Link al video della lezione dell’Università popolare Antonio Gramsci su argomenti analoghi.
Il secondo Heidegger
Negli anni Quaranta e Cinquanta, Heidegger pare abbandonare il tentativo di fondare un’ontologia a partire da un’analisi dell’esistenza. Egli ritiene ormai il linguaggio della metafisica incapace di esprimere l’essere e la metafisica assume nel tardo Heidegger una connotazione negativa e con essa l’intero pensiero occidentale che non sarebbe stato in grado di cogliere l’essere al di là dell’ente, riducendolo o a un ente, o a un concetto generalissimo quale carattere comune di tutti gli enti. Secondo Heidegger la metafisica occidentale si è smarrita nel mondo dell’oggettività, degradandosi a conoscenza scientifica e tecnica e ha progressivamente obliato l’Essere.
Heidegger abbandona l’analitica esistenziale per l’essere nella sua autorivelazione
Perciò non si può comprendere l’essere interrogando un ente come l’uomo. Quindi Heidegger abbandona l’analitica esistenziale per affrontare l’essere stesso nella sua autorivelazione. Così, al contrario di Hegel, che considera un passaggio decisivo quello dall’essere in quanto indeterminato uguale al nulla, all’essere determinato, con cui si apre sostanzialmente la storia della filosofia, Heidegger ritorna al puro essere dei più antichi pensatori greci come Parmenide, condannando come una perdita l’intera storia della filosofia e della cultura che da essi si è sviluppata. Tale decadenza sarebbe iniziata secondo Heidegger con Platone che, a differenza dei presocratici che avevano tenuto fermo che l’essere è l’essere e la verità il suo dis-velamento, avrebbe preteso di risalire al senso dell’essere dall’indagine degli enti. Tale errore avrebbe caratterizzato tutta la metafisica occidentale (che sarebbe nichilista in quanto avrebbe obliato l’essere) sino al nichilismo di Nietzsche.
Aletheia versus rectitudo
Si tratta allora, secondo Heidegger, di liquidare la concezione “romana” e moderna della verità come rectitudo (pensiero calcolante e organizzazione del domino dell’uomo sulla natura) per ricostruire l’aletheia della grecità originaria (la verità come disvelamento dell’essere). Lo stesso Nietzsche ora, per Heidegger, non sarebbe abbastanza radicale in quanto prospetta ancora una trasvalutazione dei valori, rimanendo legato a un’ottica umanista. In effetti, Nietzsche ha ridotto l’essere a volontà di potenza (e quindi a volontà creatrice dell’uomo) che non riconosce alcun essere oltre se stessa. Lo smarrimento della differenza ontologica tra essere ed ente trova la sua incarnazione nella tecnica. Nietzsche è il profeta della tecnica, del dominio incondizionato dell’uomo sul mondo, da qui il suo genio e la sua contemporaneità, ma egli si muove ancora all’interno della metafisica, è il punto di arrivo del nichilismo. Perciò bisogna, secondo Heidegger, andare oltre Nietzsche.
La Kehre anti-umanista
Heidegger è post-metafisico, egli sostiene la coappartenenza originaria di uomo e essere (ma l’essere è il soggetto, non l’uomo), sono coessenziali, l’uomo non è mai senza l’essere e l’essere non si dà mai senza l’uomo. Le conseguenze della svolta (Kehre) consistono in un anti-umanesimo: l’uomo non è pensato come soggetto di iniziativa autonoma (indipendente), ma come luogo e tramite della rivelazione dell’essere (l’uomo è passivo). Per Heidegger l’umanismo è parte della metafisica perché subordina l’essere all’uomo, invece a suo avviso l’uomo esiste di volta in volta in orizzonti storico-culturali che precedono la sua progettualità cosciente.
Il modo di essere dell’uomo storico dipende dall’invio destinale dell’essere
Per Sartre la storia è determinata da ciò che l’uomo fa, l’uomo non ha un’essenza determinata. Per Heidegger c’è invece il primato dell’essere, quindi il modo di essere dell’uomo storico dipende dall’invio destinale dell’essere. L’essere come storico accadere, come evento (Ereignis) si dà in destini e parole chiave di volta in volta differenti. L’essere si dà sempre nella temporalità. Ogni epoca storica è una determinata manifestazione dell’essere e quindi un determinato destino storico. Perciò Heidegger parla di invio storico destinale dell’essere, intendendo l’essere come disvelamento, in quanto si rivela in determinate situazioni storiche.
