Democratici a parole, imperialisti nei fatti

I problemi della transizione al socialismo e al comunismo dei paesi accerchiati dall'imperialismo, la lotta contro tutti gli imperialismi e le ragioni economiche e politiche della guerra in Ucraina.


Democratici a parole, imperialisti nei fatti

I comunisti, in quanto avanguardia della classe dei lavoratori, mirano al potere non solo prettamente politico ma soprattutto economico. Lo scopo è rivoluzionare i rapporti di proprietà dei mezzi di produzione perché siano posti al sevizio dell’umanità. Le avanguardie comuniste porranno il potere in mano al proletariato organizzato in consigli dei posti di lavoro o di quartiere. La presa del potere non significa che la futura società senza sfruttati – cioè quella società per la quale non esistendo più divisioni di classe realizzerà “da ciascuno secondo le sue capacità e a ciascuno secondo i suoi bisogni” – sarà possibile erigerla con un decreto. È ormai chiaro che, una volta preso il potere, aumenta e si intensifica la lotta di classe a livello nazionale e internazionale. La borghesia, classe avversa ai lavoratori, non sarà inerme ma si opporrà con tutta la sua forza a livello nazionale ed internazionale a questo processo di liberazione e di sviluppo di un nuovo umanesimo. Anche se il movimento operaio ha svolto un ruolo di primo piano nella conquista della stessa democrazia formale, essa, specialmente a seguito della sua degenerazione dovuta anche all'elevatissimo livello di centralizzazione dei capitali, rappresenta oggi un'oligarchia, la dittatura del 1% contro il 99 % della popolazione. I lavoratori in poche parole avranno il compito di riqualificare la democrazia formale conferendole il carattere di sostanziale. La costruzione del socialismo diventa una necessità storica e un passaggio fondamentale a una società senza sfruttamento. Ciò si potrebbe sintetizzare come la dittatura del proletariato, cioè il dominio del 99% nei confronti del 1% della popolazione che detiene i mezzi di produzione.

Ricorrentemente la storia ci ha posto di fronte a un interrogativo e ancora oggi esso è di attualità in molti stati dove ancora non si è adeguatamente sviluppato il capitalismo: vale la pena rompere gli anelli più deboli della catena in una situazione internazionale caratterizzata dall'imperialismo quale fase “suprema” (o “superiore”) del capitalismo? In altre parole, in un paese dove ancora le masse non sono per la maggior parte proletarie, dove ancora la rivoluzione industriale non si è sviluppata e ancora hanno consistenza altre classi caratteristiche delle società precapitaliste, la presa del potere da parte dei comunisti è possibile? È opportuna, in questa situazione dove ancora il proletariato non è la classe di maggioranza, la presa del potere? Ovviamente qualora la risposta sia affermativa ci troviamo di fronte al l'arduo compito di sviluppare il capitale, perché evidentemente il comunismo non è la socializzazione della miseria. La storia ha ampiamente dimostrato che la transizione al comunismo, posta di fronte alla guerra permanente, intrapresa con ogni mezzo da paesi cosiddetti democratici, non riesce a sviluppare appieno le proprie forze. Gli embarghi sono un’arma micidiale al servizio dell’imperialismo. Gli stati occidentali, formalmente democratici, che praticano questi sabotaggi economici non si fermano neppure in situazioni di disastro umanitario, come il terremoto in Siria e lasciano migliaia di morti siriani sepolti nelle macerie e milioni di persone al freddo. Inoltre, in quasi tutti i paesi dove la rivoluzione ha vinto, i governi rivoluzionari hanno accettato un'ulteriore fase propedeutica al passaggio al socialismo, il capitalismo di Stato, chi esplicitando oggettivamente la necessaria fase di arretramento tattico e temporaneo dovuto all’implementazione dello scontro fra le classi e che al più presto dovrà essere risolta (per esempio i bolscevichi nella fase della NEP), chi in maniera “armoniosa” ma non di meno comportante compromessi con il capitale mondializzato (leggasi la Repubblica Popolare Cinese).

Sappiamo come in Italia sia difficile costruire un partito comunista unitario volto alla trasformazione della società; sappiamo quanto sia difficilissima la presa del potere formale (si veda la Francia, pur interessata da dure lotte di classe), quanto ancora più difficile sia il mantenimento del potere formale (si vedano il Perù e altri paesi dell'America Latina vittime di golpe confezionati dall'imperialismo statunitense). Ancora più difficile è mantenere il potere in situazioni in cui si subisce l'accerchiamento in uno stato permanente di guerra economica (embargo) e politica (blocco) in cui non è concessa la possibilità di svilupparsi (Cuba), o dover competere ed essere considerati i più acerrimi nemici dell’imperialismo (La Repubblica Popolare Cinese).

