Un premierato a rischio autoritario

La riforma costituzionale già approvata dal Senato e attualmente in discussione alla Camera che introduce il c.d. premierato cambierà profondamente la natura e lo spirito della nostra Costituzione, ponendo anche seri rischi di possibili svolte autoritarie che non possiamo permetterci.


Un premierato a rischio autoritario Credits: Quirinale.it, Attribution, da Wikimedia Commons

Mentre il Parlamento è in ferie e sui tavoli dei parlamentari riposano le sudate carte in attesa della ripresa dei lavori, conviene fare una piccola riflessione a bocce ferme sul disegno di legge governativo, che vuole introdurre in Italia una importante riforma costituzionale che trasformerà alle radici la stessa natura della nostra Repubblica, così come voluta dai padri costituenti. Stiamo parlando del disegno di legge che introduce il c.d. premierato, già approvato il 18 giugno dal Senato e adesso alla Camera per il suo esame in commissione e poi in aula [1]. È vero, il percorso verso la sua approvazione definitiva è ancora lungo e tortuoso, anche perché il testo, qualora non dovesse essere modificato dalla Camera, cosa molto difficile, richiederà a distanza di tre mesi dalla sua approvazione un nuovo esame da parte dei due rami del Parlamento e la sua approvazione finale a maggioranza dei due terzi, altrimenti dovrà essere sottoposto a referendum popolare (articolo 138 della Costituzione).

La riforma voluta dalla maggioranza di destra mira a rafforzare i poteri del presidente del Consiglio dei ministri, con l’obiettivo di avere governi più stabili e coerenti con la volontà degli elettori, evitando il ricorso a leader non eletti dal popolo o a governi tecnici, scongiurando inciuci o ribaltoni, maggioranze arcobaleno o non coese tra loro, presentandola come la madre di tutte le riforme [2]. Il disegno di legge costituzione prevede infatti che il presidente del Consiglio venga eletto direttamente dai cittadini insieme alle due Camere ogni cinque anni e per non più di due legislature consecutive, mentre il presidente della Repubblica si limiterebbe solo ad affidargli l’incarico di formare il nuovo Governo, nonché nominare e revocare i ministri su sua proposta. Al riguardo, il testo della riforma costituzionale non dice nulla sulla modalità di elezione di Camere e capo del Governo, rinviando ad una successiva legge ordinaria, ma sottolineando la possibilità di ricorrere al ballottaggio tra i primi due candidati premier che hanno ricevuto maggiori consensi, nonché di assegnare un premio elettorale in termini di seggi attribuiti in Parlamento a favore dei partiti legati al presidente del Consiglio neo eletto. Il ddl prevederebbe anche l'abolizione del semestre bianco, cioè di quel periodo di sei mesi precedente la scadenza del mandato del capo dello Stato, durante il quale egli non può sciogliere le Camere e indire nuove elezioni. Se venisse approvata la riforma costituzionale, questo divieto non esisterebbe più, consentendo così al presidente della Repubblica di sciogliere entrambe le Camere [3] in qualsiasi momento in circostanze eccezionali. Scelto il capo del Governo dal popolo e da lui individuati i ministri, entro dieci giorni il nuovo Governo dovrà ottenere la fiducia dal Parlamento. In caso negativo, il presidente della Repubblica dovrebbe dare un nuovo incarico allo stesso presidente del Consiglio. Solo nel caso in cui neanche questo secondo tentativo dovesse andare a buon fine, al capo dello Stato non rimarrebbe altro da fare che sciogliere il Parlamento e fare tornare al voto i cittadini. Stessa cosa accadrebbe nel caso in cui una delle due Camere revocasse la fiducia al presidente del Consiglio eletto dal popolo. Se, invece, fosse lo stesso premier a dare le dimissioni, egli potrebbe chiedere al presidente della Repubblica di sciogliere il Parlamento e andare al voto, ma in alternativa il capo dello Stato potrebbe anche incaricarlo di formare un nuovo governo o affidare tale incarico ad un altro parlamentare eletto sempre nella stessa maggioranza parlamentare. La riforma andrà ad intaccare pure la modalità di elezione del presidente della Repubblica, che potrà avvenire con il voto segreto del Parlamento riunito in seduta comune insieme ai delegati delle regioni a maggioranza dei due terzi nelle prime cinque votazioni, consentendo la nomina a maggioranza assoluta solo dal sesto scrutinio in poi. Il nuovo testo eliminerebbe pure il potere di controfirma dei membri del Governo per alcuni atti del capo dello Stato, nonché la possibilità per quest’ultimo di nominare i senatori a vita. Resteranno tali solamente quelli attualmente in carica e gli ex capi di Stato.

