Una lente contemporanea per affrontare le crisi esistenziali che abbiamo davanti

La storia del capitalismo dalla sua genesi alla sua putrefazione, che ne rende necessario il superamento in senso eco-socialista, sebbene ci siano delle oggettive barriere e delle necessità storiche per superare questi ostacoli.


Una lente contemporanea per affrontare le crisi esistenziali che abbiamo davanti

 Pubblichiamo questa traduzione inedita dell’articolo in cui l’autore, mediante la lente del marxismo, fa un’analisi del capitalismo dalla sua genesi al suo stadio di putrefazione. Riteniamo questo articolo un importante spunto di riflessione poiché ha il pregio di evidenziare quelli che a suo avviso sono i principali ostacoli a livello globale per una uscita rivoluzionaria dalla crisi socio-economica ed ecologica, nonché i passaggi necessari per il superamento dell’esistente.

 

Acquisiamo la nostra comprensione del mondo attraverso la lente della teoria. Per i rivoluzionari, le leggi fondamentali del comportamento di un sistema capitalista erano già state comprese e anticipate più di centocinquanta anni fa da Karl Marx e Frederick Engels e dai loro compagni di lotta. Per fortuna, il loro lavoro viene costantemente aggiornato e applicato alle condizioni contemporanee. Possiamo ricorrere per un’introduzione a coloro che hanno dimostrato di essere eccellenti educatori.

Anche se molti avranno già appreso le leggi fondamentali del comportamento capitalista da altri educatori altrettanto bravi, sia chi non ha familiarità con l’economia marxista sia i molti che se ne occupano da decenni, troveranno un’utilissima introduzione, comprensiva di illustrazioni e applicazioni a esempi contemporanei, in Hadas Thier, A People’s Guide to Capitalism (2020, Haymarket Books).

Per prendere in esame ed affrontare le molteplici crisi che ci troviamo davanti ora, dobbiamo individuare innanzi tutto l’attuale stadio di sviluppo capitalista e l’azione corrispondente. Altrimenti non affronteremo in modo efficace queste crisi.

Spesso viene ignorato il fatto ovvio che tutte le teorie dello sviluppo storico dell’esistenza sociale dell’umanità iniziano con le relazioni ecologiche, in particolare le relazioni tra le persone per farsi strada nella natura. L’evidenza storica, tuttavia, indica abbastanza chiaramente che le relazioni comunitarie tra persone e le relazioni commensali con altri esseri viventi non solo hanno caratterizzato le nostre origini come esseri sociali, ma continuano a caratterizzarci, seppur contraddette dalla violenza connaturata al mantenimento delle divisioni di classe.

Non dobbiamo andare lontano per trovare modelli di relazioni comunitarie, inclusa la moralità comunitaria. Né dobbiamo guardare lontano per riconoscere la nostra dipendenza da un ambiente sano in grado di sostenere la vita umana. La solidarietà e l’alleanza tra il movimento ambientalista e le Prime Nazioni [le popolazioni autoctone del Canada, ndtr] è condizione essenziale per la realizzazione di un futuro eco-socialista.

Come siamo dunque arrivati a questo punto della storia umana, dove l’opportunità di un futuro è messa in discussione dalla violenza del capitalismo? Quando le circostanze ambientali locali combinate con gli sviluppi tecnologici permisero per la prima volta la raccolta o la creazione di sostanziali surplus che andavano oltre i bisogni immediati per la sopravvivenza dell’umanità, iniziarono a emergere le divisioni di classe. La gestione di questi surplus nel tempo si accompagnò alla concessione di privilegi per chi apportava i contributi maggiori. Questi privilegi fecero sì che gran parte dell’umanità scendesse lungo la china dei diritti ereditari, tra cui il patriarcato, la schiavitù, la proprietà ereditaria della terra, una classe mercantile e il controllo privato sui mezzi di scambio (denaro e credito).

Il capitalismo, lo sfruttamento del lavoro salariato, fu l’ultimo passo nell’emergere di relazioni sociali divise secondo classi. Ogni altro tipo di rapporto sociale di sfruttamento ha continuato ad esistere, subordinato all’egemonia della classe capitalista e accompagnato dall’equipaggiamento ideologico necessario per giustificare sfruttamento ed oppressione.

