Alla luce della legislazione ora in vigore in Italia, che ha recepito le direttive UE che abbiamo illustrato nel precedente articolo e si armonizza coi regolamenti che abbiamo citato, si può provare ora a illustrare nelle grandi linee l’iter cui è sottoposto il richiedente protezione internazionale dal momento del suo arrivo nel nostro paese.
Innanzitutto va detto che hanno diritto di accedere alla protezione internazionale indiscutibilmente tutte le persone straniere, non esistendo – né sarebbe seriamente possibile stilarla - una lista di paesi stranieri “sicuri” a priori: ciò si porrebbe in netto contrasto con quell’attenzione alla situazione concreta ed effettiva vissuta dal richiedente nel paese di origine o provenienza posta alla base del riconoscimento del diritto soggettivo all’asilo, al rifugio e alla protezione sussidiaria.
Di conseguenza, chiunque si trovi a essere nella disponibilità delle forze dell’ordine italiane (dunque anche nelle zone di confine o di transito in mare) può fare richiesta di protezione, essendo sufficiente a questo scopo che la persona manifesti, anche oralmente e in qualsiasi lingua, una volontà in questo senso, oppure può farne richiesta in seguito presso la Questura competente in base al luogo di dimora del richiedente. Con l’introduzione del nuovo art. 10 T.U.I. ad opera della L. 46/2017, si individuano nei centri di primo soccorso ed accoglienza (CPSA) già istituiti precedentemente dalla L.563/95, i luoghi in cui allestire i c.d. hotspot (attualmente sono quattro: Lampedusa, Pozzallo, Elmas e Otranto) all’interno dei quali procedere alle prime cure mediche, all’obbligatorio foto-segnalamento e identificazione da parte della polizia, al discernimento tra i non richiedenti e coloro che invece intendono presentare le richieste di p.i.. Queste ultime, quindi, vengono trasposte su appositi moduli (modulo C3) e, contestualmente, si fornisce un sussidio linguistico da parte di interpreti, nonché materiali e opuscoli informativi contenenti ogni elemento utile al richiedente riguardo alla procedura d’asilo, ai suoi diritti e doveri. Rispetto agli hotspot quali “punti di crisi”, tuttavia, esistono delle gravi criticità connesse al fatto che essi non sono formalmente previsti o le loro funzioni esplicitate in questi termini all’interno di alcuna legge o decreto, ad esclusione di una mera circolare ministeriale del 2015. In mancanza di una disciplina adatta che ne chiarifichi per legge natura e funzioni che vi si svolgono, pertanto, sembrerebbe fondato il timore, in passato già avanzato dall’UNHCR, che le azioni di restrizione della libertà personale dei richiedenti ai fini identificativi negli hotspot si collochino in aperta violazione delle previsioni e delle garanzie previste dall’art.13 Cost.
Nel caso in cui l’Italia sia risultato il paese competente all’esame della richiesta, ai sensi di Dublino III e sulla base delle informazioni presenti in Eurodac, in attesa che la Commissione territoriale si pronunci sulla sua domanda, il richiedente ha il diritto di restare in Italia fino alla decisione sulla stessa o sull’eventuale ricorso giurisdizionale, è autorizzato a svolgere attività lavorativa solo a partire dal secondo mese successivo alla presentazione della domanda di protezione e non può essere messo in contatto con le autorità consolari del paese di appartenenza o provenienza. Inoltre deve essere inserito nel sistema di accoglienza che, oltre ai citati CPSA e ai sensi del d.lg. 142/2015, è composto da un sistema variegato di centri di accoglienza governativa (CDA) - nei quali si provvede ad una prima accoglienza in fase di espletamento delle procedure di richiesta della p.i. (CARA), o si provvede ad un accoglimento temporaneo nei casi di sovraffollamento degli altri centri o di arrivi straordinari e ravvicinati, all’interno dei centri di accoglienza straordinaria (CAS). Ed un sistema di “seconda” accoglienza, il già ricordato SPRAR, predisposto per i soggetti vulnerabili, nonché per richiedenti privi di mezzi sufficienti a garantire una qualità di vita adeguata per la salute e per il sostentamento proprio e dei familiari. All’interno del quale, grazie alla collaborazione con amministrazioni territoriali e enti no-profit, si dovrebbe provvedere al vitto e alloggio, assistenza sociale e sanitaria, tutela legale-amministrativa, formazione linguistica, misure in favore dell'integrazione. L'accoglienza (che si protrae per i sei mesi successivi al riconoscimento della p.i. o umanitaria, salvo ulteriori proroghe eccezionali in relazione a percorsi avviati d’integrazione) può essere revocata per violazione grave o ripetuta delle regole del progetto di accoglienza o a seguito di comportamenti gravemente violenti.
