Diritti formali e bisogni reali in Marx

L’identità sancita dai diritti di cittadinanza è formale e deve cedere il passo al suo contenuto materiale, alla differenza di classe che ha inconsapevolmente sussunto dall’esistente. Il cittadino è un’astrazione priva di vita, un’essenza irrelata, autosufficiente, priva di bisogni, assolutamente piena, beata, prodotto della rappresentazione, del gonfiarsi dell’individuo privato della società borghese, in cui la vera cittadinanza è la condizione di straniero.


Diritti formali e bisogni reali in Marx

Karl Marx denuncia la cattiva universalità dei diritti umani, che non hanno nulla di naturale [1], né di razionale, di sovrastorico, ma sono propri d’una società storicamente determinata, divisa in classi sociali esattamente come le precedenti civiltà storiche. Al contrario, secondo i liberali i diritti umani sarebbero innati, competerebbero a qualsiasi uomo, naturalmente il “qualsiasi” è relativo a chi i liberali consideravano un “vero uomo”, cioè generalmente il maschio bianco, europeo e proprietario. Già Bruno Bauer [2] aveva denunciato come i liberali misconoscono dogmaticamente il fatto che i diritti dell’uomo non sono innati, non spettano a ogni uomo, ma sono stati “scoperti” nel secolo XVIII e indicherebbero quel grado di sviluppo dell’uomo in cui quest’ultimo si sarebbe liberato dalla religione e da ogni forma di privilegio. Secondo Marx, invece, i diritti dell’uomo non sono che espressioni dell’emancipazione meramente politica, astratta, non realmente e compiutamente umana (cioè anche sociale ed economica) – cui si fermano i democratici come Bauer – in quanto tali diritti sono espressioni del persistere, nella società civile borghese, della religione e dei privilegi. Dal punto di vista radicale di Marx, anche i democratici come Bauer misconoscono, a loro volta in modo dogmatico, la reale natura dei diritti dell’uomo.

Più in generale, denuncia Marx, gli apologeti della società borghese e l’intera economia politica classica tendono a naturalizzare le caratteristiche essenziali del nuovo mondo (borghese e capitalistico), per sottrarli al flusso storico sempre gravido di rivolgimenti. Perciò già il giovane Marx ammonisce: “non trasferiamoci, come fa l’economista quando vuol dare una spiegazione, in uno stato originario fantastico”. Tale appello a uno stato di natura prodotto dalla fantasia, come mostra Marx, non spiega nulla, in quanto “non fa che rinviare il problema in una lontananza grigia e nebulosa. Presuppone in forma di fatto, di accadimento, ciò che deve dedurre” [3]. Dunque, come fa notare Marx, ragionare su diritti dell’uomo e diritti umani declinati al plurale implica una loro considerazione empirica o una loro deduzione da un’essenza formale, che finisce egualmente per recuperare, in modo acritico, l’esistente.

Inoltre, come denuncia Marx, l’identità sancita dai diritti di cittadinanza è formale, astratta e deve cedere il passo al suo contenuto materiale, alla differenza di classe che ha finito, inconsapevolmente, per sussumere dall’esistente. “Il che equivale a dire”, osserva a ragione Eustache Kouvélakis, “che il cittadino, l’idealità proclamata dalla Dichiarazione dei diritti, è la proiezione dell’uomo profano, dedito al materialismo della società borghese, che pertanto appare come uomo naturale” [4]. La borghesia afferma che tutti gli uomini sono uguali davanti al “denaro” (bianchi a neri, liberi a schiavi, uomini a donne): basta averne! In teoria cioè la borghesia afferma che tutti, volendo, possono procurarselo e con esso dominare chi non lo possiede. È, come si può notare, un’uguaglianza puramente formale, poiché, di fatto, il denaro può essere procurato solo a determinate condizioni, quelle appunto imposte dalle classi sociali egemoni o dagli Stati egemoni a livello internazionale. I diritti del cittadino sacrificano la loro presunta universalità alla differenza della società civile, rimanendo un ideale astratto nella sfera autonomizzata del politico. Come ha acutamente osservato a questo proposito Stefano Garroni: “ma tale operazione è possibile solo in quanto si riproduce, nella società borghese, qualcosa di analogo a ciò, che troviamo nelle religioni: vale a dire la distinzione/separazione di due dimensioni della vita umana.

