Link agli articoli pubblicati su questo giornale in cui sono approfonditi i temi affrontati nella videolezione: Il secondo Schelling e la genesi della distruzione della ragione; Schelling e la filosofia della restaurazione e Schopenhauer
Come ricordava Lenin non esistono, come l’attuale ideologia postmoderna vorrebbe farci credere, tante differenti visioni del mondo. Al contrario, esse si riducono, quando non ci si ferma alle parvenze empiriche, a fondamentalmente due: l’ideologia dominante, volta a preservare i privilegi della classe di sfruttatori al potere e la concezione scientifica del mondo, di cui avrebbe bisogno la massa di sfruttati per uscire dalla condizione tradizionale di oppressione. A questo scopo, di contro allo spontaneismo piccolo borghese, che non fa che declinare in salse diverse il vecchio mito del buon selvaggio, i subalterni sono tali proprio perché egemonizzati dal pensiero unico dominante. Da qui il ruolo essenziale non dell’intellettuale tradizionale, più o meno consapevolmente al servizio della classe dominante, ma di un intellettuale collettivo organizzato in un partito di quadri rivoluzionario in grado di divenire comunista, ovvero avanguardia del proletariato, in quanto riesce a divenire egemone fra gli oppressi e sfruttati mediando una visione del mondo antagonista a quella delle classi dominanti.
D’altra parte, come già sapevano i giovani Marx ed Engels, l’ideologia dominante è sempre l’ideologia della classe dominante. Per cui sino a quando i rivoluzionari non conquisteranno il potere, la loro capacità di egemonia sugli sfruttati è sempre a rischio. Inoltre, i subalterni, oppressi e sfruttati, difficilmente hanno la possibilità di formarsi una visione del mondo autonoma e per questo finiscono generalmente per dipendere da intellettuali del blocco sociale dominante che tradiscono la loro classe di provenienza, magari perché sono in via di proletarizzazione o semplicemente perché comprendono dal punto di vista della filosofia della storia quale sia l’unica alternativa alla crisi di civiltà a cui il capitalismo ci sta conducendo. D’altra parte tali intellettuali non sono sempre affidabili, sia perché nei momenti decisivi del conflitto di classe tendono a ripiegare nelle classi di provenienza, sia perché generalmente mantengono del loro modo di pensare elementi dell’ideologia dominante. Perciò è essenziale che i subalterni siano in grado, per uscire da questa condizione di oppressione, di elaborare intellettuali a loro organici.
Alla formazione di questi ultimi è decisiva, in primo luogo, una critica dell’ideologia dominante, per poter elaborare una visione del mondo antagonista. Non a caso Marx ha inserito come sottotitolo, volto a chiarire la funzione della sua opera fondamentale, Critica dell’economia politica. Tale opera resta decisiva per contrastare l’ideologia dominante al decisivo livello delle strutture economiche e sociali. D’altra parte, come sottolinea Gramsci, gli individui sviluppano la propria coscienza socio-politica a livello delle sovrastrutture e la battaglia che si combatte nel loro campo per l’egemonia sulla società civile è decisiva per le sorti della Rivoluzione in occidente. Quindi, come contributo alla lotta di classe sul piano delle sovrastrutture, abbiamo pensato di iniziare quest’anno accademico dell’Università popolare Antonio Gramsci con un corso di taglio filosofico-politico dedicato alla critica dell’ideologia dominante (conservatrice e/o reazionaria) dalla prima metà del diciannovesimo secolo ai nostri giorni. Per continuare a leggere la presentazione del corso: vai al link: La distruzione della ragione.
Friedrich Wilhelm Joseph von Schelling (Leonberg, 27 gennaio 1775 – Bad Ragaz, 20 agosto 1854) si era riproposto di portare a compimento il sistema dell’idealismo soggettivo di Fichte sviluppando una concezione idealista della filosofia della natura. La natura non è più considerata da Schelling una materia inerte, un’assoluta oggettività, un Non-Io contrapposto al Soggetto Trascendentale come nella filosofia di Fichte; anche all’interno del mondo naturale agirebbe, per quanto inconsapevolmente, una potenza spirituale: la vita. Per tale motivo il suo idealismo sarà generalmente definito idealismo oggettivo. Schelling definirà la propria concezione del mondo filosofia dell’identità. A suo modo di vedere, infatti, lo spirito inconscio che agisce nella natura prende progressivamente consapevolezza di sé attraverso il suo sviluppo dal mondo inorganico al mondo organico, sino a realizzarsi nell’autocoscienza umana. L’assoluto corrisponde, dunque, per Schelling al momento in cui, compiendosi il passaggio dalla natura all’autocoscienza, il soggetto e l’oggetto sono posti nell’assoluta identità che supera ogni dualismo fra spirito e natura.
