Il disastro economico europeo è frutto di incompetenza o è una scelta lucida? Pur nella consapevolezza del livello infimo del personale politico dell’Unione Europea, sembra incredibile che esso possa effettuare scelte così sciagurate per imperizia. Se non altro perché supportato da uffici studi, consiglieri e istituzioni che – anche se selezionati con metodi discutibili, primo fra tutti il pregiudizio politico, per non insinuare di peggio – dovrebbero comunque disporre di strumenti per non prendere cantonate clamorose. Invece a danno si sta aggiungendo danno.
Sul boomerang delle sanzioni alla Russia abbiamo già trattato diffusamente in questo giornale. Ci basta qui riassumere che esse si sono tradotte in danni alle nazioni europee maggiori di quelli inflitti alla nazione sanzionata e che, a seguito di ciò, ci aspetta un inverno in cui ci scalderemo poco pagando molto e in cui diverse attività produttive dovranno chiudere i battenti e licenziare.
Le stesse sanzioni di carattere finanziario hanno prodotto come contraccolpo che buona parte del mondo fino a ieri vittima della dittatura del dollaro ha reagito cercando di smarcarsene. Emblematico è che fra i paesi arabi, il più fedele alleato degli Usa che, grazie ad accordi con il Centro dell’impero, permise al dollaro di rimanere moneta principe degli scambi internazionali e delle riserve nazionali, nonostante la fine della sua conversione in oro, l’Arabia Saudita, abbia ridimensionato il potere dei “petrodollari” e si sia accinta a concordare con la Cina esportazioni di petrolio in yuan. Se il danno per gli Usa è evidente, le cose vanno anche peggio per l’Ue: l’euro è in affanno anche rispetto al non certo ben messo dollaro perché pesa la deindustrializzazione che subirà l’Europa a vantaggio degli Usa (il costo dell’energia sarà circa 5 volte quello degli States), oltre che del terzo mondo.
Altro clamoroso disastro deriva dalla risposta della Bce all’inflazione in atto. Anche su questo tema avevamo motivato come la restrizione monetaria, in presenza di un’inflazione da costi e non da domanda, avrebbe prodotto più danni che benefici. Vorremmo soffermarci meglio su questo aspetto.
Che l’aumento del costo delle importazioni di prodotti energetici, agricoli e delle materie prime non possa essere contrastato dall’aumento del tasso di interesse lo sanno perfino i gatti. Ciò nonostante la Bce, dopo altri adeguamenti dei mesi scorsi, l’ha aumentato di nuovo in questi giorni di un altro mezzo punto. E così, dall’inizio del 2022, siamo a un aumento complessivo del 2,5%! La Bce ha inoltre mandato un messaggio chiaro: a questa stretta ne dovranno seguire diverse altre. Cosa significa questo? Significa che molti investimenti produttivi non potranno essere effettuati per l’alto costo del denaro e così non sarà possibile creare nuovi posti di lavoro; che i bilanci delle imprese più indebitate andranno in rosso e sarà un altro motivo di chiusure e licenziamenti; che molte giovani coppie dovranno scordarsi di acquistare una casa – nonostante la penuria di case in affitto a canoni sopportabili – accedendo a un mutuo ipotecario; che chi l’ha già acquistata in passato potrebbe non essere più in grado di pagare le rate di ammortamento, le quali schizzeranno in alto insieme alla bollette di luce e gas e ai prezzi dei generi di prima necessità, rischiando quindi di perdere la casa e andare in rovina; che gli Stati più indebitati, fra cui spicca l’Italia, per collocare il loro debito pubblico dovranno sostenere oneri finanziari elevati, sottraendo risorse ai servizi pubblici e al welfare.
La scure mortifera della Bce non si ferma qui. Non solo ha deciso di interrompere il quantitative easing, ma ha anche annunciato che si libererà dei titoli del debito pubblico in pancia. Per la sola Italia saranno 15 miliardi al mese di dismissioni che dovranno essere collocati sul mercato. In questo modo sarà sempre più oneroso collocare altro debito e difatti lo spread è già salito a 215 punti base. Il che significa che lo Stato italiano dovrà pagare un tasso di interesse superiore a quello tedesco di 2,15 punti.
