Frantumazione e svuotamento dei vecchi partiti, nuovi soggetti politici ambigui e trasversali, necessità di tornare alle radici e agli scopi fondamentali dell’azione politica. Nella confusione enorme dell’attuale scenario, si fa strada l’ipotesi di un partito come Bene Comune per affermare il diritto di accesso per tutti a ciò che appartiene a tutti in quanto esseri umani.
di Laura Nanni
Quale dovrebbe essere il ruolo dei partiti oggi?
C’è chi sta cercando una buona politica all’interno di un gruppo (da destra a sinistra), ma non trova che macerie; c’è chi prova a rilanciare partiti, vecchi e nuovi, e nuove aggregazioni, ma vanno in frantumi al primo impatto con la realtà, rivelando inconsistenza e mancanza di progettualità.
Poi è arrivato il M5S. Si è affermato dando ‘rassicurazioni’ circa la propria identità di non-partito, ma in realtà polarizza in sé tutti gli aspetti regressivi di un’organizzazione partitica.
Queste rovine dei partiti che ci troviamo ad osservare, sono molto spesso costituite da persone o gruppi di potere in conflitto tra loro che hanno in mente solo la spartizione di poltrone e di privilegi. Assistiamo da troppo tempo alla corruzione e al trasformismo di politici parlamentari o delle amministrazioni locali, animati solo da una inesauribile sete di potere e di ricchezza.
Dalla parte della società civile o del popolo, assistiamo al fenomeno della spoliticizzazione o de-politicizzazione di quella ‘massa’ che corrisponderebbe (con uno sguardo metastorico) a quella che si era organizzata ed era cresciuta nei partiti, operai, socialisti, comunisti, quelli che sono andati costituendosi tra l’ottocento e il novecento con il diffondersi delle idee socialiste (ma non solo).
Le loro lotte politiche avevano l’obiettivo di conquistare l’utilizzo dei mezzi di produzione e di cancellare quei privilegi che tenevano in condizione di sudditanza e sfruttamento la popolazione.
Ed erano nello stesso tempo lotte per l’emancipazione, in cui la volontà di scardinare un ordine ingiusto era alimentata da ideali internazionalisti e bisogno di conoscenza, per uscire da uno stato di minorità [1].
I partiti di massa si sono sviluppati come organismi attivi nella formazione dei cittadini e nell’ educazione alla partecipazione politica, agivano nei diversi campi della società consentendo, nonostante il carattere familistico e clientelare della società italiana, di acquisire una certa consapevolezza circa la propria identità di soggetto politico, in quanto parte attiva della società.
Poi gli anni Novanta, Tangentopoli e il resto hanno messo in crisi tutto il sistema dei partiti.
Oggi questi partiti, che avevano un ruolo fondamentale nella relazione tra la società civile e lo Stato, non ci sono più e se resistono come testimonianza, sono debilitati e rischiano il dissolvimento totale se non riescono a riprendere conoscenza, tornando alla radice dei problemi e degli scopi ideali, cercando e ritrovando nella società contemporanea uno spazio e un ruolo, quello di ri-politicizzare la società.
Compaiono sui quotidiani affermazioni che fanno rabbrividire o lasciano molte perplessità; io vorrei analizzare proprio il titolo di un articolo uscito sul Manifesto Cara sinistra, è finito il partito monoteista di Lidia Menapace, che mi ha dato da pensare.
Mi ha dato da pensare l’accoppiata partito-monoteista, due termini che attengono a domini lessicali differenti, uno a quello politico e l’altro a quello religioso.
Partito è un termine che ha a che fare col campo socio-politico, definisce un’organizzazione che ha dei compiti nella vita pratica della società, nell’organizzare azioni che mirano all’affermazione di ideali che abbiano una ricaduta nell’ambito governativo-decisionale.
Monoteista è un aggettivo in uso nel campo delle religioni, definisce qualcosa che attiene alla trascendenza, alla fede in un unico Dio a cui riferirsi, riguarda la spiritualità dell’individuo.
Perché mai un partito di sinistra, un partito comunista, dovrebbe essere definito monoteista? Lo trovo improprio, perché crea un’immagine che non è corrispondente alla realtà di un partito comunista di oggi.
Evoca un’immagine monolitica e rigida con aspirazioni assolutistiche e trascendenti che non rendono giustizia al laboratorio sociale che è in fermento nella società.
Perché un grande fermento con alla base l’idea di una società socialista c’è, e si riversa nella società attraverso la partecipazione attiva, in partiti o movimenti che hanno preso distanza dalle poltrone, ma stanno trovando luoghi e tempi diversi per l’azione politica.
L’Italia è da sempre stata condizionata dalla presenza dello stato della Chiesa, dal cattolicesimo, tanto che a volte non ci si rende conto che è necessario fare delle distinzioni, anche nella terminologia che si usa, tanto per non creare confusione.
Le parole per dire le cose bisogna sceglierle con cura, troppe parole vengono gettate sul campo lasciando effetti deleteri che non contribuiscono al formarsi di un’ idea chiara, corrispondente alla realtà o ad un pensiero.
"Quando si cominciano a nominare bene le cose si diminuisce il disordine e la sofferenza che c'è nel mondo.” Albert Camus
L’identità comunista ha delle radici scientifiche, che sono quelle del marxismo, sono chiare e possono essere discusse, perché siamo in tempi storici diversi, per renderle adeguate alla comprensione attuale; ma, in quanto scientifiche, secondo il principio di falsificabilità di Popper [2], sono ancora valide, anzi, le analisi marxiane sono state rivalutate da più parti.
La mia idea o visione è che la dimensione attuale del partito sia quella di un partito come Bene comune, da difendere perché non finisca per appartenere ad un’oligarchia che possa decidere come usarlo per l’affermazione di ‘interessi particolari’.
Il partito bene comune è una risorsa costruita da lotte di decenni, da vite spese per affermare gli ideali di uguaglianza dei diritti universali, per affermare il diritto di accesso per tutti a ciò che appartiene a tutti in quanto esseri umani prima di tutto, poi cittadini - cittadine e lavoratori - lavoratrici.
E’ un bene immateriale e materiale insieme, perché la sua natura va al di là di valutazioni di tipo materiale-economico in quanto deve essere sottratto alla logica del mercato, ad una logica che esclude invece di includere chi di fatto ne fa parte come appartenente ad una classe e ha bisogno di riferimenti chiari e certi. Ha bisogno di organizzazione, di protocolli comuni che consentano partecipazione e avanzamento nel suo rivolgersi alla prassi politica, perché è plurale.
Ma pluralismo non significa relativismo. Significa dialogo, significa capacità di ragionare in base a criteri ed obiettivi comuni per trovare ogni volta la strada migliore, la più giusta per la collettività, parte della più vasta umanità.
Note
[1] “L'illuminismo è l'uscita dell'uomo da uno stato di minorità il quale è da imputare a lui stesso. Minorità è l'incapacità di servirsi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Imputabile a se stessi è questa minorità se la causa di essa non dipende da difetto di intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di servirsi del proprio intelletto senza esser guidati da un altro. Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza - è dunque il motto dell'illuminismo.” E. Kant, risposta alla domanda: che cos’è l’illuminismo, 1784.
[2] Il criterio è quello che fa coincidere la scientificità delle teorie con la loro falsificabilità; nasce – come ricorda Popper stesso – sotto l’impressione del grande rivolgimento portato nella Fisica dalla teoria della relatività di Einstein.