1. La questione della tecnica
La critica di Heidegger tende ad allargarsi a tutta la storia moderna o addirittura a tutta la storia post-socratica, che ha portato al mondo contemporaneo dove dominerebbe la tecnica, in quanto l’uomo sarebbe sempre più dimentico dell’essere e sempre più rivolto agli enti, tanto che avrebbe ridotto la realtà a uno strumento, a oggetti da dominare e da sfruttare mediante la tecnica.
Heidegger denuncia sotto la categoria della modernità anche Nietzsche e il terzo Reich
Secondo Heidegger bisognerebbe rileggere la storia dell’occidente a partire dalla grecità originaria e dalla sua successiva falsificazione e rinnovare un pensiero originario capace di mettere in discussione secoli di storia, in modo da assicurare la salvezza e la rigenerazione dell’Occidente il cui centro, il “cuore sacro” è costituito dalla Germania. In tale ottica sino a Stalingrado, come abbiamo visto, Heidegger tende a considerare il nazismo e il pensiero di Nietzsche come un’occasione per rovesciare tale situazione. Sia Nietzsche che le iniziali vittorie della Germania all’insegna della volontà di potenza sono state interpretate da Heidegger come fine e nuovo cominciamento, che sarebbe a sua volta il primo passo verso l’autentico nuovo inizio, che sarebbe da intendersi come nuovo inizio greco-tedesco. In seguito, nella riflessione di Heidegger, maggiore è la distanza che separa Nietzsche dal nuovo autentico inizio e più problematico è il percorso che conduce al superamento del nichilismo. Dopo la disfatta della Germania Heidegger aggiusta il tiro: tanto Nietzsche, quanto la Germania nazista rientrano a tutti gli effetti ancora nella crisi nichilista, per la penetrazione della modernità nella stessa Germania. La guerra e la volontà di potenza divengono esse stesse sinonimo di massificazione tecnica del mondo moderno, mentre i crimini nazisti e lo stesso sterminio degli ebrei sono derubricati a semplice momento del nichilismo, al pari della meccanizzazione dell’agricoltura in Urss. In tal modo, Heidegger finisce con il mettere sullo stesso piano Marx e Nietzsche, nazismo e comunismo, tutti espressione del nichilismo estremo, che ora Heidegger non esalta più. Nell’ultima tappa dello sviluppo del suo pensiero Heidegger denuncia sotto la categoria della modernità persino Nietzsche e il terzo Reich.
La critica alla tecnica
Nel saggio La questione della tecnica (1953), Heidegger sostiene che la domanda sulla tecnica, non è una domanda che possa porsi il pensiero calcolante della scienza, anche perché l’essenza della tecnica non sarebbe nulla di tecnico, ma un modo della disvelatezza dell’essere (aletheia). La forma di tale modalità del disvelamento muta secondo le epoche storiche, secondo gli invii destinali dell’Essere.
Nella modernità la tecnica si disvela come Gestell e la natura diviene un fondo da sfruttare
La tecnica, secondo Heidegger, sarebbe stata pensata dai greci in termini di “produzione”, ossia come un rendere manifesto (o dis-velato) ciò che prima non era tale (chi costruisce un oggetto porta a presenza, qualcosa che prima risultava assente). Anche la tecnica moderna è un modo del disvelamento, che tuttavia non si dispiega nella semplice forma della produzione, ma in quella della provocazione, del trarre fuori dalla natura energia da accumulare e impiegare. L’età moderna ha ridotto il mondo a mera rappresentazione del soggetto, dando inizio all’oggettivazione dell’ente e al sopravvento della ragione strumentale e calcolante. Nell’epoca contemporanea assistiamo all’esito finale di quell’inizio: la tecnica, nella sua pervasività in tutte le regioni dell’ente, compreso l’uomo stesso, si presenta come Gestell ovvero come scaffale, montatura, ma anche imposizione, secondo i diversi modi di tradurre in italiano il termine tedesco. Il modo di disvelamento della verità come Gestell, comporta che la natura è diventata un fondo (Bestand) di energie da accumulare, da impiegare e da sfruttare. Scompare ogni carattere sacro della natura, e il suo rapporto con l’uomo si configura in questa esclusiva dimensione strumentale. L’uomo si sente il signore della terra e crede che tutto ciò che esiste sia un suo prodotto. Nella tecnica si realizza pienamente il destino della metafisica occidentale che ha ridotto l’essere a l’ente. La tecnica in effetti, secondo Heidegger, è così presa a utilizzare l’ente che finisce per cadere nell’oblio dell’essere.