Il capitalismo rimane un sistema dinamico, ancora in grado di farsi spazio per mantenere la propria esistenza, ma anche capace di ripiegare su rapporti feudali man mano che lo spazio per il continuo sfruttamento del lavoro salariato si esaurisce. Ma, a differenza delle civiltà localizzate del passato, essendo ormai un sistema globale, non è rimasto molto spazio, o forse nessuno, per un ulteriore ampliamento dello sfruttamento delle risorse naturali da parte del capitalismo che non aggravi la crisi esistenziale che l’umanità si trova ora di fronte.

All’interno dei primi paesi industrializzati, il capitalismo ha da tempo superato la fase di sviluppo studiata da Karl Marx. L’Inghilterra e l’anglosfera degli stati coloniali britannici non sono più le officine del mondo. Il plusvalore estratto dal lavoro produttivo della classe operaia all’interno dei paesi capitalisti sviluppati non è più in grado né di mantenere l’oligarchia capitalista che vi risiede, né di sostenere pienamente i lavoratori che costituiscono la maggior parte della popolazione di questi paesi, impiegati in gran parte nel settore dei servizi. A questo proposito, per lavoratori produttivi intendiamo, con Karl Marx, coloro che sono impegnati nell’estrazione e nella produzione di prodotti dalla natura. Questi includono i lavoratori salariati, a contratto e impiegati assunti dalla classe capitalista per produrre beni, principalmente nella produzione industriale, agricoltura, silvicoltura, estrazione mineraria e pesca. Statistics Canada, ad esempio, include solo il 6% circa dei lavoratori canadesi in queste categorie.

Marx, a ragione, ha studiato il capitalismo durante i decenni in cui ha vissuto in Inghilterra. Nella maggior parte del mondo il capitalismo doveva ancora emergere come forma dominante di relazione sociale. Già un secolo e mezzo dopo la morte di Marx, i tassi di profitto medi relativamente bassi durante l’ultimo mezzo secolo fanno pensare che stiamo probabilmente assistendo all’ultima fase della sopravvivenza del capitalismo come sistema di relazioni socio-economiche dominante a livello globale.

Con la variazione ciclica, il tasso medio di profitto nei principali paesi capitalisti è sceso da poco più del 50% nel 1870 a poco più del 10% nel 1980. Dal 1980 è variato ciclicamente secondo valori che si discostano di pochi punti percentuali dal 10%. Per questi dati, e per un resoconto del metodo utilizzato per il calcolo del tasso di profitto, si veda: Michael Roberts, The Long Depression (2006, Haymarket Press), pp. 20-21, e Michael Roberts, Marx 200: a review of Marx’s economics 200 years after his birth (2018, Lulu.com), in particolare p. 42 per dati specifici per il Regno Unito e p. 55 per i dati corrispondenti per gli Stati Uniti. Nel secondo (p. 55), Roberts sostiene che “il capitalismo non è ancora esaurito…. Il centro dell’accumulazione si è spostato negli ultimi 200 anni, [prima] dalla Gran Bretagna all’Europa ai tempi di Marx, [poi] negli Stati Uniti e in parti dell’Asia nel 20° secolo e ora verso la Cina e l’India. E restano altre zone per sfruttare la forza lavoro”.

È chiaro, tuttavia, soprattutto dal 1970, che la classe capitalista all’interno dei principali paesi capitalisti si è affidata al trasferimento delle industrie sotto il suo controllo in paesi in cui è in grado di estrarre tassi di profitto più elevati dalla forza lavoro. Basandoci sull’interpretazione dei tassi di profitto medi storicamente bassi guadagnati dalle imprese private all’interno dei principali paesi capitalisti, è già ragionevole chiedersi se il capitalismo all’interno dei principali paesi capitalisti potrebbe sopravvivere senza la rendita imperialista che i loro capitalisti residenti, principalmente finanzieri, estraggono dal resto del mondo. Alla classe capitalista residente all’interno dei principali paesi capitalisti e alla cricca di alti dirigenti e mercenari di alto livello (militari, politici e accademici) da cui dipende, rimarrebbe altrimenti solo il reddito che ricava da un rapporto feudale con le maggioranze nei paesi d’origine, le quali dipendono, direttamente o indirettamente, da redditi di lavoro.