Infine la L.46/2017, voluta dall’ ex ministro dell’interno Minniti, ha (art. 19) rinominato, potenziandone la rete, i CIE (oggi CPR, centri di permanenza per i rimpatri) nei quali vengono trattenuti i cittadini stranieri in posizione di irregolarità nel territorio nazionale, o che si siano rifiutati di sottoporsi al rilevamento fotodattilostopico (sull’assunto che tale comportamento possa integrare un rischio di fuga) e aumentando fino ad un massimo di 45 giorni il termine massimo di trattenimento presso i CPR stessi per gli stranieri che hanno già scontato una detenzione in passato per un periodo di 90 giorni, modificando in peggio le disposizioni più favorevoli che erano previste dal T.U.I ’98.
L’istanza di protezione internazionale, durante lo svolgimento del colloquio personale del richiedente di fronte alla CT (Commissione territoriale), deve essere motivata sulle ragioni che lo hanno indotto ad abbandonare il proprio paese e le persecuzioni di cui dichiara di essere oggetto, e, per quanto possibile, documentata. L’audizione si svolge garantendo al richiedente la possibilità di farsi assistere da un interprete e, a proprie spese, da un difensore ed essa può essere rinviata rispetto alla data in cui è fissata solamente per gravi motivi: in caso di assenza ingiustificata del richiedente, la CT dovrà decidere sulla base della documentazione disponibile. Garanzie particolari sull’assistenza sono osservate in caso di persone appartenenti alle categorie vulnerabili, in primis i minori, per i quali il colloquio avviene alla presenza del genitore che esercita la potestà o del tutore. La CT si pronuncia positivamente e senza necessità di audizione nei casi in cui la domanda sia manifestamente fondata o il richiedente non sia in grado di sostenere il colloquio per motivi di salute debitamente certificati.
Gli esiti dell’esame della Commissione possono essere: respingimento della domanda, riconoscimento dello status di rifugiato, o in subordine, della protezione sussidiaria, oppure concessione della protezione umanitaria qualora sussistano gravi motivi di carattere umanitario anche in assenza dei presupposti della protezione internazionale. Tra i diritti riconosciuti al rifugiato, in particolare va menzionata l’importanza del diritto ai documenti, tra cui indubbiamente il permesso di soggiorno per concessione asilo o protezione sussidiaria, che viene rilasciato dalla Questura, ha durata quinquennale, è rinnovabile e consente al titolare di studiare, lavorare, avere accesso al pubblico impiego, iscriversi al servizio sanitario, ottenere prestazioni assistenziali e assegni di maternità. Oltre che avere la possibilità di ricongiungimento coi familiari, non sottoposto alle normali restrizioni sul reddito e sull’alloggio previste dalla legge; in caso di permesso di soggiorno rilasciato a seguito del riconoscimento dello status di rifugiato, inoltre, è possibile per il titolare fare richiesta per ottenere la cittadinanza italiana dopo 5 anni, anziché 10.
Altro aspetto importante è rappresentato dalla disciplina sui documenti di viaggio cui hanno diritto, anche se con caratteristiche differenti, i titolari di permesso di soggiorno per asilo politico, per protezione sussidiaria e per motivi umanitari, tenendo però sempre presente che non può essere utilizzato per recarsi verso il paese di appartenenza o provenienza, in quanto ciò potrebbe ovviamente provocare la revoca della protezione internazionale e dei diritti connessi. I beneficiari di protezione internazionale sono equiparati ai cittadini italiani nell’accesso al diritto all’alloggio, all’accesso alla tutela giurisdizionale, alla previdenza e all’assistenza sociale, all’istruzione e al lavoro, compresa la possibilità di accedere al pubblico impiego con le stesse limitazioni previste per i cittadini comunitari.
Esistono e sono da aggiungere a questo quadro generale, infine, delle novità non propriamente edificanti apportate da ultimo dalla già citata legge Minniti L.46/17. Nel prossimo articolo ci occuperemo quindi di andare ad analizzare più nello specifico i cambiamenti in atto in materia di diritto d’asilo in Italia e per quale motivo, in aggiunta alle proteste provenienti dal mondo politico, sono già molte anche le associazioni di professionisti esperti nel settore dell’immigrazione che vogliono cancellare una legge ritenuta contrastante coi principi dettati dalla Costituzione in materia di tutela dei diritti fondamentali della persona.
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