Losurdo e lo Stato nazionale

I marxisti, pur riconoscendo a tutte le nazioni l’uguaglianza politica e l’uguale diritto a costituire uno Stato nazionale, attribuiranno il massimo valore all’unità dei proletari di tutte le nazioni ed esamineranno ogni aspirazione nazionale dal punto di vista della lotta di classe dei proletari.


Losurdo e lo Stato nazionale

Come rileva Domenico Losurdo, Lenin sottolinea il fatto che alla base dei movimenti nazionali agiscono “potenti fattori economici” come la costruzione del mercato interno, fondamentale per lo sviluppo del capitalismo, che necessita anche l’unificazione politica, linguistica, territoriale e culturale di un paese. I marxisti, che non possono non tenere conto di ciò, allo stesso modo sono per l’autodecisione delle nazioni che “non può avere storicamente ed economicamente altro senso che quello di autodecisione politica, indipendenza politica, formazione di Stati nazionali” [1]. In effetti, ciò che interessa al proletariato, non sono le “rivendicazioni nazionali” della borghesia, bensì la lotta di classe, quindi la classe lavoratrice appoggerà gli interessi della borghesia solo se sono funzionali ai suoi, quindi i marxisti, pur “riconoscendo a tutte le nazioni l’uguaglianza politica e l’uguale diritto a costituire uno Stato nazionale”, attribuiranno “il massimo valore all’unità dei proletari di tutte le nazioni” ed “esamineranno ogni aspirazione nazionale dal punto di vista della lotta di classe degli operai” [2].

Questo significa che se una nazione oppressa lotta per la sua liberazione, tale lotta dovrà avere l’appoggio non solo del proletariato della nazione oppressa, ma anche del proletariato della nazione che opprime. In effetti, come evidenzia anche Losurdo: “se la nazione oppressa è invitata a condurre la sua lotta a partire da una base nazionale quanto più larga possibile, nella nazione che opprime il compito del proletariato è di sviluppare l’antagonismo rispetto alla classe dominante, in tal modo promuovendo la propria emancipazione «umana» e contribuendo al tempo stesso all’emancipazione nazionale della nazione oppressa!” [3].

D’altra parte però, secondo Lenin, il proletariato non dovrebbe prendere parte a lotte nazionaliste di stampo imperialista: “l’operaio salariato rimarrà in tutti i casi un oggetto di sfruttamento, e per lottare con successo contro questo sfruttamento il proletariato deve essere esente dal nazionalismo, deve essere, per così dire, assolutamente neutrale nella lotta della borghesia delle diverse nazioni per la supremazia. Il minimo appoggio del proletariato di una qualsiasi nazione ai privilegi della «propria» borghesia nazionale susciterà inevitabilmente la sfiducia del proletariato delle altre nazioni, indebolirà la solidarietà internazionale di classe, dividerà gli operai con grande gioia della borghesia. Negare il diritto all’autodecisione o alla separazione significa inevitabilmente sostenere in pratica i privilegi della nazione dominante” [4].

Secondo Losurdo, nonostante la lezione di Lenin, l’incomprensione della questione nazionale caratterizza un po’ tutto il marxismo occidentale. Anche ai nostri giorni due autori che si richiamano a Marx come Michael Hardt e Antonio Negri, che hanno avuto un grande successo con i due libri Impero del 2000 e Moltitudine del 2004, hanno un atteggiamento piuttosto contraddittorio rispetto a tale questione. Questi due autori sostengono la tesi secondo cui la democrazia rappresentativa non esiste più in quanto legata allo Stato nazionale che ha perso la propria sovranità, essendo stato sostituito dall’Impero, inteso quale egemonia globale del capitale. L’alternativa all’impero, in cui la borghesia è unificata a livello internazionale, è la moltitudine anch’essa unificata, visto il “dileguare delle barriere statali e nazionali” [5].

Semplificando al massimo il concetto di lotta di classe, i due autori simpatizzano per le lotte degli oppressi, come ad esempio per i palestinesi, contro gli oppressori, ma nel momento in cui gli oppressi si saranno finalmente liberati e avranno, quindi, formato uno Stato non potranno più contare sull’appoggio dei due autori. Hardt e Negri ritengono, in effetti, che “nel momento in cui la nazione inizia a formarsi e diviene uno stato sovrano vengono meno le sue funzioni progressiste. Jean Genet si entusiasmò di fronte al desiderio rivoluzionario delle Black Panters e dei Palestinesi, ma dovette riconoscere che la costituzione di una nazione sovrana avrebbe segnato la fine delle loro virtù rivoluzionarie: «Il giorno in cui i Palestinesi si saranno istituzionalizzati, non sarò più al loro fianco: il giorno in cui i Palestinesi diventeranno una nazione come le altre, non sarò più con loro». Con la «liberazione» nazionale e la costituzione di uno stato-nazione, tutte le funzioni oppressive della sovranità lavorano a pieno regime” [6].

