Louis Althusser, di contro all’interpretazione umanista del marxismo, sostiene che “Marx non parte dall’«uomo» o dall’«individuo» ma dalla struttura storica dei rapporti sociali” [1]. A questo proposito Domenico Losurdo ricorda come sia il concetto di uomo, sia il concetto di individuo non sono qualcosa di dato, ma il “risultato di gigantesche lotte per il riconoscimento, condotte agitando appunto la bandiera dell’umanismo tanto disprezzato da Althusser” [2], lotte da ascrivere in particolar modo al movimento democratico e socialista piuttosto che a quello liberale [3]. Il riconoscimento dell’individuo e dei suoi diritti indipendentemente dal censo, dal sesso, dalla razza deriva proprio dal concetto universale di uomo che è alla base del principio di uguaglianza.
Losurdo, in uno dei suoi ultimi lavori, Lotta di classe. Una storia politica e filosofica (2013), afferma che la lotta per il riconoscimento è una forma della lotta di classe. La lotta per il riconoscimento mira all’emancipazione di oppressi e sfruttati, tuttavia trascende i loro interessi immediati per assumere una connotazione più universale. Ed è anche in questo modo che Marx ed Engels intendono, fin da subito, la lotta di classe, ovvero non unicamente attraverso il paradigma della redistribuzione del reddito, come credono i liberali [4], ma nei termini più universali dell’emancipazione dell’uomo. Nel Manifesto del partito comunista, del resto, non viene agitata unicamente la bandiera della redistribuzione del reddito [5], ma la piattaforma che deve guidare il movimento, pur includendo le rivendicazioni economiche, va al di là di esse. L’Associazione internazionale degli operai si pronuncia sin da subito per la liberazione delle nazioni oppresse e si impegna “a favore della causa dell’emancipazione degli schiavi afroamericani e della guerra condotta da Lincoln contro il Sud schiavista” [6], nonostante la politica del Nord avesse conseguenze disastrose sugli operai inglesi. Il Nord aveva, infatti, imposto il blocco navale al Sud, che non poteva più esportare cotone in Inghilterra; la conseguenza fu la crisi dell’industria tessile britannica e i licenziamenti di massa. Del resto, osserva Losurdo: “a ben guardare il paradigma della redistribuzione non riesce a spiegare adeguatamente neppure la lotta operaia in fabbrica. Al di là dei salari bassi o da fame, il Manifesto del partito comunista denuncia il «dispotismo» esercitato dal padrone […]. E le «catene» che, a conclusione di questo testo, i proletari sono chiamati a spezzare, sono in primo luogo le catene della «schiavitù» imposta dalla società borghese” [7].
Più che nei termini della redistribuzione, Marx ed Engels leggono la lotta di classe utilizzando il paradigma del riconoscimento. A tale proposito Losurdo cita un saggio del giovane Engels dal titolo Princìpi del comunismo dove il giovane intellettuale tedesco paragona lo schiavo al proletario. Engels evidenzia come lo schiavo ha sicuramente dei vantaggi economici rispetto al proletario: quest’ultimo è costretto a vendersi giorno per giorno e non ha l’esistenza garantita, mentre lo schiavo è venduto una volta per tutte e il suo unico signore gli garantisce, per quanto miserabile, l’esistenza. Tuttavia, “lo schiavo è considerato un oggetto, non un membro della società civile; il proletario è riconosciuto come persona, come membro della società civile” [8], quindi anche se lo schiavo “sta meglio” dal punto di vista economico, subisce però una totale reificazione che il proletario ha in parte superato attraverso numerose lotte per il riconoscimento.
Del resto, nel momento storico in cui Marx ed Engels lanciano l’appello alla lotta di classe vi è una forte richiesta di riconoscimento da parte di chi è escluso dai diritti, umiliato e de-umanizzato. Tale rivendicazione subisce una spinta in avanti a partire dalla Rivoluzione francese e dalla rivolta dei neri di Santo Domingo guidata da Toussaint Louverture; fino a quel momento, infatti, la classe dominante aveva calpestato duramente la dignità umana delle classi subalterne. Scrive, così, Losurdo: “certo, questa deumanizzazione così greve e così esplicita cade in crisi con la rivoluzione francese e con l’irrompere sulla scena della storia dei presunti strumenti di lavoro, e tuttavia essa non dilegua, sicché a ogni tappa della lotta di classe vediamo emergere la rivendicazione del riconoscimento” [9]. In effetti è solo nel febbraio 1848 che i proletari di sesso maschile in Francia conseguono i diritti politici grazie alla lotta, mentre più lunga sarà la lotta delle donne, vittime della schiavitù domestica e senza diritti [10]. L’appello alla lotta di classe, quindi, secondo Losurdo, ha una vasta eco anche perché Marx ed Engels riescono a “recepire ed elaborare sul piano teorico e politico una richiesta di riconoscimento assai diffusa” [11]. Marx ed Engels denunciano come anche il nuovo ordinamento sociale, scaturito dal crollo dell’Antico regime, sia caratterizzato dall’oppressione e precisamente dall’oppressione nei riguardi degli operai considerati alla stregua di schiavi, di bestie da soma, di macchine da sfruttare a piacimento. Al fine di superare questo processo di reificazione e riappropriarsi dell’essenza umana è necessaria la lotta di classe. Osserva Losurdo, citando Marx: “«gli operai devono cercare di uscire da questa condizione che li degrada ad animali (vertierend), di conquistare una posizione migliore e più umana». E ciò è possibile solo con la lotta di classe: «L’operaio può salvare la propria umanità solo con l’odio e la ribellione contro la borghesia» […]. Per il proletariato, «lottare contro la borghesia» significa in ultima analisi «lottare per la sua umanità»” [12].
