce del sole, ma soprattutto a favorire quelle condizioni di passività generali tali per cui un salario che scende sotto il livello di sussistenza e di riproduzione materiale della forza lavoro deve essere accolto come un dato di natura, una condizione impossibile da modificare. Il fatto che Salvini si sia esposto palesemente con la precettazione dimostra quanto il tema dei salari risulti un punto debole per il governo. Se la CGIL, tuttavia rappresenta l’unico sindacato capace d’impensierire veramente il Governo, d’altro canto non bisogna nascondere che le modalità d’indizione degli scioperi e della preparazione della contrattazione, non muove dal riconoscimento pieno dei diritti dei lavoratori ma comincia e si sviluppa prevalentemente in un confronto serrato tra organizzazioni sindacali, il cui punto di mediazione, la scelta dello sciopero e le modalità organizzative si risolvono integralmente all’interno delle burocrazie sindacali; da qui scaturisce uno sciopero generale su più date, la relativa confusione da parte dei lavoratori, il fianco scoperto per le sortite di Salvini e la riduzione dei termini per la preparazione dello sciopero. La reazione isterica del Governo, tuttavia, ha spinto una parte consistente dei lavoratori a riprendere la strada dello sciopero, a capire che su questa data si giocava un confronto politico sindacale di carattere più ampio, non riconducibile solo ed esclusivamente a quelle date. Dal punto di vista del Sindacato, invece, questa pervicace ricerca della mediazione tra sigle apre un divario con una parte consistente dei lavoratori che non ne capiscono le logiche, spesso non comprendono le ragioni vere per cui sono chiamati allo sciopero, sono lontani, non conoscono e non vogliono conoscere fino in fondo i linguaggi e le differenze tra le burocrazie e, se non adeguatamente motivati, poi non partecipano agli scioperi, rendendo ancora più debole la loro stessa capacità di contrattazione. La crisi, tuttavia, morde in maniera crescente, i disagi non sono più solo lavorativi ma divengono problemi sempre più acuti di sussistenza, soprattutto per quanto riguarda i lavoratori salariati, i quali non potranno che condividere un disagio crescente, un malessere che in ogni occasione dovrà essere, almeno parzialmente ascoltato. Solo questa pressione, accompagnata ad un’esigenza troppe volte insoddisfatta di vedersi parzialmente rappresentati i propri bisogni all’interno dell’agone politico, della tribuna dove l’opinione pubblica ascolta e conosce le differenti proposte in campo, può generare dei cambiamenti significativi per i lavoratori. In questa fase storica la conflittualità che si esprime attraverso gli scioperi e le forme di lotta deve far uscire la questione del lavoro e dei lavoratori, per troppo tempo soffocata nell’oblio dell’inesistenza e, una volta vagamente richiamata, attaccata nuovamente dalla repressione questurina. La rappresentanza dei bisogni dei lavoratori non è solo conseguenza delle dinamiche conflittuali ed emancipatorie ma ne è essa stessa un motore ineludibile che si nutre del conflitto ma che è in grado anche di delineare una prospettiva. Nei mesi che seguiranno dobbiamo osservare ed accompagnare questo disagio, tentando sempre di indirizzarlo verso la più ampia e riconoscibile rappresentazione politica e sindacale, tenendo in conto che la partita che si sta giocando in questo momento non è solo la dinamica delle conquiste salariali ma il diritto stesso all’esistenza, alla possibilità di essere riconosciuti.



01/12/2023 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Francesco Cori

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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