Personalmente non nutro grossi rimpianti per il regime di Assad, una famiglia che per oltre cinquant’anni ha governato la Siria mediante una repressione sanguinosa, appoggiandosi, specie negli ultimi anni, soprattutto all’intervento militare di Russia e Iran. Appoggio che tuttavia, come si è visto, non poteva risultare sufficiente in assenza di un autentico sostegno popolare. La puntuale e dettagliata analisi della fine del regime svolta da Wofnon, sito di controinformazione militare gestito da ufficiali cubani in pensione, identifica nel tradimento dei militari siriani un fattore decisivo che spiega in parte notevole lo sfarinamento della resistenza di fronte alla resistibile ascesa delle forze jihadiste e alla presa del potere da parte di Al Jolani e dei suoi accoliti. Ma anche tale tradimento costituisce a ben vedere l’effetto, forse inevitabile, della fragilità del consenso di cui godeva il regime in molti se non tutti i settori della complessa società siriana. Determinante è stato il peso delle sanzioni inflitte dall’Occidente e la distruzione del regime degli Assad è stata, come spiegato da Jeffrey Sachs, un obiettivo coerentemente e lucidamente perseguito dalle élites imperialiste e sioniste. Il piano di costoro, concepito nel 1996, è alfine venuto a maturazione quasi trent’anni dopo. Un ruolo determinante è stato svolto dalla Turchia di Erdogan, interessata ad espandere la sua emprise territoriale sul Nord della Siria liquidando l’autogoverno democratico della Rojava, guidato da una coalizione multietnica a egemonia kurda.
La convergenza di interessi tra Turchia Stati Uniti e Israele ha condotto all’abbattimento del regime siriano, ma il governo di Al Jawlani appare estremamente fragile e non è chiaro se e come potrà sopravvivere.
La lotta per fermare il genocidio e realizzare i diritti del popolo palestinese entra in una nuova fase nella quale sarà determinante l’iniziativa giuridica e politica volta a smantellare le enormi complicità di cui gode in Occidente e che risultano indispensabili per continuare la strategia imperialista e sionista dello sterminio e della negazione dell’autodeterminazione ai popoli.
Si pone nel nuovo contesto anche il problema dell’autodeterminazione del popolo siriano, dato che è molto improbabile che Al Jawlani possa tenere fede alla sua promessa di instaurare un governo democratico e pluralista. Né potrà affrontare in modo adeguato il tema del recupero della sovranità territoriale di fronte all’occupazione turca a Nord e a quella israeliana a Sud. Si tratterà quindi in buona misura di un governo fantoccio teleguidato dalle Potenze esterne che hanno determinato la caduta di Assad e cioè per l’appunto Stati Uniti, Israele e Turchia.
La bandiera della Siria unita, democratica e sovrana, così malamente impugnata e difesa dal regime di Assad, dovrà quindi passare in altre mani. In questo senso vedremo nel prossimo futuro quante e quali forze emergeranno. Un’attenzione particolare andrà rivolta alle forze democratiche siriane che hanno il loro punto di forza nel governo della Rojava.
Queste ultime combattono oggi una battaglia decisiva per la sopravvivenza, sia fisica che del modello di democrazia autogestita che sono riusciti a mettere in piedi, senza limitarsi a governare una porzione del territorio ma aspirando alla rigenerazione democratica di tutti gli Stati della regione, a partire proprio dalla Siria. Per questo vanno sostenute e difese.