Acquà nisciuno è fesso

Il Disegno di legge del governo sul mercato e la concorrenza spalanca le porte per privatizzare quel poco dei servizi locali che ancora è rimasto in mano pubblica. Occorre costruire un vasto movimento per il ritiro del disegno.


Acquà nisciuno è fesso

Gli sviluppi di questa gravissima crisi mondiale del capitalismo hanno dimostrato l’estrema fragilità delle economie che hanno adottato i modelli più ossequiosi delle teorie neoliberiste. I paesi capitalisti occidentali sono cresciuti più lentamente, o non sono cresciuti affatto, mentre sono state enormemente superiori le performance dei paesi socialisti e anche quelle di paesi capitalisti che hanno attuato strumenti di maggior controllo e programmazione pubblica dell’economia. Anche i diversi esiti delle politiche di contrasto alla pandemia hanno dimostrato la superiorità dei sistemi sanitari a forte carattere pubblico. Ma per l’Unione europea (Ue) il mercato e la concorrenza sono un idolo da adorare al di sopra di tutto il resto. L’unica spiegazione plausibile è che, se quelle politiche sono funeste per i popoli europei, sono buona cosa per i profitti. E infatti, a fronte di una caduta del tenore di vita dei lavoratori e all’ingente aumento della povertà, i profitti delle grandi imprese sono fatti salvi dalla crisi.

Per adeguarsi a questa impostazione dell’Ue, gli Stati membri legiferano periodicamente nel senso di smantellare le proprietà e le gestioni pubbliche e di favorire la pervasività del capitale.

Il premier Draghi, entrato in carica come salvatore della Patria a seguito di una sorta di complotto politico, si è dimostrato particolarmente sensibile alle pretese padronali in tema di lavoro e politiche sociali e non poteva smentirsi in tema di privatizzazioni, liberalizzazioni e tutela del mercato e della concorrenza. Così, giovedì della scorsa settimana, il Consiglio dei ministri ha approvato un suo Disegno di legge di adeguamento (ma si vedrà che c’è un eccesso di zelo) alle direttive europee. Sul piano del metodo si tratta di un ulteriore schiaffo al parlamento: il governo gli sottopone un suo disegno di legge che delega a sé stesso governo di provvedere in merito con indicazioni a maglie extra-large, ma che comunque lasciano presagire una nuova ventata di privatizzazioni.

Fin dall’articolo 1 è dichiarato lo scopo: “rimuovere gli ostacoli regolatori, di carattere normativo e amministrativo, all’apertura dei mercati”. Quindi la messe di privatizzazioni che hanno falcidiato le gestioni pubbliche dei servizi essenziali non basta più, perché ci sono regole che ancora impediscono una privatizzazione totale. E queste vanno spazzate via perché alla brama del capitale di appropriarsi di ogni cosa che sia vendibile con profitto non possono essere posti limiti. E va fatto fregandosene dell’esito di un referendum popolare stravinto in favore delle gestioni pubbliche dei servizi essenziali.

Dopo alcuni articoli che impongono la concessione a privati delle aree demaniali portuali e di grandi derivazioni idroelettriche, si passa ai servizi pubblici locali.

La delega al governo è perché eserciti “la potestà legislativa esclusiva dello Stato”, prevista dalla Costituzione (articolo 117) in materia di funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane. L’indicazione di massima è quella di espropriare quanto più possibile tali funzioni locali sull’altare del profitto. Si impone per esempio la separazione fra regolamentazione e gestione dei servizi, si detteranno criteri per la loro organizzazione territoriale ottimale, incentivandone l’aggregazione.

La facoltà degli enti locali di decidere le modalità di gestione dei loro servizi viene travalicata. Quelli che decideranno, in situazioni particolari, di continuare a gestire direttamente il servizio, dovranno passare per le forche caudine di una “motivazione anticipata e qualificata, da parte dell’ente locale […] che dia conto delle ragioni che, sul piano economico e della qualità, degli investimenti e dei costi dei servizi per gli utenti, giustificano il mancato ricorso al mercato” da trasmettere tempestivamente all’Autorità garante della concorrenza e del mercato. Dovranno inoltre prevedere “sistemi di monitoraggio dei costi ai fini del mantenimento degli equilibri di finanza pubblica e della tutela della concorrenza” e periodicamente giustificare il mantenimento della gestione pubblica.

Si dirà che un simile controllo di efficienza/efficacia è cosa positiva. Però ci sono due pesi e due misure, perché tale obbligo non sussiste nel caso della gestione affidata a privati. Se questo secondo tipo di controllo non è considerato necessario, significa che si presuppone – a prescindere, avrebbe detto Totò – la razionalità e l’efficacia del mercato, cosa abbastanza smentita dai fatti in materia di autostrade, aeroporti, ferrovie, rifiuti, acqua, infrastrutture di rete ecc., su cui è dovuta intervenire anche la Corte dei Conti.

Un’altra delega senza particolari vincoli riguarda la “revisione delle discipline settoriali in materia di servizi pubblici locali, con particolare riferimento al settore dei rifiuti e alla gestione del servizio idrico, al fine di assicurarne l’armonizzazione e il coordinamento”. Conoscendo i nostri polli c’è da aspettarci che verranno stesi tappeti di velluto per l’ingresso di grandi imprese, anche multinazionali, per la gestione complessiva dei servizi pubblici locali.

