Da un punto di vista oggettivo le elezioni sono, al contempo, secondo le celebri definizioni di Marx e di Engels, uno strumento per stabilire quale componente della classe dominante avrà per un certo numero di anni la direzione del paese e uno strumento essenziale, un termometro atto a misurare il livello della coscienza di classe. Dal primo punto di vista dunque, nello Stato inteso come sovrastruttura della dominante struttura del modo di produzione capitalistico, le elezioni servono a definire la forma che assume la dittatura della borghesia. In effetti, secondo la nota concezione marxista dello Stato, quest’ultimo rappresenta la forma del dominio a livello strutturale, economico sociale, della classe dominante e del suo blocco sociale sulle classi subalterne. Da tale punto di vista, quindi, la democrazia è effettuale solo all’interno della classe dominante e del suo blocco sociale, mentre nei riguardi delle classi subalterne rappresenta la forma di dominio del nemico di classe.
Perciò appare evidente che il risultato delle elezioni abbia un significato più formale che sostanziale dal punto di vista delle avanguardie delle classi sociali subalterne. Anzi il decrescente interesse delle classi subalterne nei confronti delle elezioni parlamentari può essere considerato, da un punto di vista marxista, come un segnale che la forma di dominio di classe della borghesia vive una crescente crisi e, dunque, vi sia una crescente crisi della capacità di egemonia della classe dirigente, che è naturalmente il modo di manifestarsi a livello sovrastrutturale della crisi di un determinato modo di produzione, i cui rapporti di produzione e di proprietà sono ormai in una contraddizione strutturale con l’esigenza dello sviluppo delle forze produttive, ossia dello sviluppo economico. Al punto che lo stesso Gramsci, dinanzi alla deriva totalitaria della dittatura della borghesia, durante il ventennio fascista, sosteneva che i comunisti non dovevano certo preoccuparsi della crisi della forma di dominio del nemico di classe, ma dovevano piuttosto sfruttare tale crisi per rivendicare con maggiore forza la necessità della transizione a una forma superiore di democrazia, quella sostanziale sovietica, ovvero consiliare.
D’altra parte, però, non è certo indifferente la possibilità che il suffragio universale fornisce ai subalterni dotati di coscienza di classe di poter contribuire a scegliere la fazione del blocco sociale dominante da cui sarà diretta nei prossimi anni. Non a caso non solo Marx ed Engels, ma lo stesso Lenin, ponevano come punto centrale del programma minimo, proprio di una fase in cui non sia all’ordine del giorno la questione della conquista del potere politico-sociale, il suffragio universale. Da questo punto di vista è importante che l’intellettuale collettivo, ossia la parte più consapevole, l’avanguardia delle classi subalterne fornisca delle indicazioni utili alla parte meno dotata di coscienza di classe dei subalterni per fare una scelta il più possibile consapevole. Dal momento che, in ogni caso, è sempre necessario, secondo la filosofia della prassi, non limitarsi a contemplare il corso del mondo a livello teoretico, ma impegnarsi nella sua trasformazione dal punto di vista pratico. In altri termini è sempre preferibile avere una funzione attiva contribuendo alla scelta di quale nemico affrontare per primo, in quanto gestore del potere politico, piuttosto che lasciare fare al nemico di classe assumendo la posizione passiva dell’anima bella. Perciò anche in una fase pre-rivoluzionaria, come quella che si era venuta a creare in Germania dopo la catastrofica sconfitta nella prima guerra (imperialistica) mondiale, la fuga del Kaiser, l’ammutinamento della marina, Lenin critica aspramente la campagna astensionista portata avanti dagli spartachisti.