L’una, presente nel Dasein (nell’esistenza effettiva), che è caratterizzata da differenze, disuguaglianze ed asservimento; l’altra, presente al livello della rappresentazione giuridico-politica, nella quale proprio quelle differenze, disuguaglianze e rapporti d’asservimento vengono posti tra parentesi, risultano trascesi e, insomma, scompaiono dalla scena” [5].

Il cittadino è un’astrazione priva di vita, “un’essenza irrelata, autosufficiente, priva di bisogni, assolutamente piena, beata” [6], che tuttavia non è che il prodotto della rappresentazione, del “gonfiarsi” dell’individuo privato della società borghese, in cui la “vera cittadinanza” è la “condizione di straniero” [7].

Emerge, così, il fondamento ideologico, ovvero sociale del cittadino rivoluzionario: l’individualismo borghese che riduce gli ideali politici a semplici strumenti del regno del bisogno [8] e dell’intelletto, ovvero della società civile. Come denuncia Marx, ricostruendo la storia della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino: “è già piuttosto strano che un popolo che, appunto, inizia appena a liberarsi (…) proclami solennemente i diritti dell’uomo egoista, isolato dal suo simile e dalla comunità (…) anzi ripeta questa proclamazione in un momento in cui soltanto la più eroica abnegazione può salvare la nazione e quindi viene imperativamente richiesta in un momento in cui il sacrificio di tutti gli interessi della società civile deve essere posto all’ordine del giorno e l’egoismo deve essere punito come un delitto” [9].

La lesione dei diritti dell’uomo (borghese) in nome dei diritti universali del cittadino è propria dello stato d’eccezione che vive il nuovo mondo nella sua gestazione, quando si sta affermando nel conflitto con l’epoca antecedente, una volta risolto tale conflitto anche la prassi si allinea alla teoria che la fonda, sancendo il primato della libertà particolare dell’individuo. “Conseguenza di tutto ciò”, osserva a ragione Umberto Cerroni, è che “la stessa struttura dello Stato non può essere concepita che come una struttura sussidiaria rispetto alla felicità privata, e quindi come una sfera in cui la eguaglianza è possibile soltanto in quanto garantisca il ritorno alla sfera della libertà-diseguaglianza” [10].

Proseguendo nella sua brillante analisi Marx mette in evidenza come “perfino nei momenti di florido entusiasmo e spinto al massimo dalla pressione delle circostanze la vita politica si dimostra essere puro mezzo, il cui scopo è la vita della società civile. In effetti la prassi rivoluzionaria si trova in flagrante contraddizione con la sua teoria” [11]. Così ogni diritto del borghese cessa di esistere non appena entra in contrasto con le esigenze politiche “mentre, secondo la teoria, la vita politica è soltanto garanzia dei diritti dell’uomo, dei diritti dell’uomo individuo, e quindi si deve sacrificare non appena contraddice al proprio fine, a questi diritti dell’uomo” [12]. Tuttavia la prassi è unicamente l’eccezione mentre la teoria è la regola

Al di là del momento della sua affermazione rivoluzionaria, la borghesia giunta al potere pone la vita politica a garanzia dei diritti dell’uomo, dell’individuo apolitico e ogni qualvolta trasborda da tale funzione strumentale è ricondotta all’ordine come dimostra il necessario fallimento di Napoleone [13]. Allo stesso modo il Termidoro aveva spazzato via le illusioni giacobine che credevano possibile restaurare la democrazia reale del mondo antico. Lo stato moderno sorto dalla Rivoluzione è solo formalmente, “spiritualisticamente democratico”, avendo il suo fondamento reale non più nella schiavitù reale delle democrazie antiche, ma su quella giuridicamente “emancipata” della società civile[14]. L’opposizione fra Stato antico e schiavitù trova il suo compimento nell’opposizione moderna fra comunità statuale democratica e società civile. “Nel mondo moderno, ciascuno è nello stesso tempo membro della schiavitù e della comunità. La schiavitù della società civile è apparentemente la libertà più grande, poiché è l’indipendenza, apparentemente compiuta, dell’individuo, il quale considera il movimento sfrenato, vincolato non più da legami generali e non dall’uomo, dei suoi elementi vitali alienati, per esempio la proprietà, l’industria, la religione ecc., come la sua propria libertà, mentre essa è piuttosto la sua compiuta schiavitù ed inumanità” [15].

