Il 25-26-27 marzo scorsi si è tenuto a Livorno il secondo congresso nazionale del Partito Comunista Italiano. Il nostro giornale, sempre interessato agli sviluppi del movimento comunista in ogni sua forma organizzativa, ha partecipato come ospite, portando il suo saluto e seguendo con attenzione lo svolgersi del dibattito.
Lo slogan di lancio del congresso era “Ricostruire il Pci, unire i comunisti entro un fronte della sinistra di classe per uscire dalla crisi”. Il tema dell’unità dei comunisti, centrale negli intenti del nostro collettivo politico, era dunque il tema portante della discussione congressuale, in cui è emersa una dialettica interna fra posizioni diverse su questo argomento, secondo noi dirimente per il futuro dei comunisti e per la possibilità di una loro influenza concreta sulla realtà.
Nel dibattito attorno al tema dell’unità si sono dipanati molti aspetti fra loro interconnessi, come la distinzione fra unità dei comunisti e fronte unico di lotta, la necessità di ricostruire un forte partito comunista superando le divisioni attuali, ma nella consapevolezza delle differenze presenti sul campo, e infine il confronto con l’istituto elettorale e le problematicità che solleva nella possibilità di coalizzarsi con altre forze politiche. La critica a un’eccessiva tendenza elettoralista delle formazioni politiche comuniste attualmente presenti in Italia – Pci compreso – è emersa in diversi interventi.
Nel dibattito ha avuto ampio spazio la riflessione sull’attuale frammentazione dei comunisti nel nostro paese, e sono state espresse posizioni con maggiore o minore apertura riguardo al confronto del partito con le altre forze comuniste presenti. In alcuni interventi si è dato più peso al fattore identitario e a una certa “ortodossia” di partito, mentre in altri si è sottolineata la necessità di mettersi in gioco in maniera più convinta nel processo di ricomposizione, pena l’autoreferenzialità e la non incidenza sui processi di cambiamento.
Nelle conclusioni si è ribadita con forza la necessità di lavorare per l’unità dei comunisti, con la consapevolezza delle differenze presenti e dunque evitando scorciatoie di carattere organizzativo, nelle quali queste differenze stesse inevitabilmente farebbero ripercorrere strade fallimentari già battute. Si è parlato della necessità di una cultura politica se non omogenea quantomeno affine, come terreno di base per poter costruire il nuovo soggetto politico unitario della trasformazione, in grado di portare avanti concrete battaglie di emancipazione di tutti gli sfruttati È qui che si innesta la necessità di ricostruire un partito comunista all’altezza dei tempi, che abbia una visione lucida delle contraddizioni dello sviluppo capitalistico e possa rappresentare un riferimento per la classe subalterna dandole voce e speranza, non limitandosi a combattere le ingiustizie dell’oggi ma offrendo prospettive di una società nuova possibile. L’esperienza storica del “vecchio” Pci in questa prospettiva non deve alimentare atteggiamenti nostalgici ma essere introiettata come un patrimonio da cui far evolvere sviluppi proiettati verso il futuro. In quest’ottica è stato rilanciato anche un nuovo internazionalismo – attraverso il quale si deve guardare alle esperienze internazionali di carattere socialista senza dogmatismi, ma per quello che rappresentano nell’equilibrio mondiale – e l’auspicio di coordinamento fra i partiti comunisti europei.
Anche l’altra unità, quella della sinistra di classe, è stata argomento di discussione. Nel contesto, soprattutto, della costruzione di una valida opposizione all’attuale governo, è stato sottolineato come si debba partire dal dato di fatto di una situazione difficile di frammentazione della sinistra e del sindacalismo, e di una perdita di coesione della classe di riferimento stessa. Si è ribadita la necessità di agire per la massima unità possibile delle forze politiche, sindacali, sociali, che si facciano portatrici di lotte per un nuovo modello di sviluppo non asservito alla logica del profitto. È stato detto che servono parole d’ordine chiare come la piena applicazione della Costituzione, oggi sempre più svilita e oscurata nei suoi contenuti, la lotta per la pace, l’uscita dall’Ue e dalla sua logica di mercato. Il Pci, che già da anni coopera, come anche il nostro collettivo, nel Coordinamento delle Sinistre di Opposizione, ha confermato la massima disponibilità ad agire in tal senso, affinché la sinistra di classe unita rappresenti un’alternativa alle politiche antipopolari imperanti. È stato però sottolineata la necessità che venga rispettata, nel fronte di lotta comune, l’autonomia politica e organizzativa delle varie componenti, viste le esperienze fallimentari dei vari agglomerati “arcobaleno”, e che tale distinguo vale a maggior ragione quando si è posti di fronte alla sfida elettorale, innanzi alla quale è opportuno unire le forze, ma senza cancellare le rispettive identità.
Grandissimo spazio è stato dato, durante tutte le fasi congressuali, al drammatico momento che stiamo vivendo con la guerra in Ucraina. La posizione che è stata espressa unanimemente è una analisi lucida delle ragioni di questo conflitto, che non nascono con l’intervento russo: sono state sottolineate le responsabilità della Nato, la sua espansione a Est e la deriva bellicista dell’Ue. È stata presa distanza ferma dal finto pacifismo sostenitore dell’invio di armi, ed è stato ribadito che le guerre fanno sempre gli interessi delle classi dominanti e l’unica via per la pace è sospendere ogni atto di guerra e promuovere una risoluzione diplomatica e pacifica delle controversie, nel rispetto dell’autodeterminazione dei popoli – nello specifico, ci si è schierati per la neutralità dell’Ucraina. È stata espressa calorosa solidarietà al presidente dell’Anpi Pagliarulo che proprio in quei giorni subiva un feroce attacco per aver espresso queste stesse posizioni.
Gli slogan emersi sono stati dunque no alla Nato, no all’Ue, no all’esercito europeo. E no al governo Draghi, espressione diretta delle élite economico-finanziarie italiane ed europee, affermatosi proprio per difenderne gli interessi in un momento di crisi strutturale – e non congiunturale – del capitalismo.
Sono gli stessi slogan che noi portiamo avanti, e ciò fa sperare che le resistenze residue all’unità dei comunisti possano stemperarsi, utilizzando la prassi delle lotte come collante, per riconquistare un protagonismo di cui la classe degli sfruttati ha immenso bisogno.