2. Il linguaggio e l’arte
In cammino verso il linguaggio
Così Heidegger perde progressivamente fiducia nella possibilità di una via d’uscita storica dalla modernità, in tal modo la chiave per il disvelamento dell’essere diviene negli anni quaranta e cinquanta il linguaggio (In cammino verso il linguaggio del 1957), inteso nel senso per Heidegger ambiguo che avrebbe il termine greco léghein che significherebbe sia dire che raccogliere, ovvero raccogliere l’essere nel senso di una rivelazione totale e unitaria. Quella di Heidegger non vuole essere una filosofia del linguaggio, se con tale espressione si intende il fare del linguaggio un oggetto. Ciò significherebbe voler dominare il linguaggio e non mettersi in ascolto, aprendosi alla possibilità che esso riveli la sua essenza. L’essenza del linguaggio non consiste nel suo essere strumento comunicativo a nostra disposizione, un bene dato all’uomo insieme ad altri (come lo intendeva la metafisica). Si capisce cos’è il linguaggio quando si comprende che l’uomo è linguaggio, il linguaggio non è una tra le sue capacità, ma il linguaggio fa dell’uomo l’essere vivente che è. Solo dove vi è linguaggio vi è mondo. L’evento avviene nel linguaggio: è la parola che nomina e che rende accessibili le cose anche nella loro presenza spazio-temporale. Nessuna cosa sia dove la parola manca: gli stessi progetti della tecnica sarebbero inconcepibili senza la parola. In quanto apertura al mondo, il linguaggio è anche condizione di storicità, perché solo dove c’è mondo, c’è storia. Ogni epoca storica si distingue per la propria poesia, per un proprio linguaggio e, perciò, in essa l’essere si apre in una particolare maniera.
Il linguaggio è la dimora dell’essere
L’essere appare quindi nel linguaggio, in tal senso secondo Heidegger il linguaggio sarebbe la dimora dell’essere, in esso abiterebbe l’uomo. Di qui l’interesse per la poesia (in particolare di Hölderlin), quale luogo privilegiato in cui l’essere, che nella storia si disvela in modo imperfetto e oscuro, si manifesta nella sua pienezza. La poesia è autenticità. Essa non pretende di descrivere l’essere nella sua oggettività cosale. Essa non ha nulla da spartire con la scienza che è erede della metafisica, la quale riduce l’essere all’ente. Il poeta sa esprimere in parola l’esperienza che fa del linguaggio. Ma la poesia più alta non è risultato della bravura dell’uomo, ma è un dono dell’essere.
Il primato dell’ascolto dell’essere e l’importanza dell’ermeneutica
Nel linguaggio e, in modo esemplare, nella poesia non è l’uomo che parla, anzi è parlato dal linguaggio mediante cui si esprime lo stesso essere. Di qui il primato dell’ascolto dell’essere e l’importanza dell’ermeneutica quale comprensione e decifrazione del linguaggio, mai decisiva, perché in esso l’essere si manifesta nella sua storicità. Il che non significa che l’essere è condizionato dai fatti storici, al contrario storicizzandosi nel linguaggio più elevato, il linguaggio poetico, l’essere crea – secondo Heidegger – un nuovo linguaggio. Pensiero poetante e poesia pensante sono, dunque, forme esemplari del disvelamento dell’essere.
L’artista è considerato da Heidegger un tramite della rivelazione dell’essere
L’arte non è il risultato di una creazione dell’artista, ma è un evento dell’essere. La rappresentazione artistica ha, secondo Heidegger, la capacità di rivelare la verità delle cose, non la loro bellezza ma la loro essenza. La capacità veritativa dell’arte sta nel presentare non oggetti ma rappresentazioni. L’artista è considerato da Heidegger un tramite della rivelazione dell’essere. Porrebbe infatti in contatto la condizione dell’uomo con la verità.