Angela Merkel ha rivelato che gli accordi di Minsk altro non erano che uno specchietto per le allodole per prendere tempo e armare di tutto punto l’Ucraina. Ciò era funzionale al fatto che le potenze imperialiste miravano a una guerra per interposta Ucraina, per scaricare sui due principali Paesi ex sovietici gli aspetti negativi della crisi di sovrapproduzione, da loro stessi prodotta. Inoltre, e questo aspetto è determinante, il progetto di inserire l’Ucraina nella NATO, obiettivo fra i principali della controrivoluzione colorata di Maidan, ha per i Paesi della NATO un significato talmente importante, da divenire un principio non negoziabile. L’Ucraina nella NATO avrebbe comportato che la minaccia di un attacco nei suoi confronti sarebbe divenuto impossibile, dal momento che attaccarla, magari come risposta a una sempre più preparata offensiva contro le regioni russofone del Donbass, avrebbe comportato un conflitto aperto contro la più potente alleanza militare di tutti i tempi. Inoltre, tale nuovo scenario avrebbe consentito ai Paesi della NATO di schierare lo scudo antimissili in Ucraina, già ampiamente dispiegato nei Paesi dell’ex blocco di Varsavia come la Polonia o la Romania. In tal modo, la possibilità dei russi di tenere sotto scacco di un contrattacco nucleare le potenze della NATO, che sempre più la stanno circondando, sarebbe in buona parte venuta meno. Infine, il conseguente aumento della tensione che tale nuovo scenario avrebbe comportato, consentirebbe ai Paesi della NATO di schierare in Ucraina le proprie armi nucleari in una posizione che renderebbe possibile radere al suolo le principali città russe, senza che gli scudi antimissile avessero il tempo di intercettarle e senza dare alla Russia il tempo per contrattaccare. In tal modo, salterebbe definitivamente quell’equilibrio del terrore residuo, che costituisce il principale ostacolo a un predominio completo sul piano internazionale dei Paesi della NATO. Dal momento che la Russia, ereditando l’arsenale sovietico, è il paese più in grado di intimorire e, di conseguenza, di limitare, la altrimenti inarrestabile tracotanza imperialista della NATO. Questi sono i motivi decisivi che hanno portato i Paesi antimperialisti, per i quali è indispensabile l’equilibrio del terrore garantito dalla Russia, per la loro stessa sopravvivenza, cioè la Siria, la Repubblica democratica popolare di Corea, la Bielorussia e l’Eritrea a votare contro la mozione di condanna presentata alle Nazioni unite dai Paesi della NATO e ha portato altri Paesi chiave del blocco antimperialista, come Repubblica popolare cinese, Cuba, Venezuela e Iran ad astenersi, ampliando la cooperazione con la Russia. Inoltre diversi Paesi chiave di quello che era stato il terzo mondo, a partire da India e Vietnam, si sono astenuti, per mantenere una posizione da non allineati e non partecipare all’embargo imposto dalle potenze imperialiste alla Russia. Tutto questo nonostante che tutti questi Paesi non possano che essere preoccupati dal fatto che il loro “alleato russo” – sulla base del principio per cui un nemico del mio nemico è mio amico – ha violato, aggredendo l’Ucraina, quel diritto internazionale al quale i Paesi nel mirino delle potenze imperialiste debbono appellarsi, per avere l’opinione pubblica internazionale almeno parzialmente dalla propria parte, dinanzi alle minacce di aggressione sempre più concrete della NATO. Tanto è vero che nessuno di questi Paesi ha legittimato l’aggressione russa e nessuno sembra aver riconosciuto l’adesione alla Russia delle Repubbliche del Donbass. Del resto, a votare contro la mozione promossa all’ONU che condannava l’adesione della Crimea alla Russia, nonostante un referendum in cui la popolazione si era schierata in modo piuttosto netto a favore, erano stati solo dieci Paesi: Armenia, Bielorussia, Bolivia, Cuba, R.D.P. di Corea, Nicaragua, Sudan, Siria, Venezuela e Zimbabwe.
