Perché una Controstoria del medioevo
Marx ed Engels sostengono che l’unica vera scienza, capace di ricomprende in sé tutte le altre, è la storia. Quest’ultima, come dimostra Hegel, è sempre e solo storia universale, che costituisce l’unico reale giudizio universale che stabilisce la ragione e i torti anche nelle grandi guerre fra Stati, che non hanno altro tribunale cui fare appello. All’interno della storia universale gli aspetti più significativi e determinanti sono raccolti, in particolare, nella storia della filosofia, in cui sono preservate le perle prodotte dal genere umano e le riflessioni delle grandi civiltà storiche su loro stesse che hanno, di volta in volta, fatto da avanguardie dello sviluppo e del progresso storico.
La nostra non sarà semplicemente una storia come tante, ma aspira a divenire una vera e propria controstoria della storia universale e della storia della filosofia in particolare. Per quale motivo? Perché la storia necessariamente la fanno sempre i vincitori e nella presente epoca storica è chiaro che i vincitori, che hanno per il momento vinto la guerra per l’egemonia sulla società civile, sono le grandi potenze imperialiste. Questa ultime sono delle vere e proprie oligarchie, in quanto caratterizzano l’attuale forma di dominio dei più ricchi di contro alle classi sociali meno agiate e, in particolare, di contro ai lavoratori e proletari in senso lato, che comprendono tutti coloro che per vivere debbono vendere la loro forza lavoro come merce. Mente i proprietari monopolistici dei mezzi di produzione e riproduzione della forza lavoro costituiscono la classe dominante, sugli interessi della quale si forma l’ideologia dominante. Del resto, la critica il più possibile radicale e rigorosa di quest’ultima costituisce il primo e decisivo compito dei marxisti.
Inoltre la coscienza di classe, fondamentale per ogni sviluppo storico, sociale, morale e culturale, significa innanzitutto comprendersi scientificamente e, a tale scopo, fondamentale è una conoscenza critica della propria storia e delle lotte che in essa sono state combattute contro gli oppressori. Per continuare a leggere l’introduzione del corso clicca qui.
Il corso proseguirà ogni mercoledì alle 18, di seguito il programma delle prossime lezioni:
- Mercoledì 4 ottobre: Il basso medioevo;
- Mercoledì 11 ottobre: La filosofia araba e la ripresa dei commerci;
- Mercoledì 18 ottobre: Le crociate e la rinascita della cultura occidentale mediante l’orientale.
Versione cartacea della videolezione
Dialettici e antidialettici
La dissoluzione dell’impero carolingio arresta la ripresa anche intellettuale dell’occidente. Solo con Ottone il Grande, che ristabilisce l’impero, e l’affermazione del nuovo modo di produzione feudale l’elaborazione culturale si riavvia. In questo periodo, intorno all’anno mille, il pensiero non sarà più solo patrimonio delle abbazie. Gli intellettuali in quest’epoca si dividono in dialettici e antidialettici: i primi si affidano alla ragione, giustificandosi con il fatto che essa è necessaria per intendere le verità della religione, i secondi limitano il compito della filosofia alla difesa delle dottrine rivelate.
Tra i primi spicca Berengario di Tours (morto nel 1088), il quale sostiene che chi non ricorre alla ragione, grazie alla quale l’uomo è immagine di dio, abbandona la propria dignità. Tra gli antidialettici si distingue Pier Damiani, che nega valore al ragionamento e afferma che dio è superiore alle stesse regole della ragione, alle stesse verità della matematica. I dialettici sono naturalmente perseguitati e costretti a ritrattare. Non ancora uccisi, in quanto le loro opere non hanno diffusione di massa. Con la stampa gli intellettuali rivoluzionari verranno uccisi.
La lotta per le investiture
La Costitutio de feudis (1037)
L’imperatore Corrado II, detto il Salico (1027), rompe con la tradizione degli Ottoni e si appoggia, invece che ai vescovi-conti, alla bassa feudalità promulgando nel 1037 la Costitutio de feudis, che riconosce l’ereditarietà anche dei feudi minori. Così il modo di produzione feudale si afferma definitivamente. L’impero è limitato a Germania, Borgogna e Italia del nord e rimane così per secoli. Intanto l’Italia precipita nell’anarchia. Il papato è in balia delle fazioni nobiliari e nel centro-nord le città si ribellano ai vescovi-conti. Inizia la lotta di classe dei borghesi, servi della gleba liberatisi, che ha maggiore successo delle rivolte contadine prive di direzione consapevole, meramente spontanee.
L’imperatore Enrico III intraprende la riforma della chiesa per farne uno strumento del proprio potere
Il successore Enrico III, dopo aver sottoposto al suo controllo la feudalità che ne ha bisogno per asservire i contadini indipendenti e dopo aver consolidato le frontiere orientali con aggressioni imperialiste nei confronti di boemi, ungheresi e polacchi, nel 1046 è a Roma per l’incoronazione. La città è sconvolta dagli scontri, vi sono tre papi rivali che si contendono il soglio pontifico. Enrico rivendica il Privilegium Othonis e fa eleggere papa Clemente II. Il papato è così sottratto all’aristocrazia romana, ma torna sotto la tutela dell’imperatore, che ne ha bisogno per l’egemonia.