In questo modo si amplieranno le sperequazioni fra stati dell’Unione, sempre meno unione e sempre più frantumata.
Ora, pare incredibile che i burocrati della Bce, nonostante la loro visione ristretta e impigliata nei canoni della teoria economica mainstream, non siano in grado di accorgersi di tutto questo. E personalmente non ci credo.
Quale può essere allora il motivo? Uno è che una forte recessione rappresenta un bel colpo al potere contrattuale dei lavoratori e può agevolare un ulteriore trasferimento di ricchezza dai salari ai profitti. Questo certamente non fa mai scomodo a un capitalismo in affanno. Ma mi pare che, dopo tutti i colpi assestati negli ultimi decenni ai lavoratori, sia rischioso infierire ulteriormente, pena una rivolta sociale di ampie dimensioni. Un altro motivo è che si voglia accelerare il processo di centralizzazione dei capitali, la “distruzione creativa” in grado di far perire le “imprese zombie” e infatti molte periranno. Ma questo potrebbe acuire i contrasti fra la piccola impresa e il grande capitale, con esiti preoccupanti. Che allora il motivo vada ricercato Olteoceano? Che gli Usa aspirino a un’Europa che si configuri ancora di più come satellite degli Usa è lampante e comprensibile. Meno lo è che le nazioni europee si prestino a questo gioco, a meno che veramente gli Usa, oltre a imporsi sul terreno geostrategico e militare, non abbiano ormai la capacità di dettare anche le politiche economiche alla sua colonia a Est dell’Atlantico.
Vediamo cosa resta dell’ambizione della Germania a svolgere un ruolo guida in Europa. Già colpita dalla terroristica disattivazione dei gasdotto Nord Stream 1 e 2, pare si stia accingendo a subire la prevaricazione dell’alleato americano e a rinunciare a resistergli. Potendo però esercitare la sua supremazia sugli altri paesi europei, in virtù della sua migliore condizione economica e della possibilità di eludere alcune regole sacre, quale il divieto degli aiuti di stato alle imprese, che invece sta praticando. Infatti dall’inizio della guerra ha speso circa quasi 480 miliardi, oltre il triplo della spesa di Francia e Italia messe insieme, in aiuti alle imprese, acquisti presso le aziende energetiche per evitarne il fallimento e realizzazione di infrastrutture, come i rigassificatori. È certo invece che i paesi più fragili, con questi tassi, potranno sempre meno soccorrere il sistema economico. La finanziaria del nostro governo, per esempio, stanzia una cifra corrispondente al fabbisogno di tre mesi.
E dopo marzo? Dopo marzo probabilmente la Germania avrà meno concorrenti e potrà spadroneggiare in Europa, rivalendosi almeno sugli stati più malmessi, quale il nostro per il quale lo spettro degli “aiuti” della troika al costo di una catastrofe sociale si sta avvicinando paurosamente.
In questa catena di vassalli, valvassori ecc. l’ultimo anello sono i servi della gleba, cioè i lavoratori europei che, dopo decenni di perdita di diritti e salari, vanno incontro alla condizione di working poor, di lavoratore povero, che non sarà più una situazione limite ma la realtà di un numero esorbitante di lavoratori, anche stabili, che si aggiungeranno alla massa dei precari, disoccupati, pensionati al minimo ecc.
Di fronte a tutto ciò è stato positivo che i sindacati di base prima e la Cgil-Uil dopo abbiano indetto degli scioperi, per la verità poco accuratamente preparati. Ma siamo ben lontani da una mobilitazione di più vasta portata con una piattaforma che leghi la difesa delle condizioni dei lavoratori – e l’adeguamento immediato al costo della vita di salari e pensioni – all’uscita dell’Italia e dell’Europa dalla guerra e dalle sanzioni e che cerchi di unire il fronte del lavoro almeno a livello dell’Ue. Un’unità più vasta di livello internazionale e su una piattaforma non meramente rivendicativa ma di trasformazione sociale spetterebbe ai comunisti. Ma per superare la nostra attuale inadeguatezza abbiamo ancora molto da fare.