Martedì scorso, il segretario generale della FIOM è entrato nella segreteria nazionale della CGIL. Un esito noto da mesi. Anche da anni per chi ha dato retta alle voci di corridoio e alle “indiscrezioni” dei giornali. E comunque annunciato in modo ufficiale da Susanna Camusso già lo scorso settembre, quando, all'assemblea generale della CGIL, la segretaria aveva riconosciuto la ricomposizione con la FIOM e aperto di fatto a un percorso congressuale unitario, promettendo la ricostruzione di una maggioranza che includesse il segretario dei metalmeccanici. Una ricomposizione possibile sulla base di una convergenza contrattuale ormai collaudata, ratificata con la cera lacca pochi mesi con la firma del contratto nazionale dei metalmeccanici.
Erano 20 anni che un segretario generale della FIOM non entrava nella segreteria nazionale della CGIL. Non per caso, ovviamente, ma perché la FIOM in questi decenni è stata una anomalia nel corpo della CGIL, sia dal punto di vista politico che contrattuale. Né per Sabattini né per Rinaldini ci fu posto in segreteria alla scadenza del loro mandato.
Stare fuori dalla segreteria era, in qualche modo, il prezzo pagato per scelte coraggiose, spesso apertamente disobbedienti rispetto alla linea della confederazione. Come quando la FIOM decise di partecipare da sola alle mobilitazioni contro il G8 a Genova. Oppure quando la FIOM partecipò insieme ai Cobas alla manifestazione contro la precarietà il 4 novembre 2006 a Roma, in esplicito contrasto al governo Prodi allora in carica. O ancora quando, pochi mesi dopo, la FIOM si schierò per il NO al referendum sul protocollo sul welfare di Damiano. E poi quando nel 2009 e nel 2012 rifiutò di firmare i contratti nazionali di FIM e UILM. E quando nel 2010 affrontò la sfida contro FCA a Pomigliano e Mirafiori, respingendo anche l'ipotesi della firma tecnica, suggerita invece dalla CGIL. O anche quando, ancora nel 2014, in pieno congresso, la FIOM schierò il Comitato Centrale per il ritiro della firma della CGIL dal TU sulla rappresentanza del 10 gennaio.
Furono tutti passaggi coraggiosi, non senza resistenze e contraddizioni interne, certamente. A volte, era lecito il dubbio che in fondo anche il gruppo dirigente di allora fosse portato a condividere una linea più radicale di quanto non riuscisse a sostenere. Ma lo spirito di corpo della categoria, una quasi storica autonomia dalla CGIL e il riconoscimento del ruolo centrale della FIOM da parte di vaste aree di movimento bastavano a reggere queste scelte. L'esclusione dalla segreteria della CGIL era quasi un fatto scontato.
L'ingresso del segretario della FIOM nella segreteria confederale segna la fine di una parabola. Non è una svolta improvvisa, ma il frutto di un lungo percorso determinato dalle scelte contrattuali e politiche della categoria, consumate dietro a una immagine mediatica, battagliera e avvincente. Mentre il suo segretario annunciava l'occupazione delle fabbriche e lanciava invettive dai salotti televisivi, piano piano la FIOM rientrava nei ranghi, firmando anche accordi aziendali di resa (compreso quello alla ex Bertone, nel gruppo FCA), accettando con la scusa della coalizione sociale la fine delle mobilitazioni contro il Jobs act e applicando il TU prima di tutte le altre categorie. Firmando poi il peggior contratto nazionale degli ultimi decenni, con il quale, in una volta, la categoria si è arresa all'unità con FIM e UILM, cedendo per 1.7 euro lordi al mese su deroghe, salari legati all'inflazione IPCA, sanità integrativa, welfare aziendale, flessibilità, penalizzazione della malattia breve, totale variabilità dei premi e limitazione della legge 104.
L'esito di questo percorso non è quindi, purtroppo, il cambiamento della linea della CGIL, ma il rientro della FIOM. Non è la CGIL a essere più radicale di prima. È la FIOM che è più obbediente. E non è un caso se proprio la FIOM, che in questi 20 anni era stata essa stessa garante della diversità di opinioni nella CGIL, nel tempo abbia trasformato il pluralismo al suo interno in un fatto disciplinare, mal tollerato, bistrattato e a volte apertamente represso. Complice anche il fatto che l'immagine televisiva ha finito per trasformare il segretario generale in un idolo intoccabile, alimentando nel gruppo dirigente e in tanti delegati un leaderismo, che a volte ha sfiorato il fanatismo.
É ben probabile che nel prossimo congresso della CGIL, nel 2018, l'unico elemento di critica alla linea della maggioranza sia l'opposizione del Sindacato è un'altra cosa, che ha già annunciato un suo documento alternativo, anche votando contro l'ingresso di Landini in segreteria della CGIL e sostenendo il NO al contratto nazionale dei metalmeccanici e alle linee guida per la contrattazione aziendale che da esso sono derivate.
Nel frattempo, è cambiato il segretario generale della FIOM, che da poche ore è Francesca Re David. Cambia la persona, ma non la linea politica di questi anni, condivisa da lei e da tutta la maggioranza del gruppo dirigente, passaggio dopo passaggio. Ed è certo improbabile che regga quell'autonomia dalla CGIL così gelosamente difesa in passato.
Di fatto, almeno per ora, l'anomalia della FIOM è quindi finita. Verrebbe da dire che ha vinto la CGIL e Susanna Camusso, cacciata a suo tempo dalla categoria perché troppo moderata. In realtà, penso che abbiano perso tutti. Anche la CGIL, perché il prezzo è un pessimo contratto nazionale dei metalmeccanici che rischia di fare da modello per le altre categorie. E perchè l'anomalia FIOM, poteva essere indigesta ai gruppi dirigenti e fastidiosa nei congressi, ma era un bene per tutti. Perché in una organizzazione di milioni di lavoratori e lavoratrici il pluralismo, la critica, il dissenso, non sono un incidente ma un elemento di valore, di tenuta e di crescita.