Lenin, durante la prima guerra imperialista mondiale, scrisse il suo saggio “L’imperialismo, fase suprema del capitalismo”, in una fase storica in cui, se pur esistessero forti organizzazioni operaie, le democrazie formali si facevano una guerra fratricida l’una contro l’altra per la spartizione del mondo, lasciando sul campo milioni di proletari morti. Nel 1916 non erano ancora sorte nuove società che si ponevano l'obiettivo di superare lo sfruttamento. Il proletariato non aveva ancora vinto in nessuna parte del mondo. Lo stesso Lenin nel 1920, non più obbligato a vivere in esilio e non più costretto a dover scrivere nel linguaggio degli schiavi, avendo vinto “l’assalto al cielo”, non indugiò rivedere e riformulare quel suo testo ma si limitò essenzialmente alla ristampa e alla stesura della prefazione. Il momento storico in cui si trovavano ora i bolscevichi era alquanto mutato. L’opuscolo non soltanto aveva implementato l’analisi scientifica economica, aggiornando il Capitale di Marx ma aveva anche fatto breccia in Russia, svelando alle masse le politiche nefaste dello Zar e dimostrando che con la presa del potere si sarebbe potuti uscire dalla prima guerra mondiale, scatenata dalle democrazie liberali, come in effetti avvenne grazie al disfattismo rivoluzionario.

Lenin non ebbe più il tempo di rivedere il testo scientifico scritto ma dovette dedicarsi a implementare il marxismo nella nuova fase in cui la Russia si era trovata con la presa del potere da parte dei bolscevichi.

Altro fondamentale maestro del nuovo umanesimo Gramsci, analizzando dall’esterno l’opera dei bolscevichi, e dunque non partecipando direttamente al processo rivoluzionario avviato in Russia, sostenne come tale evento di straordinaria importanza fosse la rivoluzione contro il Capitale di Carlo Marx: “Era la dimostrazione critica della fatale necessità che in Russia si formasse una borghesia… non hanno compilato sulle opere del Maestro una dottrina esteriore di affermazioni dogmatiche e indiscutibili”. Dunque Gramsci, sempre più attuale che mai, ci impone di scrollarci da “incrostazioni positivistiche e naturalistiche”. Come giustamente affermava Lenin in Sotto la bandiera altrui: “Il metodo di Marx consiste prima di tutto nel considerare il contenuto oggettivo del processo storico in un determinato momento concreto, in una data situazione, nel comprendere prima di tutto quale movimento, e di quale classe, è la molla fondamentale del progresso possibile in una situazione concreta”[1]. Riprendendo tali tesi non possiamo affermare che stiamo nella situazione storica del 1916 e dobbiamo aggiornare la situazione concreta dell’imperialismo non rinnegando “il pensiero immanente vivificatore”[2].

Dall’inizio del 900 ad oggi vi sono stati importanti avvenimenti: due guerre mondiali, il secolo breve e l’affermazione egemonica statunitense. La NATO non rappresenta uno Stato imperialista ma un'alleanza fra stati imperialisti, di cui l’Italia è fra i paesi fondatori, perché alla borghesia italiana ha fatto comodo per sbarrare la strada alla rivoluzione avviata con la Resistenza al nazifascismo. Questa alleanza rappresenta uno dei nostri principali nemici.

L’accerchiamento della federazione russa con basi militari in prossimità di quasi tutti i suoi confini, l’embargo criminale e gli armamenti ai nazisti Ucraini rappresentano (citando Lenin) “una lega tra tutte le potenze imperialiste” [3]. Se l’imperialismo inglese, è un “imperialismo coloniale”[4], il francese è “imperialismo da usurai” e quello statunitense l’imperialismo egemonico, possiamo affermare che gli USA rappresentano la più grande minaccia del genere umano con il loro arsenale nucleare sparso anche nel territorio italiano. La loro potenza militare brutale la conosciamo in azione (Iraq, Afghanistan, Libia, Siria, ecc.). Il signoraggio del dollaro e il consenso culturale (musicale, filmografico, artistico, linguistico, ecc ecc) sono le due facce della stessa medaglia che descrivono l’imperialismo egemonico statunitense a livello internazionale. L’Unione Europea, cui la borghesia italiana sta cedendo, con tutte le riforme (stravolgimenti) costituzionali, parte del potere politico ed economico, rappresenta una fetta dell’ordinamento giuridico italiano e dunque dell’imperialismo nostrano. L’unione Europea è dunque fra i principali nemici che dovremmo combattere. L’imperialismo succube italiano è uno dei nostri principali nemici, forse rappresenta l’anello più debole della catena imperialista da dover spezzare, portando la penisola fuori dalla sfera egemonica statunitense, dalla NATO e dell’Unione Europea.