Questi in linea di massima i punti salienti della riforma costituzionale attualmente in discussione in Parlamento. Ma lì dentro e fuori lo scontro politico sul ddl si fa ogni giorno sempre più acceso, mentre tra i cittadini regna sovrana la confusione e la poca chiarezza, anche perché si tratta di un tema molto tecnico. Appare allora opportuno tentare qui una prima, anche se limitata, analisi degli effetti nefasti della riforma, suffragati anche dal pensiero di insigni commentatori [4]. Innanzi tutto, possiamo dire che il premierato, così come proposto dalla maggioranza di destra, non può funzionare, se non sappiamo anche le modalità con cui avverrà l’elezione del premier e delle Camere, compito affidato invece per espressa volontà del testo di riforma ad una successiva legge ordinaria, che potrebbe anche stravolgere l’impianto del ddl, non facendolo funzionare a dovere o come ci si aspetterebbe, complicando ulteriormente le cose. Il testo all’esame delle Camere, inoltre, cerca di coniugare il diavolo e l’acqua santa, come si suole dire, cioè due forme di governo del tutto antitetiche, come il presidenzialismo e il parlamentarismo sul quale si basa la nostra Costituzione, creando quindi un mix micidiale. Il voto di fiducia del Parlamento al premier ed il potere di scioglimento delle Camere da parte del capo dello Stato vengono infatti conservati, ma svuotati del loro significato poiché il capo del Governo è eletto direttamente dal popolo, a cui dovrà (e certamente vorrà) politicamente rispondere, senza tenere conto poi dell’aumento dei poteri assegnati (e concentrati) al presidente del Consiglio, guida del potere esecutivo e del potere legislativo. La struttura costituzionale che ne deriverà da questa riforma sarà allora del tutto inedita e anomala, non prevista attualmente in nessuna delle democrazie occidentali che conosciamo, perché metterà un presidente del Consiglio, espressione della maggioranza elettorale e scelto direttamente dal popolo, in contrapposizione ad un presidente della Repubblica eletto invece in via indiretta dal Parlamento, con un rapporto scompensato a favore del primo, che non potrà non aprire la strada ad un possibile conflitto permanente ai vertici dello Stato tra chi è investito dal popolo e da lui legittimato e chi invece non lo è, se non in via indiretta. Siamo d’accordo tutti che l’Italia ha la necessità di governi più coesi politicamente e stabili, ma ciò non può avvenire aumentando i poteri del capo del Governo. Occorre invece avere una buona legge elettorale che tenga conto di tutte le pulsioni e le istanze del paese reale, puntando a partiti politici che siano radicati nel popolo e veramente rappresentativi di esso e non meri comitati elettorali dei candidati. L’aumento dei poteri di chi si trovi alla guida dell’esecutivo, più che rafforzare la governabilità può condurre invece ad accentuare la conflittualità interna al sistema, col rischio di possibili svolte autoritarie, soprattutto in situazioni di emergenza (io sono stato eletto dal popolo e io decido, insomma…). La nostra Costituzione, nata dall’esperienza negativa di una dittatura e di una guerra, forgiata nella lotta di liberazione partigiana dal nazifascismo, s’ispira a principi garantisti, di difesa della persona e del pluralismo sociale e politico, evitando la concentrazione del potere nelle mani di un solo organo costituzionale, attribuendo la sovranità non alla maggioranza elettorale, ma al popolo nel suo complesso (articolo 1), affidando a due organi costituzionali indipendenti dalla maggioranza politica (il presidente della Repubblica e la Corte costituzionale) la funzione di controllo costituzionale delle leggi e dei poteri, confidando in un parlamento autonomo, che non dipende da altri poteri, espressione del popolo che lo ha eletto. Il fatto è che attualmente tra i banchi del Governo siedono, legittimamente certo, forze politiche che non hanno partecipato alla redazione della nostra Carta fondamentale, oppure che guardano ad essa con sufficienza o fastidio, perché figli e nipoti di coloro che ci hanno portato in dono una dittatura e una guerra disastrosa, mentre il prossimo capo del Governo eletto con il nuovo sistema voluto a destra potrebbe essere cresciuto a principi contrari a quelli fondanti della nostra Costituzione, con la voglia matta – tanto egli è stato scelto direttamente dal popolo e può fare ciò che vuole – di modificarla e farsene una a suo uso e consumo. Pensiamoci bene allora prima di decidere, se non vogliamo presto finire come l’Ungheria di Orban.

 

Note:

[1] Atto Camera n. 1921, trasmesso dal Senato il 18 giugno 2024.

[2] V. dichiarazione della ministra per le riforme istituzionali Elisabetta Casellati, in https://stream24.ilsole24ore.com/video/italia/premierato-casellati-non-c-e-nulla-eversivo-e-antidemocratico-ridiamo-scettro-popolo/AF07D2JD.

[3] Oggi è possibile scioglierne anche una sola (articolo 88 della Costituzione).

[4] https://www.corriere.it/opinioni/24_agosto_06/premierato-la-vera-posta-in-gioco-della-riforma-473c8ef8-6caa-44b2-b7e4-7d7cf5d5cxlk.shtml?refresh_ce; https://www.associazionedeicostituzionalisti.it/it/la-lettera/07-2024-la-riforma-costituzionale-della-forma-di-governo/i-rischi-del-premierato; https://www.questionegiustizia.it/articolo/appello-costituzionalisti-premierato; https://www.collettiva.it/copertine/italia/azzariti-con-autonomia-e-premierato-doppio-colpo-alla-democrazia-iqsmuomp.

16/08/2024 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Ciro Cardinale

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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