Da questo punto di vista, in linea generale, Lenin sosteneva che fosse sempre preferibile l’affermazione della componente riformista della classe dominante, piuttosto che della componente conservatrice o reazionaria. In tal modo, infatti, per dirla questa volta con Gramsci, la socialdemocrazia avrebbe mostrato il suo vero volto, ossia di non essere la componente di destra delle classi subalterne, ma la componente di sinistra del blocco sociale dominante. In tal modo, tornando a Lenin, sarebbe più facile per la componente rivoluzionaria smascherare l’assoluta inefficacia della prospettiva riformista, che intende dare a credere che sia possibile un capitalismo dal volto umano, nel momento in cui a dirigerlo a livello politico, quindi sovrastrutturale, siano dei progressisti. Al contrario, restando all’opposizione rispetto alla manifestazione politica del potere costituito, i riformisti potrebbero con maggiore facilità mostrarsi come più credibile e realistica alternativa, nel momento di crisi della direzione della componente conservatrice o reazionaria della classe dominante.
Dal secondo punto di vista oggettivo, ossia delle elezioni come termometro dei rapporti di forza nel conflitto sociale, è possibile verificare nell’unico modo efficace, ossia a livello della prassi, l’efficacia dell’avanguardia, ossia dell’intellettuale collettivo nella sua funzione fondamentale di strumento indispensabile alla maturazione della coscienza di classe. In altri termini le elezioni sono un banco di prova significativo per un bilancio della capacità dimostrata dai comunisti di svolgere la propria missione storica, ovvero sviluppare la coscienza di classe in primo luogo dirigendo e radicalizzando i conflitti sociali in secondo luogo nella lotta per l’egemonia a livello delle sovrastrutture. Da questo punto di vista è assolutamente vano illudersi di poter mutare i rapporti di forza reali del conflitto di classe, assumendo in campagna elettorale posizioni populiste e opportuniste per conquistare un numero maggiore di consensi, facendo concessione al senso unico dominante, espressione dei ceti sociali dominanti.
Dal punto di vista soggettivo, ovvero della capacità della soggettività rivoluzionaria di intervenire e mutare il corso storico, i comunisti non possono lasciarsi sfuggire, a meno che non sia all’ordine del giorno la rivoluzione, la possibilità di sfruttare uno dei rari momenti in cui anche gli elementi più arretrati del proletariato avverte l’esigenza di interessarsi alla politica. È evidente che tale esigenza è indotta e finalizzata al mantenimento dell’egemonia della classe dominante borghese, che in tal modo consente di presentare il proprio potere come fondato sul consenso persino della maggioranza dei subalterni. A tale scopo però la classe dominante deve mascherare con il presunto pluralismo e la libera concorrenza fra le diverse forze politiche la propria dittatura di classe. È altrettanto evidente che, anche in questo caso, la libera concorrenza si è trasformata da tempo in monopolio degli strumenti di egemonia, oltre che degli apparati repressivi dello Stato, da parte della classe dominante che ha un controllo di tipo quasi totalitario dei grandi mezzi di comunicazione. D’altra parte non si può sperare di trasformare in senso rivoluzionario la realtà con il mero dover essere dell’anima bella, ma occorre sporcarsi le mani per intervenire nelle contraddizioni del corso del mondo. Da questo punto di vista le elezioni offrono per quanto in modo più apparente che sostanziale, la possibilità per i comunisti di sviluppare un’azione di agitazione e propaganda per far conoscere la propria prospettiva, l’unica in grado di risolvere in modo progressivo la crisi strutturale del modo di produzione a oggi ancora dominante.
In tale ottica i comunisti devono essere in grado, sulla base degli insegnamenti di Lenin, di saper sfruttare il diritto di tribuna che la classe dominante è costretta a concedere per meglio nascondere la propria dittatura di classe. Dunque la partecipazione alle elezioni per le istituzioni borghesi e la possibile, anche se attualmente in Italia piuttosto improbabile, possibilità di conquistarsi qualche posto in tali istituzioni deve essere funzionale, in primo luogo, a demistificarle, mostrando che la democrazia è sempre e solo reale solo all’interno del blocco sociale dominante. Perciò le sue istituzioni, a partire dal parlamentarismo, devono essere smascherate nella loro funzione di strumenti al servizio della dittatura della borghesia. Ciò consente allo stesso tempo di far emergere la forma superiore di democrazia rappresentata dalla dittatura democratica del proletariato con le sue istituzioni consiliari. Nello Stato socialista, infatti, a dominare e a rendere effettuale la democrazia sarà la totalità dei lavoratori, ossia la stragrande maggioranza della società, mentre la dittatura sarà esercitata esclusivamente nei confronti della minoranza che pretenderà di restaurare il proprio potere economico e sociale fondato sullo sfruttamento dell’altrui forza-lavoro.