Indubbiamente il capitalismo non gode negli ultimi anni buona salute. Potrà uscire dalla crisi di sovrapproduzione nei paesi a capitalismo avanzato, in cui regna la democrazia formale, conquistando nuovi mercati e distruggendo capitale, anche con la guerra

La guerra con la Russia, per interposta Ucraina, avvantaggia palesemente gli USA che, essendo anch'essi immersi nella crisi economica mondiale, hanno l’esigenza di conquistare nuovi mercati (per il gas liquefatto ad esempio). Iniziata 8 anni fa, tale guerra ha visto una drastica intensificazione con l’entrata in campo dei russi nel febbraio dell'anno scorso, seguita dall'escalation innescata dagli aiuti militari della NATO all'Ucraina e dalle contromisure russe. Sempre Lenin affermava “Specialmente si acuisce l’oppressione delle nazionalità e la tendenza alle annessioni, cioè alla soppressione della indipendenza nazionale (giacché annessione significa precisamente soppressione dell’autodecisione delle nazioni)” [5]. Siamo di fronte al tentativo USA della annessione non formale ma sostanziale dell'Europa Occidentale, di separarla dalle relazioni economiche con la Russia, che le potevano permettere di acquistare materie prime e prodotti energetici a costi convenienti, e costringerla a diventare il mercato dei più costosi prodotti statunitensi. Il gasdotto Nord Stream 2 è stato sabotato proprio nell’interesse ad eliminare la rotta del gas alternativa che dalla Russia arriva direttamente in Germania ed Italia, aggirando le neocolonie Usa rappresentate dai paesi dell’Europa orientale e dunque l’Ucraina. Il colpo di stato di Piazza Maidan e le successive persecuzioni dei popoli del Donbass sono stati funzionali alla preparazione di questa guerra.

Notiamo che la Russia non è uno stato imperialista perché non vi ravvisiamo il carattere generale complessivo descritto nell'opuscolo di Lenin, né ci pare possibile riscontrarvi i 5 “principali contrassegni” e cioè: 1) la concentrazione della produzione e del capitale, 2) la fusione del capitale bancario col capitale industriale; 3) la grande importanza acquistata dall’esportazione di capitale in confronto con l’esportazione di merci; 4) il sorgere di associazioni monopolistiche internazionali di capitalisti, che si ripartiscono il mondo; 5) la compiuta ripartizione della terra tra le più grandi potenze capitalistiche [6].

Putin non è di certo un bravo uomo, il suo regime è autoritario e arretrato sul terreno dei diritti civili. Vi si arricchiscono e si procacciano potere alcuni oligarchi (ma non quanto in Occidente, dove però vengono denominati “capitani d'impresa”, “finanzieri” e perfino “filantropi”). La Russia non corrisponde al paese che vorremmo, ma contribuire a denigrare la sua figura e non ascoltare le richieste di sicurezza del suo paese significa appoggiare il proprio imperialismo e dunque essere sciovinisti. Infatti abbiamo notato come la propaganda di guerra in Italia abbia travisato i reali motivi dell’operazione speciale Russa, demonizzando, anche con un'informazione falsa, la nazione “aggressore” e mettendo in sordina il carattere autoritario della nazione “aggredita”, anzi quasi santificandola.

Viviamo in una fase molto buia della preistoria del genere umano e dobbiamo aspettarci una nuova controffensiva russa in Ucraina che potrebbe non limitarsi più alle repubbliche auto dichiarate del Donetsk e Luhansk e della Crimea, quest'ultima annessa senza aver sparato un colpo. Oppure un'offensiva in Ucraina come risposta ai nuovi armamenti a lunga gittata, offerti dalla Germania e USA, che potrebbero colpire il territorio russo. I pacchetti delle sanzioni e l’embargo imposto alla Federazione Russa rappresentano nettamente chi è l’aggredito e chi è l’aggressore. L’imperialismo italiano insieme a tutti i paesi imperialisti occidentali stanno circondando la Federazione Russa con basi NATO per assoggettarsi quella quota di plusvalore prodotta dal proletariato russo e rubato dai capitalisti russi, aprire nuovi mercati e conquistare nella sostanza nuove terre per ovviare alla crisi del sistema capitalista. Ovviamente tale nefasta volontà dell’alleanza imperialista sta provocando in tutti i paesi un’inflazione e un abbassamento del potere d’acquisto dei salari diretti. A diversi gradi d’impatto le sanzioni alla Federazione Russa, e il finanziamento degli armamenti, non soltanto aumentano il rischio di una escalation e la possibilità dell’utilizzo della bomba atomica ma determinano un peggioramento delle condizioni di vita del proletariato mondiale.