Questa realtà è più evidente nel comportamento delle varie fazioni della classe dirigente statunitense. Il duopolio dei partiti politici al governo e dei maggiori investitori sull’esito delle elezioni americane si stanno comportando sempre più come signori feudali, o peggio, signori feudali in difficoltà. L’esempio più chiaro è il loro attuale comportamento nei confronti di Russia e Cina, che include una pericolosa incoscienza rispetto al potenziale di una guerra in cui potrebbero essere utilizzate armi nucleari, intenzionalmente o accidentalmente.

Per arrivare a questo stadio in appena duecento anni, il capitalismo ha già minato le proprie possibilità di sopravvivenza come sistema economico. Spinto dal movente del profitto e dalla concorrenza tra capitalisti, il capitalismo ha rapidamente ridotto la necessità di manodopera per produrre i beni materiali di cui l’umanità ha bisogno per la sua esistenza e, al contempo, ha rapidamente minato la capacità della biosfera terrestre di sostenere l’esistenza umana. L’età d’oro del capitalismo nell’epicentro dei principali paesi capitalisti era già finita negli anni ’70.

Mentre si riduceva la redditività derivante dallo sfruttamento del lavoro salariato produttivo all’interno dei principali paesi capitalisti, i capitalisti hanno fatto affidamento sugli investimenti esteri, determinando il trasferimento di profitti e beni materiali dall’esterno all’interno del nucleo, in altre parole, l’imperialismo globale.

Sono proseguite la distruzione della biosfera come dimora dell’umanità e la riduzione delle opportunità di espansione capitalista. Il capitalismo si è scavato la fossa da solo. Non basta una semplice riforma a salvare una qualsiasi parte dell’umanità dalle crisi che dobbiamo affrontare.

Allo stesso tempo, sviluppando inavvertitamente la tecnologia e fornendo l’istruzione necessaria per utilizzare questa tecnologia, il capitalismo globale ha creato i mezzi per la costruzione della sua alternativa, una civiltà globale in grado di gestire il rapporto dell’umanità con la natura e ottenere un’equa distribuzione di beni e servizi sia a livello nazionale sia tra paesi diversi.

Insieme alle opportunità di trasformazione rivoluzionaria, il capitalismo ha anche creato barriere che devono essere superate se l’umanità vuole trovare una via d’uscita dalle crisi socio-economiche ed ecologiche che ha creato. Le principali barriere sono il potere economico e militare degli Stati Uniti, le istituzioni internazionali a loro subordinate, una rete globale di capitalisti e mercenari compradores, l’imposizione del dollaro USA come valuta principale per il commercio internazionale e l’influenza globale della cultura capitalista statunitense.

Necessari per il successo della transizione dal capitalismo dominante a un’alternativa socialista sono:

1. Il multipolarismo come necessità strategica, rispondente al diritto e alla richiesta di tutti i popoli di raggiungere il proprio sviluppo economico e culturale, contrapposto al potere egemonico dell’imperialismo statunitense e dei suoi alleati.

2. Collaborazione globale, cooperazione e solidarietà tra le forze progressiste.

3. Impegno e azione delle forze progressiste in tutti i paesi per l’espansione dei beni comuni, compresi il ripristino, la protezione e la gestione sostenibile del nostro ambiente naturale, la fine della proprietà privata sulla conoscenza e l’espansione dei servizi gratuiti e dei beni essenziali necessari per salute e benessere umano.

 

L’elaborazione di alcuni di questi argomenti si trova in undici articoli scritti in collaborazione con Karen McFadden e pubblicati su Green Social Thought (www.greensocialthought.org). Questi articoli sono stati raccolti e resi disponibili sulla homepage di Karen e sul mio sito web, https://greensocialdemocracy.org, con il titolo del libro Achieving an Ecological Civilization.

 

Traduzione dall’inglese di Stefania Fusero

24/02/2023 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

Condividi

La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

Newsletter

Iscrivi alla nostra newsletter per essere sempre aggiornato sulle notizie.

Contattaci: