Sulla guerra in Ucraina si è già espresso questo collettivo. È possibile trovare ulteriori approfondimenti in molti altri articoli. Qui ci si limita a esaminare alcune possibili conseguenze di carattere economico della guerra. Cominciamo con la Russia, che era già colpita da numerose sanzioni economiche a seguito dell’annessione della Crimea e del sostegno al popolo russofono del Donbass. Nei suoi confronti si preannunciano sanzioni ancora più pesanti da parte di Stati Uniti e Unione Europea che potrebbero indebolire notevolmente la sua già fiacca economia.
Va detto che, grazie all’impulso degli Usa, le sanzioni verso altri paesi sono piuttosto inflazionate. Altreconomia riferisce che ne vengono adottate circa 9.500 all’anno, più di una ogni ora, e quindi diventano cosa di ordinaria amministrazione, soprattutto a danno dei popoli che cercano di resistere alle pretese unipolariste degli States. Peraltro, oltre a colpire l’economia del paese sanzionato, tendono a colpire la popolazione e particolarmente quella più debole, mentre i ceti privilegiati potrebbero trarne vantaggi con metodi più o meno legali. Infine ci sono dubbi sulla loro efficacia all’indebolimento dei governi che spesso, al contrario, hanno il pretesto per rinfocolare sentimenti nazionalistici e farsene paladini.
Certo è invece che tali sanzioni possono produrre danni anche ai paesi che le attuano. Per esempio, a seguito delle sanzioni verso la Russia effettuate nel 2014, le esportazioni dell’Unione Europea verso quel paese sono crollate nel giro di due anni di circa il 40%. Se nel contempo sono calati fortemente investimenti diretti all’estero della Federazione Russa, ridotti a un terzo rispetto al 2013, è più che dimezzato il suo indebitamento verso l’estero e sono accresciute notevolmente le sue riserve, che sono stare oltretutto riconfigurate a scapito del dollaro (poco meno della metà erano in dollari e oggi sono solo poco più di un decimo) e a vantaggio della valuta cinese (renmimbi). Forse anche questo dato deve avere suscitato qualche irritazione alla potenza americana. Un eventuale default della Russia a seguito della guerra e delle sanzioni sarebbe invece un problema per l’Italia le cui banche, in controtendenza, vantano un credito verso quelle russe salito da meno di 1 a 9 miliardi dal 2013 ad oggi.
L’economia russa si basa principalmente sulle esportazioni di energia e di risorse naturali, che rappresentano il 28% del Pil, mentre deve importare prodotti tecnologici e manufatti. Il principale cliente è l’Europa, anche se è in crescita la quota verso la Cina, che pesa per quasi il 40%. Le importazioni ammontano al 21% del Pil. Segno che, a dispetto delle sue enormi dimensioni, l’economia russa è discretamente dipendente dagli scambi internazionali.
Dopo il profondo collasso dell’epoca eltsiniana, successiva alla fine dell’Urss, la sua economia si è mantenuta debolissima, anche se in lenta ripresa, così come molto basso è il tenore di vita della maggior parte dei cittadini. Le sanzioni quindi avranno un effetto su tali condizioni.
La sanzione più rilevante nei confronti della Russia riguarda l’interruzione delle relazioni con le banche russe, cui fa eccezione per il momento la Gazprombank che finanzia e gestisce le transazioni internazionali delle società che esportano gas. L’Europa ha ancora forte bisogno dei prodotti energetici russi che costituiscono oltre un quarto delle sue importazioni, mentre gli Usa, diventati esportatori hanno invece interesse che il vecchio continente si rivolga a loro, pur andando incontro così a costi enormemente superiori. Se si arrivasse davvero a interrompere il flusso del gas russo verso l’Europa, come viene ventilato, sarebbe un colpo duro per la Russia, ma anche per le famiglie e le imprese europee. Eppure il nostro governo ha dichiarato di volersi rendere indipendente dal gas russo nel giro di pochissimi anni. Probabilmente si tratta di propaganda perché occorreranno tempi molto più lunghi per portare a termine questo proposito senza incorrere drammatici contraccolpi. Ma comunque si va verso l’apertura dei nostri mercati ai prodotti di Oltreoceano.