Il papato rivendica la propria autonomia
Leone IX, designato da Enrico, intende farsi acclamare dal popolo romano: è la prima rivendicazione simbolica dell’autonomia della sovrastruttura culturale. Egli lotta contro la simonia, ossia la compravendita di cariche ecclesiastiche, e il nicolaismo, ossia il matrimonio dei sacerdoti retaggio della chiesa paleocristiana, per tutelare la proprietà della chiesa. Intorno a lui si raccolgono Ildebrando di Soana (futuro Gregorio VII) e Pier Damiani (ideologo). La sua opera è ostacolata dal conflitto con i Normanni e da contrasti che si concludono con lo Scisma d’Oriente, che nel 1054 divide la Chiesa di Roma dalla Chiesa greca-ortodossa, per colpa della prima. Il papa Nicola II nel 1059 convoca un concilio in Laterano che provoca la rottura col partito imperiale, sancendo che il pontefice è eletto dal collegio dei cardinali.
Gregorio VII condanna l’investitura laica del clero
Ildebrando di Soana giunge al pontificato nel 1073 e assume il nome di Gregorio VII. Immediatamente affronta il problema dell’investitura di un beneficio ecclesiastico da parte di un laico. Essa comporta la sottomissione del beneficiato al suo patrono. A suo avviso il clero deve essere sottoposto solo al papa che, tra l’altro, rivendicando un’indiscutibile sovranità su tutti i cristiani, pretende di essere considerato sovrano universale. Solo il papa deve avere il potere di ordinare chierici, trasferire vescovi e deporre imperatori; sono queste le affermazioni del Dictatus Papae (1075) che formula il concilio vaticano convocato da Gregorio VII, insieme alla condanna delle investiture. Ciò minacciava mortalmente l’Impero, che ha le basi del proprio potere nel controllo dei vescovati, delle grandi abbazie e del clero. A scontrarsi sono la concezione dell’intellettuale organico cara all’impero e la concezione dell’intellettuale tradizionale cara alla chiesa. Si tratta di uno scontro al livello delle sovrastrutture fra tendenze differenti all’interno della classe dominante.
La lotta tra Enrico IV e Gregorio VII
Così Enrico IV nel 1076 convoca un concilio con i vescovi tedeschi che denunziano il papa e lo dichiarano deposto. Il papa risponde con la scomunica che ha l’effetto di sciogliere dal vincolo di fedeltà tutti i sudditi di Enrico. Quindi, se Enrico non si libera dalla scomunica rischia di perdere la propria autorità. Muove così dalla Germania nell’inverno del 1077 deciso anche a umiliarsi per farsi togliere la scomunica, l’incontro avviene a Canossa, dove Enrico rimane come un penitente tre giorni fuori del castello della contessa Matilde prima di essere ricevuto dal Papa, che gli revoca la scomunica. D’altra parte Enrico, recuperato il potere, continua a distribuire le cariche ecclesiastiche ed è colpito da una seconda scomunica nel 1080. A quel punto l’imperatore muove in armi verso Roma e la cinge d’assedio, il papa è protetto dal normanno Roberto il Guiscardo che costringe Enrico a ritirarsi da Roma, ma lascia che le proprie truppe la saccheggino. L’ira dei romani si riversa sul papa, che è costretto a seguire i suoi liberatori a Salerno, dove muore nel 1085. All’umiliazione dell’imperatore a Canossa, segue l’umiliazione del papa, morto in esilio prigioniero dei suoi “liberatori”. Il sogno alto-medievale sostanzialmente distopico dell’Impero cristiano, dell’unione dei due poteri destinati a governare il mondo è infranto per sempre.
Il concordato di Worms (1122)
Il nuovo sovrano Enrico V discende di nuovo a Roma, imprigiona il papa, crea un antipapa e cinge la corona imperiale. È scomunicato; contro di lui si sollevano i feudatari tedeschi ed è costretto alla trattativa con il pontefice Callisto, il conflitto si concluse nel 1122 con il concordato di Worms: solo la chiesa può consacrare gli ecclesiastici, l’autorità laica può successivamente concedere benefici (ma si fa eccezione per la Germania che può concedere il benefico prima della consacrazione). Sia il papa che l’imperatore si considerano vincitori, ma è un compromesso di difficile applicazione: in Italia comporta l’aumento dell’autorità pontificia, mentre in Germania di quella imperiale. Lo scontro rimane però aperto e si estenderà nella lotta politica a tutti i livelli: ovunque i Ghibellini (seguaci della casa sveva degli Hohenstaufen, signori del castello di Weibling, difensori dell’impero) si contrapposero ai Guelfi (da Welf, capostipite dei duchi di baviera e alleati del papa). Per continuare a leggere la versione cartacea del corso clicca qui.