Repubblica araba siriana: tutte le ragioni di un assassinio annunciato

Volendo riassumere il senso dell’articolo con i versi manzoniani: “Ei fu (…) quando, con vece assidua,/ cadde, risorse e giacque,/ di mille voci al sonito mista la sua non ha/: vergin di servo encomio e di codardo oltraggio/, sorge or commosso al subito/ sparir di tanto raggio (…) Fu vera gloria? Ai posteri/ l’ardua sentenza”


Repubblica araba siriana: tutte le ragioni di un assassinio annunciato

Fra gli eventi più significativi e al contempo più tragici dell’anno appena passato vi è certamente il crollo e la conseguente balcanizzazione della Siria, ormai quasi completamente controllata da potenze imperialiste, da forze filoimperialiste o da jihadisti. Un po’ come per la dissoluzione dell’Unione sovietica e delle democrazie popolari in Europa orientale vi è stato un crollo repentino, improvviso, apparentemente imprevedibile. Dei regimi che avevano dominato per decenni si sono improvvisamente dissolti come neve al sole, quasi senza colpo ferire. Riflettendoci, a mente fredda, si tratta evidentemente del classico salto qualitativo prodotto da un lento e apparentemente impercepibile sviluppo quantitativo. Un po’ come l’acqua quando diminuisce la temperatura, apparentemente resta sempre sostanzialmente se stessa sino a quando, improvvisamente, nel momento in cui la temperatura raggiunge gli zero gradi, l’acqua dallo stato fluido si trasforma nel suo opposto: lo stato solido. 

Il repentino salto qualitativo sembra qualche cosa di irrazionale, di imprevisto e imprevedibile, tanto che lo stesso aspirante imperialismo neo-ottomano, fra i maggiori attori che hanno prodotto l’attuale tragedia, quando hanno dato il via all’offensiva jihadista non avevano previsto il crollo, peraltro repentino, dello Stato siriano. In realtà l’attacco finale jihadista – sebbene fosse stato preparato da tempo, facendo giungere nella parte della Siria controllata dal terrorismo islamico, terroristi da un po’ tutto il mondo, addestrate e armate dalla Nato, in primo luogo da Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti, dalla Turchia, dalle petromonarchie del Golfo, con in prima fila il Qatar, e dai sionisti – è stata solo la causa immediata del crollo. Come quando viene ammazzato di botte qualcuno, dopo essere stata percosso continuamente e costantemente, tanto che alla fine basta un ultimo colpo per finirlo senza che, apparentemente, il carnefice lo abbia realmente voluto.

La Siria da decenni ha dovuto pagare con un perpetuo stato di assedio l’essersi ribellato al dominio colonialista, neocolonialista, imperialista, sionista, islamista, jihadista, neoliberista e neo-ottomano. Il perenne stato di assedio imposto da tutte queste forze ha costretto il paese a sopravvivere in un regime di perenne stato di emergenza, che rende di fatto necessaria una qualche forma di dittatura militare. Senza contare che il lavoro sporco della dittatura militare, con il costante rischio di essere ucciso, non lo vuole fare nessuno, in particolare nessuna brava persona. Così il regime siriano è stato a lungo guidato da Assad figlio che aveva ambizioni completamente differenti, non avrebbe mai voluto guidare il regime e quando vi si è visto di fatto costretto ha anche cercato, in un primo momento, di liberalizzarlo. Naturalmente in un regime necessariamente gerarchico e piramidale imposto dallo stato di assedio, avere un capo che non è stato formato e preparato per svolgere questo ruolo, che non aveva affatto questa vocazione e l’attitudine necessaria rende ogni cosa decisamente più difficile. Tanto più che nel momento in cui la delicatissima dialettica fra due contrari: il socialismo e il nazionalismo vede prevalere, complice lo stato di assedio, il secondo aspetto, anche il morale tende nel paese e nello stesso gruppo dirigente a precipitare. Nel perenne stato di emergenza, in un paese arretrato a causa di un lunghissimo dominio coloniale e imperialista, non vi è nessuna possibilità di realizzare una società socialista, di conseguenza non possono che prevalere all’interno dello Sato le forze tendenzialmente più realiste e nazionaliste, piuttosto che quelle idealiste e comuniste. Tanto più che la necessità di dover fronteggiare, al contempo, colonialismo, neocolonialismo, imperialismo, neoliberismo, sionismo, islamismo, jihadismo e pulsioni neo-ottomane non può che entrare in contraddizione con il professato patriottismo. Per poter sopravvivere al costante attacco i patrioti della classe dirigente siriana avevano dovuto non solo sottomettersi al nazionalismo russo, ma anche a quello iraniano, senza contare le ingerenze dell’islamismo iracheno, libanese e persiano in evidente contrasto con il professato laicismo. In tal modo, il consenso di una classe dirigente che si era affermata in nome del socialismo, del patriottismo, del modernismo e del laicismo non poteva che perdere consensi e, complice lo stato di assedio, non poteva che governare sempre più con la forza, il monopolio della violenza legalizzata, piuttosto che attraverso l’egemonia. L’aspetto odioso e autoritario del potere in una situazione del genere prende progressivamente il posto dell’indispensabile autorevolezza.

In una situazione del genere a far carriera è più facilmente l’opportunista pronto a obbedire senza discutere agli ordini, in nome della propria volontà di potenza, piuttosto che l’idealista che vorrebbe che prima di eseguire un ordine se ne valutasse la giustezza, la validità e la legittimità.