Quindi, a parere di Losurdo, tali autori, fedeli a una logica binaria del conflitto di classe, che vede astrattamente da una parte gli oppressi e dall’altra gli oppressori, simpatizzano con i vietnamiti, o i palestinesi o con altri popoli “solo sino a quando essi sono oppressi e umiliati; si può appoggiare una lotta di liberazione nazionale solo nella misura in cui continua a essere sconfitta!” [7]. Secondo Losurdo, quindi, seguendo la tesi di Hardt e Negri sarebbe del tutto “delegittimata” la grande lotta di classe degli schiavi di Haiti per l’emancipazione, ai tempi della Rivoluzione francese nel momento in cui, “dopo essersi costituiti come Stato nazionale, impediscono all’esercito napoleonico di restaurare il dominio coloniale e l’istituto della schiavitù” [8].

Tuttavia, se l’approccio di Hardt e Negri è effettivamente unilaterale, in parte rischia di esserlo anche quello di Losurdo. In effetti, se cambiamo esempio e ci rivolgiamo a un altro emblematico evento passato quale la rivolta dei Paesi Bassi contro l’oppressione della Spagna a partire dal 1566, i termini della questione ci appaiono ben differenti. Lo scontro con la Spagna diviene una guerra di liberazione nazionale e conduce alla nascita della Repubblica delle Province Unite, che ben presto diventa il paese europeo dove maggiore è la tolleranza religiosa e la libera circolazione delle idee. Se è doveroso, da un punto di vista progressista, l’appoggio agli olandesi nella guerra contro la Spagna e nel costituirsi come Stato nazionale, diversamente stanno le cose quando l’Olanda, a partire dal 1619, inizia a controllare la tratta degli schiavi africani in America e la stessa Amsterdam diviene la capitale europea del commercio degli schiavi. In questo caso, dal punto di vista di chi si batte per il riconoscimento di tutti gli uomini, è doveroso interrogarsi se sia ancora opportuno stare dalla parte degli olandesi [9]. Dunque, possiamo concludere che se Hardt e Negri appaiono unilaterali nella loro negazione assoluta dello Stato nazionale, sostenendo una posizione sostanzialmente anarchica, a volte Losurdo – per opporsi a tale posizione – rischia di cadere nell’estremo opposto, cioè di evidenziare solo gli aspetti progressivi dello Stato nazionale, lasciando del tutto in secondo piano gli sviluppi contraddittori del suo sviluppo storico.

In altri termini, la storia dello Stato nazionale, da un punto di vista marxista classico, è legata alla storia dello Stato borghese. Così nel suo affermarsi, di contro all’Ancien Régime, esso ha costituito indubbiamente un passaggio storico progressivo, se non rivoluzionario. Tuttavia, la crisi del dominio della borghesia corrisponde anche al declino dello Stato nazionale e al venir meno della sua natura progressiva. Con il passaggio dal capitalismo all’imperialismo dall’idea nazionale democratica e rivoluzionaria si passa al nazionalismo sciovinista. Inoltre, la dimensione transnazionale dell’imperialismo tende a svuotare di potere il singolo Stato nazionale. Infine, se l’affermazione dello Stato nazionale in un primo momento non può che essere sostenuta dal proletariato, in quanto rappresenta il contesto più favorevole allo sviluppo del conflitto per il potere di contro alla borghesia, è evidente che uno Stato proletario dovrà necessariamente cercare di svilupparsi superando gli angusti confini nazionali e provando ad affermarsi in un’ottica internazionalista.

Note:

[1] Lenin, Vladimir I. U., Opere complete, Editori Riuniti, Roma 1955-70, vol. 20, p. 382.

[2] Ivi, p. 392.

[3] Losurdo, Domenico, La lotta di classe. Una storia politica e filosofica, Laterza, Bari 2013, p. 12.

[4] Lenin, V. I. U., Opere, op. cit., vol. 20, p. 404.

[5] Losurdo, D., La lotta, op. cit., p. 352.

[6] Hardt, Michael, Negri, Antonio, Impero, Bur, Milano 2003, p. 112.

[7] Losurdo, D., La lotta, op. cit., p. 352.

[8] Ibidem.

[9] Del resto è lo stesso Losurdo che, in Controstoria del liberalismo, evidenzia questi aspetti della storia dell’Olanda: “non bisogna perdere di vista il fatto che le Province Unite, scaturite dalla lotta contro la Spagna di Filippo II, si danno un ordinamento di tipo liberale un secolo prima dell’Inghilterra. È un paese che anche dal punto di vista economico-sociale si è lasciato alle spalle l’Antico Regime [...]. Sono questi borghesi illuminati e tolleranti, liberale, a lanciarsi nell’espansione coloniale; e di essa è parte integrante, in questo periodo storico, la tratta dei neri” id., Controstoria del liberalismo, Laterza, Bari 2005, p. 17.

12/01/2024 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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