Ѐ l’articolo 2 della legge professionale 63/1963 a indirizzare il giornalista su quanto attiene alla questione della verità sostanziale dei fatti, da cui deriva l’obbligo di attenersene fedelmente. “Ѐ diritto insopprimibile dei giornalisti la libertà d’informazione e di critica, limitata dall’osservanza delle norme di legge dettate a tutela della personalità altrui - recità così l’articolo 2 della professione - ed è loro obbligo inderogabile il rispetto della verità sostanziale dei fatti, osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede”. Il giornalista deve avvalersi delle fonti per descrivere una realtà quanto più possibile vicina alla verità, fonti che non sempre può rivelare, perché spesso hanno un carattere fiduciario. Non sempre per un operatore della comunicazione è possibile essere veraci, sebbene un professionista nel campo faccia il possibile per avvicinarsi quanto più alla verità. Non dipende da lui, spesso. Ѐ che la notizia fa opinione, da questa dipende e la veridicità passa di mano. Si rende necessario fare cenno a come i tre lemmi che hanno la radice comune: Verità/ veridicità e veracità, siano concetti diversi e non sinonimi l’uno dell’altro .
La verità è l’oggetto e la finalità della comunicazione ed è il problema centrale che si dovrebbe porre il giornalista che vuole impostare la sua professione sull’etica della comunicazione. La veracità è la virtù che esprime una persona autentica che ama dire il vero nel suo lavoro di comunicatore. La veridicità è la corrispondenza fra ciò che si pensa e ciò che si comunica. La veridicità applicata alla professione giornalistica è appunto la corrispondenza fra l’operatore della comunicazione ed il risultato del suo lavoro nel comunicare. Si chiama anche coerenza, ma a molti operatori della notizia sfugge.
Perché è così complesso avvicinarsi alla verità? In buona parte oggi fare giornalismo vuole dire anche confrontarsi con il potere dei media e con l’enorme mole di blog che hanno parcellizzato la notizia, adattandola alle varie tipologie di lettori, ai luoghi in cui questa va diffusa, alla politica con mille facce mutevoli. No, non si può dire che la responsabilità di diffondere notizie quanto più possibile vicine alla sostanziale verità dipenda meramente dall’etica professionale di un giornalista, né dalla persona che di professione fa il giornalista. Scomodando Hegel sulla filosofia della verità, possiamo trarne che “la verità è un processo concreto che non risiede nel solo pensiero, ma nella realtà, e quindi non potrà mai essere verità arbitraria di un soggetto”.
Se ne evince che la veracità e la veridicità sono mere proiezioni utopiche della nostra visione della verità. Tornando al giornalismo, alla verità sostanziale e lasciando altri spazi e tempi ai concetti filosofici, si può verificare che anche i fatti di cronaca con testimonianze inconfutabili corrano su infinite variabili, dipende da chi lo fa, come le racconta e per chi. Spesso si tende a fare ingiunzione e ingerenza sull’opinione che il lettore trae da una notizia. Se ne modifica il senso, è sufficiente un “probabilmente” o “si suppone che…” a gettare il dubbio ad alterare la verità sostanziale. E così l’uso distorto della facoltà di comunicare produce “l’adulterazione della comunicazione”.
Sono strategie da linguaggio dell’addetto ai lavori per disperdere la veridicità di un fatto e creare ingiunzioni per favorire un’altra posizione, un’altra ottica. A volte l’uso di alcuni avverbi (probabilmente, forse..) sono strumentali per concentrare l’attenzione sul probabile responsabile di un reato, fuorvianti tanto da condizionare l’opinione pubblica. E anche l’uso di “non è certo che…” “non è detto che..” lasciano intendere che c’è anche un’altra versione dei fatti. Fuorvianti nello stesso modo, tanto da gettare l’ombra del dubbio su un probabile innocente, estraneo ai fatti. Mezze frasi utili anche al giornalista per tutelarsi da eventuali contestazioni o denunce. Sono sofisticherie del mestiere, di chi deve sopravvivere adattandosi ad una linea editoriale. Ma la notizia arriva falsata e il lettore la interpreta in modo discrezionale. E quindi è ancora possibile che un giornalista, nel rispetto della deontologia sia intento, nell’esercizio della sua professione, a ricondurre la notizia alla verità sostanziale? O la verità è un’utopia, quindi ognuno la interpreta secondo mille diversi criteri e punti di vista, ergo è discrezionale?
A rivoluzionare l’informazione e ad alterare la verità delle notizie è avvenuta la rivoluzione digitale e per il giornalismo qualcosa è definitivamente cambiato. Ѐ il colpo di grazia per la carta stampata e per le notizie di approfondimento. Il lettore non ha più necessità di attendere il giorno dopo per approfondire sul giornale quotidiano la notizia. Ne è già stato precedentemente bombardato dalle news della Tv. Ma c’è di peggio, c’è la notizia online. Notizia che arriva addirittura prima della notizie Tv. Esplodono sotto gli occhi, superando la velocità della luce. Non è una notizia compiuta, è un pre-fatto, una sorta di preveggenza del fatto che via via viene confermato e smentito, per poi essere riconfermato, fino a nuova smentita. Arriva prepotente, è la notizia della notizia della notizia… bruciata in un secondo da un’ ulteriore news. I frequentatori della rete si adattano, si abituano ad informarsi velocemente, troppo velocemente e il quotidiano da comprare ogni giorno e da leggere con calma, curiosità e interesse perde la sua funzione. Fine degli approfondimenti, fine della verità sostanziale dei fatti, elaborati, approfonditi e confrontati con le fonti dal professionista della carta stampata.
I lettori della rete leggono titoli e didascalie, nutrendosi di notizie parcellizzate , spesso quindi incomplete e falsate che talvolta sono niente altro che bufale. In questa inutile e devastante (per la professione) versione dell’operatore dell’informazione cambiano anche le parole che designano da sempre la professione. Ci si informa non tramite la carta stampata, ma sui device digitali. La notizia è il content rilevante. I lettori sono la community. Il giornalista è l’influencer e la credibilità è la reputation. Capito colleghi giornalisti? E noi che facciamo i corsi di deontologia e ci lambicchiamo sulla ricerca delle fonti per sfornare informazioni il più possibile vicine alla sostanziale verità. Sembra proprio che il compito della verità e della veridicità della notizia vada “a farsi friggere”, non essendo più così essenziale.
Il problema per la sopravvivenza dell’operatore della comunicazione che di questo campa è rilevante, perché il cartaceo va in pensione e i grandi editori stanno passando tutto il sistema dalla stampa all’online. Si salvano ancora le maxi testate dei potenti gruppi editoriali. Ma per quanto tempo? Per i media- lettori ormai il quotidiano da leggere al bar o nelle pause dal lavoro, sul bus o sprofondato sul divano nei momenti di relax è abitudine ormai quasi sepolta. Sostituita dalla notizia online, veloce snella, immediata. La notizia con tanto di approfondimento, quella scritta in odore di verità, corredata da fonti riscontrabili, immagini e link di verifica dei fatti, è bruciata.
In mancanza di informazione su carta stampata, anche per assenza di fondi all’editoria, non resta che rivolgere l’attenzione alle riviste di approfondimento, spesso in sola versione online. Qui l’informazione trova i suoi tempi, vi si curano attentamente le fonti e si rivelano. Ogni articolo passa attraverso lo studio e l’analisi accurata dei redattori che spesso sono collaboratori volontari e quindi non può che avvicinarsi alla verità sostanziale.