A complicare ulteriormente le cose ci sono stati i continui tentativi di corruzione da parte dei potentissimi nemici della leadership siriana e dei vertici dell’esercito, decisivi in una situazione di continuo stato di assedio. Per non inimicarsi troppo le forze predominanti imperialiste e filoimperialiste si sono progressivamente messi del tutto in secondo piano gli aspetti socialisti e antimperialisti del sistema paese. Le forze che hanno denunciato e si sono opposte al potere sono state represse o anche semplicemente messe da parte. Così, se già ai tempi di Assad padre si sostenevano indifferentemente forze di estrema sinistra, ma persino di estrema destra, se utili alla causa nazionale, si è arrivati l’anno scorso a tenere il profilo più basso possibile dinanzi allo spaventoso genocidio in Palestina, opera di quelle stesse forze sioniste che occupano la regione siriana del Golan e che hanno favorito, in modo diretto o indiretto, le forze del jihadismo internazionale.

In tal modo, è venuto meno nel paese quell’essenziale credo ideologico indispensabile, come spiega bene già Machiavelli, il fondatore della scienza politica, per la tenuta di uno Stato. Se il paese è guidato da forze opportuniste, a partire da un capo che ha guidato il paese solo perché figlio del capo del precedente regime, necessariamente dittatoriale, se a fare carriera e ad avere successo sono in fondo soltanto gli opportunisti, nessuno sarà pronto a rischiare la propria vita per difendere un sistema del genere. Ecco che, esattamente come per il crollo dell’Urss, nessuno ha combattuto fino all’ultimo, a partire dalla stessa dirigenza civile e militare, a difesa del sistema. 

Certo, come nel caso dell’Urss, le critiche non dialettiche, le negazioni assolute dei puristi e delle anime belle occidentali – rivoluzionari a parole, ma nei fatti non in grado di mettere minimamente in difficoltà il regime del proprio paese, da sempre schierato fra le potenze imperialiste che hanno imposto il continuo stato di assedio alla Siria – non hanno certo aiutato. Come non hanno aiutato i difensori in modo incondizionato del patriottismo curdo, pronti a crocifiggere senza tregua il regime dittatoriale siriano, nonostante che si trovasse a fronteggiare delle forze guidate generalmente da stranieri e, di fatto, alleate dell’imperialismo statunitense che occupa e sfrutta le principali risorse economiche di un paese, posto dalla sua effettiva indipendenza sempre sotto assedio. D’altra parte, non ha giovato nemmeno chi, in nome del campismo, ha sostenuto in modo acritico fino all’ultimo il sistema al potere in Siria, anche quando era evidente che quest’ultimo senza combattere stava lasciando il paese nelle mani dei sionisti, dei jihadisti persino provenienti dalla Cina, e delle forze imperialiste. 

Non hanno aiutato per niente nemmeno i “sinceri democratici” occidentali, sempre pronti a denunciare il regime dittatoriale siriano, senza non solo attaccare lo stato di assedio causa principale di esso, ma neanche pronti a criticare in modo adeguato i continui attacchi terroristici sionisti, che hanno finito per screditare completamente un sistema che non era in grado di difendere nemmeno gli interessi nazionali. Egualmente criticabili sono i sostenitori senza se e senza ma dei nazionalisti al potere in Russia, in quanto aggrediti dall’imperialismo occidentale. Lo stato russo non ha di fatto impedito i continui bombardamenti terroristici dei sionisti, né ha fronteggiato adeguatamente l’offensiva finale jihadista, arrivando sostanzialmente a impedire di difendere il paese a chi sembrava disposto a farlo, pur di mantenere buoni rapporti, con il regime sionista, con il regime neo-ottomano turco e, soprattutto, per mantenere le proprie basi militari nel paese.

Allo stesso modo non hanno giovato i sostenitori senza se e senza ma del sistema islamista iraniano, perché da sempre sotto attacco da parte dell’imperialismo, anche quando è governato da una leadership pronta, esattamente come quella gorbacioviana, a scaricare i propri alleati impegnati in una lotta per la vita e per la morte contro l’imperialismo, pur di stabilire una convivenza pacifica con quest’ultimo, decisamente distopica.

Infine non hanno aiutato neppure i sostenitori senza se e senza ma di quelle forze della resistenza palestinese e libanese che hanno accettato lo scontro in campo aperto con il sionismo, braccio armato dell’imperialismo occidentale, sostenendo che lo si poteva battere con una guerra di movimento, quando su questo piano non si può che essere sconfitti. Dimenticando che gli islamisti palestinesi principali responsabili di questa tattica avventurista si erano schierati apertamente con le forze jihadiste e filoimperialiste che avevano iniziato la guerra aperta alla Repubblica araba siriana, che avrebbe portato ai nostri giorni alla sua tragica scomparsa. Mentre le forze della resistenza libanese che hanno pensato, mosse anche da una irrazionale vocazione al martirio, di accettare lo scontro aperto con le forze sioniste – nonostante queste ultime avessero dietro il sostegno incondizionato dei suoi mandanti, cioè dell’imperialismo occidentale – hanno finito con il favorire, senza volerlo, quei continui bombardamenti criminali israeliani che hanno fatto perdere qualsiasi credibilità alla leadership patriottica siriana dinanzi al proprio steso popolo ed esercito, non a caso alla fine disposti a vederla venir meno senza impegnarsi seriamente in sua difesa.

05/01/2025 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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