Viene messa sul piatto anche la modifica dei regimi della residua proprietà pubblica di reti e impianti “al fine di assicurare un’adeguata valorizzazione della proprietà pubblica, nonché un’adeguata tutela del gestore uscente”. Cosa significa? La puzza di nuove concessioni a privati di beni pubblici si sente da lontano.

La pillola viene indorata attraverso la “razionalizzazione della disciplina concernente le modalità di partecipazione degli utenti nella fase di definizione della qualità, degli obiettivi e dei costi del servizio pubblico locale e rafforzamento degli strumenti di tutela degli utenti, anche attraverso meccanismi non giurisdizionali”. Ma in cosa consista questa razionalizzazione non è dato di sapere e, come in quasi tutti gli altri casi, occorre attendere, senza farci troppe illusioni, i decreti delegati.

Anche per quanto riguarda i trasporti pubblici è d’obbligo la gara di affidamento delle gestioni. In caso contrario interviene il potere sostitutivo del governo.

Per le imprese che producono rifiuti è previsto uno sconto della relativa tariffa se, anziché rivolgersi al sistema di smaltimento pubblico, provvederanno autonomamente. Godranno di questo sconto anche quelle imprese che hanno provveduto autonomamente a smaltire i rifiuti pericolosi rivolgendosi a cosche mafiose, come è avvenuto, per esempio, nel Valdarno inferiore con i fanghi conciari?

C’è poi l’articolo 23 che prevede la “revisione dei procedimenti amministrativi in funzione pro-concorrenziale”, che è facile prevedere si risolverà in ulteriori deregolamentazioni, nell’estensione delle attività non soggette ad autorizzazione e nell’eliminazione di tutte le regolamentazioni “che superino i minimi richiesti dall’Ue”. Cioè ci attestiamo, senza che l’Ue ce lo chiedesse, a questi minimi.

Anche in materia di controlli alle imprese si allentano i criteri e si prevede una sibillina “promozione della collaborazione tra le amministrazioni e i soggetti controllati” che, alla luce delle recenti dichiarazioni di Draghi – commentate da Federico Giusti in questo stesso numero – sulla cessazione delle ispezioni a sorpresa, proprio nell’anno del record di morti sul lavoro, è piuttosto inquietante.

Esistono studi secondo cui non è vero che il privato è più efficiente del pubblico. Al netto di casi clamorosi di inefficienza, e a parità di trattamento dei lavoratori e di qualità dei servizi, la gestione pubblica costa meno, perché risparmia sui costi di intermediazione fra ente pubblico e privato (bandi di gara, pratiche antimafia, contratti, controlli, pagamenti) e sull’utile d’impresa, senza contare i rischi di corruzione o di infiltrazioni mafiose. Quando c’è il risparmio è sulla pelle dei lavoratori o sulla qualità del servizio. In particolare, nel caso dei monopoli naturali, la gestione privata comporta rischi di aumenti tariffari e di forti rendite monopolistiche.

Contro questo Ddl sono già insorti Attac e il Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua.

Attac, tra l’altro, riporta le parole del sindaco di Napoli – “la zavorra dei vincoli e del debito ci impedisce qualunque movimento. Non avere alcuna agibilità sul bilancio significa impattare enormemente sulla qualità di vita dei cittadini. È impossibile governare la città se non possiamo mettere risorse” – commentandole così: “la risposta del governo Draghi è che non vi è alcun bisogno di governare i comuni e le città: basta mettere tutto sul mercato”.

Il Forum Italiano dei Movimenti per l'Acqua è intervenuto nel proprio sito il 9 novembre scorso, denunciando la “evidente ideologia neoliberista in cui la supremazia del mercato diviene dogma inconfutabile, nonostante la realtà dei fatti dimostri il fallimento della gestione privatistica, soprattutto nel servizio idrico: aumento delle tariffe, investimenti insufficienti, aumento delle perdite delle reti, aumento dei consumi e dei prelievi, carenza di depurazione, diminuzione dell’occupazione, diminuzione della qualità del servizio, mancanza di democrazia”.

Rileva, inoltre, che la previsione di incentivi per favorire le aggregazioni rende palese che “il modello prescelto è quello delle grandi società multiservizi quotate in Borsa che diventeranno i soggetti monopolisti (alla faccia della concorrenza!) praticamente a tempo indefinito. Tutto ciò in perfetta continuità con quanto previsto dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza”.

Anche la sovranità dei comuni, secondo il Forum, va a farsi friggere: “i Comuni da presidi di democrazia di prossimità ridotti a meri esecutori della spoliazione della ricchezza sociale. È il punto di demarcazione tra due diverse culture, quella che considera un dovere il rispetto e la garanzia dei diritti fondamentali e quella che trasforma ogni cosa, anche le persone, in strumenti economici e merci”.

Pertanto l’associazione preannuncia una mobilitazione “a partire dalla manifestazione nazionale in programma il 20 novembre a Napoli”.

Il collettivo La Città Futura concorda con la necessità di questa mobilitazione e mette i suoi modesti strumenti a disposizione di questa lotta.

13/11/2021 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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