Le sanzioni di carattere finanziario, apparentemente di scarso peso, visto che la Russia detiene ingentissime riserve in oro e valute grazie a notevoli avanzi nelle partite con l’estero, potrebbero invece rivelarsi di effetto importante in quanto una notevolissima quota di queste riserve è ubicata all’estero e pare ne sia stata congelata quasi la metà. Va detto tuttavia che un importo pari a circa un quarto delle sue riserve, 140 miliardi di dollari, è posseduto dalla sua banca centrale e da una banca di sviluppo in obbligazioni cinesi che possono consentirle di far fronte a diverse sue necessità.
Tale congelamento ha dei precedenti. A farne le spese il Venezuela, l’Afghanistan, l’Iran e la Corea del Nord per esempio, ma per la prima volta si colpiscono colossali riserve. Il danno immediato è ovviamente in capo alla Russia, ma questo precedente mette in dubbio, in generale, la sicurezza del conferimento delle riserve in deposito all’estero e potrebbe determinare nei confronti di questa consuetudine una perdita di fiducia in grado di creare notevoli disordini finanziari anche nelle altre maggiori potenze economiche.
Vengono bloccate pure le esportazioni dei paesi Ue verso la Russia, ma anche in questo caso vi sono alcune eccezioni legate a interessi del capitalismo. Per esempio, per quanto riguarda l’Italia, è esentata dal divieto la vendita di alcuni prodotti griffati del made in Italy.
Altra misura è il congelamento dei beni all’estero delle società e dei miliardari russi, ovviamente nei limiti di ciò che riusciranno o vorranno trovare visto che gran parte di queste ricchezze risiedono in paradisi fiscali. Né può costituire un grosso danno l’inibizione dell’uso del dollaro, che oltretutto penalizzerebbe gli stessi Usa, dato che già Russia, Cina e altri paesi hanno avviato un percorso di de-dollarizzazione negli scambi internazionali.
L’interruzione dell’accesso di diverse banche russe allo Swift, un sistema di pagamenti standard tramite messaggistica telematica, è stata definita l’“arma nucleare” della guerra economica. La Russia ha già esteso l’uso di carte di pagamento proprie, ma esse funzionano solo per gli scambi interni e quindi la sanzione peserà notevolmente, inducendola probabilmente sia a utilizzare tecnologie più arretrate, sia a sostituire alcune relazioni commerciali con l’Ovest intensificando quelle con la Cina e l’Asia in generale. La Cina, per esempio, ha realizzato il sistema Cross-Border Interbank Payment System (Cips) per favorire gli scambi in renmimbi, altro elemento in grado di fare saltare i nervi agli Stati Uniti che non hanno esitato a bombardare paesi per tutelare il ruolo del dollaro negli scambi internazionali e nelle riserve.
A questo proposito, l’annuncio in queste ore (sto scrivendo il 23 marzo) dell’ordine di Putin di far pagare ai paesi “ostili” il gas in rubli, costituisce un esempio di arma a doppio taglio delle sanzioni.
Naturalmente se venisse interdetta dallo Swift la Gazprombank, che supporta i movimenti finanziari delle compagnie energetiche russe, l’impatto sarebbe importante sia per la Russia che per l’Europa.
Effetti a più lungo termine potrebbe avere la decisione degli Usa di escludere la Federazione Russa dall’accesso ad alcune tecnologie strategiche. I principali fornitori di chip, tra cui Intel e Taiwan Semiconductor Manufacturing Company hanno dichiarato di volersi adeguare a questa sanzione che renderebbe difficile per la Russia importare tecnologie per produzioni avanzate, oltre che per quelle belliche. Anche in questo caso però la Cina potrebbe venirle incontro con società, anch’esse oggetto di sanzioni statunitensi, quali Huawei.