La pressione degli USA in questa guerra ha però un altro non secondario scopo. L'equilibrio determinatosi dopo Yalta si è rotto con l'implosione dell'URSS e del campo socialista. Gli Stati Uniti, usciti vincitori dalla “Guerra Fredda”, hanno imposto a gran parte del mondo le ricette liberiste che hanno sconquassato le conquiste dei decenni precedenti e hanno indotto gli stati ad abdicare in favore del “mercato”. Per i governi neoliberisti mancano sempre le risorse per la spesa sociale e, per assoggettare alla logica del profitto più ambiti possibili, vengono promosse privatizzazioni sia dei comparti produttivi strategici che dei servizi essenziali.

E tuttavia il gigante USA, pur imponendo il suo modello a gran parte del mondo, sta attraversando una grave crisi e vede smottare l'unipolarismo che si era condensato attorno a lui.

Per anni, dalla fine della convertibilità del dollaro, gli States hanno potuto vivere al di sopra delle loro capacità produttive stampando moneta, visto che il dollaro continuava a essere la moneta principe utilizzata negli scambi internazionali e nelle riserve delle banche centrali. La supremazia di questa valuta, all'occorrenza, veniva imposta con la forza.

Ma il mondo sta cambiando e sempre più nuovi paesi, soprattutto ex-coloniali o ex-neocoloniali stanno percorrendo strade nuove per uscire dal cronico sottosviluppo e vanno superando la loro sudditanza.

Fra questi è clamorosa l'ascesa della Cina, da dove proviene il 40% delle merci prodotte nel mondo. Questo paese, che era fra i più poveri del globo, in pochi anni ha fatto uscire dalla povertà, che invece da noi sta aumentando, quasi un miliardo di persone.

Oggi può rappresentare una sponda per i paesi che non vogliono rimanere completamente subordinati all’ordine del dollaro: la Russia, l’Iran, la Turchia, gran parte dell'America Latina, i Brics ecc.

Sul piano delle politiche economiche, qualsiasi cosa si pensi del suo regime, il modello cinese, pur lasciando ampio spazio al mercato, tiene sotto il controllo statale le essenziali industrie strategiche e il sistema bancario e sostiene ingenti investimenti in Asia e in Africa. Anche la “nuova via della seta” costituisce un'iniziativa per connettere, non solo economicamente, gran parte del mondo.

Per questo la Cina è vista dagli Stati Uniti come il nemico numero uno, come traspare dai documenti dei vari G7 e dei summit della NATO.

Si sta costruendo un muro invalicabile fra l’Occidente in senso lato e il resto del mondo, fra le “democrazie liberali” e le altre forme di governo e di stato, tutte più o meno dipinte come dittature. Si va inscenando una sorta di guerra di civiltà fra il bene e il male assoluto. Da qui, in continuità con le pulsioni e la cultura del liberalismo, si sfocia facilmente nel razzismo. La crescente militarizzazione del Pacifico e l'inasprimento della questione di Taiwan rientrano in questa strategia. Attaccando la Russia, che è l'alleato più potente della Cina, si cerca disperatamente colpire anche quest'ultima come, del resto, tutti i governi antimperialisti, i Paesi non allineati e i Paesi che stanno cercando, nonostante le mille difficoltà, di costruire un sistema economico alternativo al capitalismo.

Chi sta subendo le conseguenze di queste politiche guerrafondaie nel nostro paese sono i lavoratori italiani. Chi invece sta facendo super profitti sono gli intermediari del gas e gli speculatori sul suo prezzo, oltre alle industrie belliche italiane. Il primo responsabile della gravità della situazione è il capitalismo.

 

Note:

[1] V.I. Lenin, Sotto la bandiera altrui, 1915, da Lenin, Opere Complete, vol. 21, Editori Riuniti, Roma, 1967, pagg. 119-139.

[2] A. Gramsci, La rivoluzione contro il Capitale, Pubblicato sull'Avanti il 24 novembre 1917 e su Il Grido del Popolo il 5 gennaio 1918.

[3] V.I. Lenin,  L’imperialismo, Editori Riuniti, Roma, pag.161.

[4] Ivi, pag. 101.

[5] Ivi, pag.163. La citazione non deve essere equivocata per l'apparenza che la Russia opprima o addirittura voglia annettere l'Ucraina. Va spiegato che negli anni passati, attraverso rivoluzioni colorate, parte degli stati dell’ex unione sovietica sono stati incorporati nel blocco egemonizzato dagli USA e armati in funzione antirussa. Per quanto riguarda i 5 punti di Lenin occorre, ricordare che in sede di prefazione a successive ristampe dell'opuscolo Lenin prende in considerazione altri aspetti e fra questi rimarca il ruolo dell’aristocrazia operaia.

[6] V.I.Lenin, L'imperialismo ecc., in Opere scelte, Editori Riuniti, Roma, pagg. 638-39.

17/02/2023 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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