Dunque, persino i Paesi più interessati all’alleanza con la Russia in funzione anti-NATO non hanno potuto approvare del tutto le politiche portate avanti dal governo russo in questa faccenda. Non si capisce, quindi, per quale motivo dovrebbero farlo i comunisti, che non possono certo rinunciare al decisivo principio democratico del diritto dei popoli all’autodeterminazione.
D’altra parte, a spiegare, ma non a giustificare, le azioni della Russia, vi è certamente il fatto che il mantenimento di buoni rapporti con l’Ucraina – quale decisamente più importante paese ex sovietico – ha per il governo russo un’importanza decisiva. Da questo punto di vista la controrivoluzione di Maidan, sostenuta e sponsorizzata da Stati Uniti e imperialismo europeo, non poteva che segnare per la Russia un punto di non ritorno. Il precedente tentativo di mantenere una posizione equidistante fra i Paesi per necessità antimperialisti e i Paesi della NATO, dopo questo ennesimo “tradimento”, non poteva che venire meno.
Ciò non toglie che, anche solo a livello tattico, non conviene apparire nei confronti degli avversari e dell’opinione pubblica internazionale come gli aggressori, soprattutto se la guerra preventiva non è giustificabile, come nel caso dell’attacco alla Georgia, dalla necessità di fermare l’aggressione di un paese sciovinista a una regione separatista russofona.
Allo stesso modo, anche dal punto di vista tattico, cadere nella provocazione che organizza il tuo più acerrimo avversario, per costringerti ad aprire le ostilità in uno scontro che, al momento, non può che essere vinto dal nemico, è una mossa sconsideratamente avventurista. Senza contare che tale attacco da una parte porta a unire come mai buona parte degli ucraini i quali, da essere un popolo quasi spaccato a metà fra filorussi e antirussi, dopo l’aggressione militare si trova a divenire una nazione piuttosto unita nella lotta contro il comune invasore, favorendo, al contempo, il ricompattamento di tutto il mondo imperialista e filoimperialista “occidentale”.
C’è poi da considerare quanto azioni come i ricorrenti bombardamenti contro infrastrutture civili dell’ultima e più aspra fase del conflitto, siano destinati a scavare un fossato fra i popoli precedentemente fratelli russi e ucraini, che neppure il loro principale nemico avrebbe potuto immaginare. Così, anche la dichiarata prospettiva di denazificare l’Ucraina si sta dimostrando fallimentare, dal momento che i fascisti ucraini – da essere degli estremisti piuttosto isolati e considerati con sospetto dallo stesso governo – sono divenuti ora, per diversi ucraini, privi di coscienza di classe, quasi degli eroi nazionali.
A questo punto, per i comunisti, resta decisivo comprendere se della guerra per interposta Ucraina siano responsabili potenze imperialiste in conflitto fra loro, o se da una parte vi siano le potenze imperialiste più aggressive e dall’altra un paese sempre più costretto a difendersi. Spesso, nel tentativo di dirimere la questione, ci si richiama a Lenin. Da questo punto di vista si tende non di rado a citare le cinque caratteristiche dell’imperialismo delineate da Lenin nel celebre saggio popolare. Sulla base di queste caratteristiche, che analizzano l’imperialismo da un punto di vista principalmente economico, la Russia potrebbe essere esclusa dal novero dei Paesi imperialisti, in quanto il suo capitalismo, certamente arretrato in confronto alle grandi potenze, non avrebbe ancora raggiunto lo stadio imperialista. In tali conclusioni si finisce generalmente per omettere che Lenin stesso definisce il suo opuscolo “saggio popolare”, quindi non si tratta di un testo che affronta la questione da un punto di vista propriamente scientifico. Inoltre, non si tiene conto che Lenin premette alla ristampa del saggio, che lo ha dovuto scrivere con il linguaggio degli schiavi, cioè senza poter esprimere gli aspetti rivoluzionari del suo pensiero in materia, per sfuggire alla censura.