Oltre alle sanzioni, avrà notevoli ripercussioni l’esito della guerra. Se alcuni obiettivi russi saranno raggiunti, quale la neutralizzazione dell’Ucraina, e magari la possibilità di averla come partner, oltre ai vantaggi in termini di sicurezza ci potranno essere quelli dell’accesso alle importanti risorse naturali e alle produzioni industriali di quel paese, che non a caso hanno fatto gola anche agli Stati Uniti e all’Europa. Se invece tali obiettivi non saranno raggiunti si prospettano grandissime difficoltà per il colosso eurasiatico.
Ma problemi ci saranno anche sul versante occidentale. Le sanzioni potrebbero avvicinare ulteriormente Russia e Cina. Il processo di indebolimento della funzione del dollaro e delle istituzioni finanziarie dominate dagli Usa, quali il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, subirà probabilmente un’accelerata, con evidenti danni per gli Usa, a meno che questi ultimi non siano disposti – e non sono in grado di escluderlo – di portare il mondo nel baratro di un conflitto mondiale per ripristinare il proprio dominio unipolare. Naturalmente anche per gli Usa molto dipenderà dalle sorti della guerra perché una sua nuova sconfitta ridimensionerebbe notevolmente le loro ambizioni.
Chi invece ci rimetterà comunque vada a finire, oltre al popolo ucraino e a quello russo, sarà l’Europa. Incapace di svolgere un ruolo autonomo in questa vicenda e allineata, sia pure con qualche distinguo, alla leadership americana sia in salsa democratica che in salsa repubblicana.
Il vecchio continente avrebbe avuto tutto l’interesse a stabilire rapporti amichevoli con la Russia, sua principale fornitrice di energia e prodotti agricoli. Schierandosi con gli Usa, ignorando l’appello russo a non oltrepassare la “linea rossa” della propria sicurezza e favorendo indirettamente l’avvicinamento fra Russia e Cina, ha fatto venire meno, almeno per un bel po’ di tempo, questa occasione di partenariato. Si allontanano così le possibilità di un’integrazione che sarebbe stata di comune interesse. Al contrario si sospendono progetti di infrastrutture quali alcuni gasdotti russi o quelle della nuova via della seta per rivolgersi verso l’alleato di Oltreoceano con costi finanziari e ambientali incrementati. Gli Usa conquisteranno completamente il mercato europeo non con la competitività dei suoi prodotti, ma con loro sue imposizioni.
Ai lavoratori europei giungerà il conto di questa guerra in termini di inflazione, e quindi perdita di potere d’acquisto di salari e pensioni, di dirottamento di buona parte della spesa dalla sanità e dal welfare verso il comparto militare (104 miliardi!), con tante grazie da parte dell’industria bellica, di riduzione degli spazi democratici (dopo la pandemia, la guerra è un’ottima occasione) e perfino di omologazione dell’informazione e della cultura.
Un altro possibile danno si registrerà se venisse scelto, per contrastare l’inflazione, di innalzare i tassi di interesse. In questo caso molte imprese chiuderebbero i battenti e altre ridurrebbero gli investimenti, determinando un aumento della disoccupazione e un’accelerazione del processo di centralizzazione dei capitali che, Emiliano Brancaccio docet, porta con sé la centralizzazione del potere.
Pandemia e guerra stanno mettendo in luce tutte le contraddizioni dell’attuale modo di produzione che ormai da molto tempo ha perso ogni carattere progressivo e che determina un grave peggioramento dei rapporti sociali, del tenore di vita e dell’ambiente.
È indispensabile che il mondo del lavoro lavori urgentemente alla costruzione di un’opposizione efficace alle politiche europee, a un suo coordinamento sovranazionale e all’individuazione di un programma unificante per costruire un blocco sociale capace di incidere e prospettare alternative a questo sfacelo.