Note:
[1] Losurdo, Domenico, Come nacque e morì il “marxismo occidentale”, in a cura di Cingoli, M., e Morfino, V., Aspetti del pensiero di Marx e delle interpretazioni successive, Edizioni Unicopli, Milano 2011, pp. 395-418, p. 402.
[2] Ibidem.
[3] Losurdo, nel libro Democrazia o Bonapartismo. Trionfo e decadenza del suffragio universale (1993), contesta la tesi dello sviluppo spontaneo del liberalismo verso la democrazia sostenuta da Bobbio e rivendica alla tradizione democratica e socialista la conquista dei diritti politici e del suffragio universale.
[4] Losurdo evidenzia come la tradizione liberale utilizzi i concetti di libertà e uguaglianza al fine di leggere la lotta di classe “in termini riduzionistici e volgarmente economicistici”. Essa ha, infatti, “attribuito a se stessa l’amore geloso e disinteressato della libertà e ha bollato i suoi avversari quali anime volgari e invidiose, mosse solo da interessi materiali e dal perseguimento dell’uguaglianza economica”. Tale tesi arriva sino a Hannah Arendt, la quale considera Marx “il teorico dell’«abdicazione della libertà davanti all’imperativo della necessità» e il campione della tesi secondo cui «lo scopo della rivoluzione» sarebbe solo l’«abbondanza» materiale e non la «libertà»”. Questo tipo di spiegazione non è, a parere di Losurdo, rigorosa dal punto di vista filosofico e filologico in quanto dimentica “l’impegno concreto per l’emancipazione delle donna e delle nazioni oppresse”, per l’emancipazione degli afroamericani, per l’abolizione della “«schiavitù moderna» e salariata, la lotta quotidiana contro il «dispotismo» padronale in fabbrica e la legislazione liberticida di Bismarck” id., La lotta di classe. Una storia politica e filosofica, Laterza, Bari 2013, p. 81.
[5] Losurdo rischia in casi come questo di buttar via il bambino con l’acqua sporca, cioè la giusta critica dell’economicismo lo porta a ignorare completamente la scienza economica e a ragionare secondo le pseudo-categorie dell’ideologia dominante, per cui, appunto, Marx ed Engels non sosterrebbero soltanto la redistribuzione del reddito. Marx ed Engels non mirano tanto a una redistribuzione del reddito, ma al superamento di una società in cui la forza lavoro è alienata in quanto ridotta a merce. Proprio perciò Marx si considera critico dell’economia politica, che cerca di risolvere i problemi economici sul piano fenomenico del mercato, senza indagarne le cause nel laboratorio segreto della produzione.
[6] Ivi, p. 80.
[7] Losurdo muove da una sacrosanta critica all’interpretazione in chiave unilateralmente economicista della lotta di classe, ma ciò rischia di portarlo, come accade diverse volte, a rischiare di assumere una posizione altrettanto unilaterale. In altri termini nella posizione di Losurdo tendono a sfumare le differenze della posizione socialdemocratica che si limita a denunciare, spesso da un punto di vista esclusivamente morale, gli eccessi della società capitalista, dalla posizione comunista e rivoluzionaria che mira ad abbattere la società capitalistica in quanto fondata sulla alienazione del lavoro salariato e su una democrazia solo formale, in vista di una società dove i mezzi di produzione e riproduzione diverranno proprietà collettiva e si realizzerà una democrazia reale. Così Losurdo critica giustamente l’unilateralità di diversi esponenti del marxismo occidentale, che insistono troppo sulla discontinuità tra la società capitalista e la futura società socialista, non tenendo conto che la storia procede mediante il superamento dialettico dei momenti precedenti, di cui dunque tesaurizza le conquiste. Ciò lo porta, però, a mettere in secondo piano che il momento della continuità, della tesaurizzazione, si accompagna anche al momento della negazione del modo di produzione precedente.
[8] Marx, Karl, Engels, Friedrich, Opere Complete, Editori Riuniti, Roma 1972-90, vol. VI, p. 363.
[9] Losurdo, D., La lotta …, op. cit., pp. 83-4.
[10] Mary Wollstonecraft, nel suo testo I diritti del donne (1792), “accusa la società del suo tempo di considerare e trattare le donne alla stregua di «schiave» cui non è consentito di «respirare l’aria rigenerante e penetrante della libertà» o, peggio, di «graziosi animali domestici»; anzi la cultura dominante giunge sino al punto di discutere dell’«animo femminile» come dell’«anima degli animali»” ivi, p. 84. Eleonor Marx, circa un secolo dopo, denuncia “il fatto che nella società borghese alle donne, sono negati «i diritti che a loro competono in quanto esseri umani» […] la lotta per il riconoscimento era ben lungi dall’essere terminata” ivi, p. 85.
[11] Ibidem.
[12] Ivi, p. 86.