Tanto più che tale dittatura avrà carattere non solo transitorio, ma funzionale a eliminare con le classi sociali e la progressiva estinzione dello Stato, quale strumento del dominio di classe, ogni forma di dittatura e di dominio. Senza contare che la democrazia consiliare, nel momento in cui si potrà effettivamente realizzare, non in singoli paesi mantenuti in uno stadio di costante assedio da parte delle forze controrivoluzionarie dell’imperialismo, è una forma di democrazia decisamente più sostanziale di quella formale della borghesia. Essa non garantirà, infatti, la sola eguaglianza formale, giuridico-politica, ma una eguaglianza reale a livello delle strutture economiche e sociali oltre che culturali. Inoltre non si tratterà più di una parvenza di democrazia fondata sul principio liberale della delega del potere a una casta di professionisti della politica, generalmente al servizio della classe dominante, ma di una democrazia il più possibile diretta, assembleare, fondata appunto sui consigli da sviluppare in ogni posto di lavoro. Senza contare che le cariche politiche non dovranno più consentire tutta una serie di privilegi come nel sistema borghese, fondato per altro sulla sistematica corruzione da parte dei potentati economici, e dovranno essere in ogni momento revocabili, svolgendo unicamente la funzione di meri esecutori della sovranità popolare.
In tal modo la democrazia potrà tornare a corrispondere al proprio concetto di potere (crazia) delle masse popolari (demos), ovvero dei subalterni che eserciteranno il proprio potere nella lotta contro gli oligarchi, al contrario della democrazia borghese che non è altro che una forma più o meno mascherata di oligarchia.
Infine, per quanto riguarda la questione, tanto dibattuta, delle possibili alleanze, occorre considerarla in un’ottica di classe e comunque funzionale alla costruzione di un blocco sociale alternativo, incentrato sul proletariato moderno, in grado di conquistare il potere politico, ovvero lo Stato. In tale prospettiva decisiva diviene per risolvere in un senso o nell’altro il conflitto fondamentale fra capitalisti e lavoratori salariati la capacità di egemonizzare i ceti intermedi. Dunque, la possibilità di costruire un’alleanza elettorale deve essere funzionale al rafforzamento di un blocco sociale alternativo a quello dominante, all’interno del quale è decisivo comprendere chi ha l’egemonia, ossia gli esponenti democratici della piccola-borghesia o i rappresentanti comunisti del proletariato. Nel caso in cui la lotta per l’egemonia non sia sostanzialmente risolta in partenza, diviene indispensabile – nel caso fosse un passaggio utile e necessario ad avvicinarsi all’obiettivo finale, la conquista del potere – che i comunisti abbiano e sfruttino la possibilità di denunciare nel corso della campagna elettorale in proprio stessi alleati opportunisti e social-democratici piccolo-borghesi, secondo l’insegnamento di Lenin.
In altri termini, sempre in riferimento a Lenin, si può concludere ricordando che ogni mezzo necessario per praticare il proprio scopo finale, la conquista del potere, è legittimo, quindi in astratto qualunque alleanza necessaria a conseguire tale scopo è possibile. Resta la questione della necessità dei comunisti di essere sempre all’opposizione nei confronti delle forze politiche che dirigono uno Stato capitalista, dal momento che è proprio tale dominio che si intende rovesciare. Tale esigenza è tanto più valida se si tratta di una forza politica che dirige uno Stato capitalistico giunto alla sua fase imperialistica.