Difficoltà del modello: come derivare il finito dall’indifferenziato?
Schelling intende valorizzare la dimensione indifferenziata dell’Assoluto per rinvenire in essa la matrice comune di ogni differenza, imbattendosi però in due tipi di difficoltà: da un lato l’ineffabilità dell’Assoluto-Uno, ben presente al pensiero filosofico del divino come teologia negativa; dall’altro, l’impossibilità di derivare il particolare finito dall’unità indifferenziata infinita. La filosofia dell’identità permette, in altri termini, di pensare il finito come espressione e presenza reale dell’Assoluto in ogni aspetto della realtà, ma non di spiegare come e perché l’unità del fondamento si determini e frantumi nella molteplicità. Una volta fissato nell’indifferenza il piano di realtà dell’Assoluto, anche i due sistemi della natura e dello spirito restano distinguibili solo sul piano dell’apparenza. Su tali difficoltà farà leva Hegel che, in un celebre passaggio della “Prefazione” alla sua Fenomenologia dello Spirito, definirà l’Assoluto di Schelling come “la notte in cui tutte le vacche sono nere”.
Difficoltà del modello: è davvero risolta la differenza tra natura e spirito?
Anche sul versante dell’unificazione sussistono problemi. Schelling non sembra essere riuscito a superare con il suo idealismo oggettivo le aporie dell’idealismo soggettivo di Fichte, imbattendosi in una difficoltà analoga, seppur opposta. Nel suo Assoluto – sebbene pensato quale identità – prevale la differenza fra i due attributi. La relazione fra natura e spirito si presenta da un lato, nella costruzione parallela delle rispettive sfere, come morta indifferenza priva di causalità reciproca e di riconoscimento reale; dall’altro, nell’Assoluto che pone gli attributi come identici, appare immediata unità priva di contraddizione e, dunque, di autonomo sviluppo. Sotto la parvenza del dominio dell’identità regna dunque ancora, incontrastata, la differenza fra i due momenti, di cui resta inspiegata l’origine, lasciando senza connessioni anche il rapporto tra l’essenza e le determinazioni particolari dello spirito.
La sfiducia nella ragione e il recupero della fede
L’assoluta opposizione fra finito e infinito è al centro di tutta la successiva riflessione di Schelling. Dopo il trasferimento nella cattolica Baviera Schelling, influenzato da Franz von Baader (1765-1841) – autore di una filosofia della natura fortemente caratterizzata dal misticismo teosofico – approfondisce lo scarto fra religione e sapere, ponendo l’assoluto in un ambito trascendente la conoscenza umana. Se, come aveva più volte ribadito elaborando la filosofia dell’identità, non c’è omogeneità né passaggio fra l’assoluto e il finito, l’esistenza appare come un evento privo di spiegazione, l’effetto istantaneo di un “salto” o di una “caduta”. L’uso di questi termini nello scritto Filosofia e religione (1804) segnala una svolta profonda in atto nel suo pensiero, che ora si orienta a considerare l’assoluto come un abisso di trascendenza, in una prospettiva teista o teosofica, assai vicina all’idea cristiana di un dio persona. Così, influenzato dall’ambiente romantico di Monaco, Schelling si concentra sul carattere oscuro e opaco dell’esistenza, in cui si manifestano gli impulsi vitali del desiderio e le contraddizioni della volontà, divisa tra impulso egoistico e luce dell’intelletto. Si sviluppa così la seconda fase del pensiero di Schelling, caratterizzata dalla crescente sfiducia nella capacità della ragione di cogliere l’assoluto e nel recupero della fede quale strumento indispensabile all’approdo all’uno-tutto, sulla scia aperta dal romantico Jacobi e seguita in quegli anni dallo stesso Fichte. Passato all’Accademia delle Scienze di Monaco di Baviera, con L’esposizione del vero rapporto della filosofia della natura con la dottrina migliorata di Fichte (1806), Schelling dà inizio a un periodo di profondo ripensamento delle sue precedenti concezioni. In questo scritto consuma la sua rottura con Fichte, seguita da quella con Hegel, nel 1807 culminato nelle Ricerche filosofiche sull’essenza della libertà umana (1809). In quest’ultima opera Schelling porta alle estreme conseguenze la critica all’intelletto illuminista e alla filosofia della riflessione kantiano-fichtiana. Prosegui la lettura dell’articolo al link: https://www.lacittafutura.it/unigramsci/il-secondo-schelling-e-la-genesi-della-distruzione-della-ragione