Note:

[1] Marx ed Engels sin da giovani ironizzano sulla presunta “scoperta” di Fourier del carattere non naturale dei diritti umani: “a paragone della sua scoperta che i diritti dell’uomo non sono «innati», una scoperta che in Inghilterra, da più di quarant’anni, è stata fatta un’infinità di volte, bisogna definire geniale l’affermazione di Fourier che pescare, andare a caccia, ecc., sono diritti innati dell’uomo!” Marx, Karl e Engels, Friedrich, La sacra famiglia [1845], traduzione italiana di Zanardo, A., Editori riuniti, Roma 1967, p. 114.

[2] Cfr. Il capitolo: I diritti dell’uomo e lo Stato cristiano di Bauer, Bruno, Marx, Karl, La questione ebraica, tr. it. di Tomba, M., Manifestolibri, Roma 2004.

[3] Marx, K., Manoscritti economico filosofici del 1844 a cura di Bobbio, Norberto, Giulio Einaudi editore, Torino 1968, pp. 70-71.

[4] Kouvélakis, Eustache, Critica della cittadinanza; Marx e la “Questione ebraica”, tr. it. di Augeri, N., in «Marxismo Oggi» 1, Milano 2005, pp. 45-78, p. 68.

[5] Garroni, Stefano, Dialettica e socialità, Bulzoni editore, Roma 2000, p. 74. Perciò, conclude il suo ragionamento Garroni, “in altre parole, ecco che la società borghese si mostra intrisa di religiosità, perché spezza l’uomo in una parte terrena ed una ultra-terrena e perché fa di quest’ultima la sanzione, la legittimazione della prima” ibidem.

[6] Marx, K., Engels, F., La sacra …, op. cit., p. 157.

[7] Marx, K., Manoscritti…, op. cit., p.  85.

[8] A tal proposito, osserva Marx: “così si presenta la cosa anche dal punto di vista soggettivo: in parte l’estensione dei prodotti e dei bisogni si fa schiava – schiava ingegnosa e sempre calcolatrice – di appetiti disumani, raffinati, innaturali, e immaginari; la proprietà privata non sa fare del bisogno grossolano un bisogno umano; il suo idealismo è l’immaginazione, l’arbitrio, il capriccio.” Ivi, p. 128.

[9] Bauer, B., Marx, K., La questione…, op. cit., p. 195.

[10] Cerroni, Umberto, Marx e il diritto moderno, Editori Riuniti, Roma 1972, p. 258.

[11] Bauer, B., Marx, K., La questione…, op. cit., p. 196.

[12] Ibidem.

[13] Al contrario, nella prospettiva di Marx, i diritti ci sono, ma sono fonte di conflitto per il modo in cui devono essere realizzati. Per Marx, in effetti, il diritto dipende in ultima istanza dai rapporti di forza fra le classi sociali ed è più o meno da difendere a seconda di quanto sia avanzato tale rapporto.

[14] Tanto più che i proletari “non sono soltanto servi della classe borghese, dello Stato borghese, ma vengono, ogni giorno e ogni ora, asserviti dalla macchina, dal sorvegliante, e soprattutto dal singolo borghese padrone di fabbrica. Siffatto dispotismo è tanto più meschino, odioso, esasperante, quanto più apertamente esso proclama di non avere altro scopo che il guadagno”. Marx, K., Engels, F., Opere complete 1845-1848, vol. VI, tr. it. di Togliatti, P., Editori Riuniti, Roma 1978, p. 493.

[15] Id., La sacra …, op. cit., pp. 151-52.

14/04/2023 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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