Altro aspetto che si dimentica è che Lenin, in praticamente tutti i suoi scritti politici e nei suoi interventi “pubblici”, non fa che attaccare la Russia degli zar, certamente più arretrata dell’attuale Russia dal punto di vista capitalistico, come un paese imperialista. Anzi Lenin denuncia come imperialista anche l’Italia giolittiana che, dal punto di vista dello sviluppo capitalistico, era certamente meno avanzata dell’attuale Federazione russa. Peraltro l’attacco all’imperialismo russo era comune a tutti gli esponenti bolscevichi e nessuno si sarebbe sognato o si è mai espresso sostenendo che, data l’arretratezza economica, il proprio paese non poteva essere considerato tale. Anzi Lenin e con lui tutto il partito non hanno dubbi, dal punto di vista della prassi politica, che il primo nemico da abbattere sia l’imperialismo del proprio paese, cioè l’imperialismo della Russia zarista. Tanto che Lenin più di una volta, anche nel saggio popolare, denuncia come la peggiore forma di opportunismo l’additare come nemico principale l’imperialismo in contrasto con quello del proprio paese.
Del resto tutta la tattica da cui nascerà la Rivoluzione di ottobre è di rovesciare l’imperialismo come causa della guerra, a partire da quello del proprio paese. La tattica di Lenin, fatta propria da tutto il partito e realizzata fino in fondo, è di rompere la catena dell’imperialismo nel suo anello più debole, quello dell’imperialismo russo, per favorire la rivoluzione anche nei Paesi imperialisti più avanzati. Perciò anche nella guerra la tattica di Lenin e del partito è sempre improntata al disfattismo rivoluzionario, cioè la sconfitta del proprio imperialismo va in ogni modo favorita per preparare la strada alla rivoluzione. Quindi non si può sostenere che, seguendo Lenin, non si potrebbe definire imperialista l’attuale Federazione russa, da un punto di vista economico. La questione resta di fondo una questione essenzialmente politica. Si tratta di comprendere se la politica estera di questo paese abbia caratteristiche assimilabili o meno all’imperialismo.
Del resto, dal momento che la realtà è, anche la sua interpretazione deve essere in grado di ricomprendere in sé tale complessità giungendo, nel nostro caso, alla conclusione che nell’attuale Russia convivano due tendenze opposte, quella che guarda con nostalgia all’imperialismo della Russia zarista e quella che, al contrario, vuole sfruttare proprio l’odio di molti Paesi del terzo mondo per l’imperialismo occidentale, per sostituirsi a esso come partner più affidabile.
I comunisti di altri Paesi imperialisti, pur criticando il capitalismo russo, dovrebbero combattere in primo luogo il proprio imperialismo, a maggior ragione se quest’ultimo, nell’attuale frangente storico, è schierato contro la Russia.
Dunque, traducendo la politica leninista e bolscevica, alla base del movimento comunista, nell’attualità i comunisti italiani dovrebbero battersi in primo luogo contro il proprio imperialismo, in secondo luogo contro l’imperialismo dell’Unione europea e, in terzo luogo, contro l’imperialismo della NATO – di cui il nostro paese è parte integrante – che stanno combattendo una vigliacca guerra per procura contro la Russia per mezzo dell’Ucraina.
D’altra parte, in una prospettiva leninista, sarebbe possibile persino un sostegno tattico al capitalismo russo, se ciò può favorire l’obiettivo principale, cioè abbattere il proprio imperialismo. Perciò Lenin, non solo ha accettato il supporto dell’imperialismo tedesco per tornare in Russia dall’esilio e lavorare in funzione della rivoluzione, ma ha anche teorizzato, sulla linea di Machiavelli che, se necessario per avvicinare la realizzazione della rivoluzione, sarebbe lecito allearsi anche con il diavolo a patto, però, che i comunisti continuino a denunciare davanti ai lavoratori e agli oppressi la natura diabolica, cioè nel caso attuale capitalista e, talvolta, sciovinista, del proprio momentaneo potenziale alleato tattico. Quest’ultimo aspetto è determinante, in quanto in caso contrario, l’alleanza con il diavolo, cioè con una potenza capitalista con tendenze scioviniste, renderebbe poco credibile la posizione internazionalista dei comunisti di fronte alla propria classe sociale di riferimento.