La caduta di Assad è stata determinata sul campo di battaglia da una convergenza di diverse milizie, con un ruolo di primo piano rivestito dai qaidisti di Hayat Tahrir al-Sham (Organizzazione per la liberazione del Levante, Hts), sostenute da sponsor occidentali (Usa, Turchia, Israele, Ucraina, Francia, Regno Unito). Sono state delineate delle analogie fra la rapidità del crollo del governo di Assad e la caduta dell’Afghanistan nelle mani dei talebani nell’agosto 2021, la differenza rilevante però è che nel caso afgano c’era un’unica forza, i talebani, che ha costretto alla ritirata la Nato ed è riuscita a mantenere, pur in mezzo a mille difficoltà, una sostanziale unità del paese, nel caso siriano siamo di fronte a formazioni diverse (oltre una trentina di sigle che si sono spesso combattute fra di loro con scontri sia fra le diverse formazioni jihadiste che fra curdi e proxy turchi come il cosiddetto Esercito nazionale siriano, Sna) tenute assieme da un solo obiettivo comune che era quello dell’abbattimento della Repubblica araba siriana, ma le differenze di interessi, e i progetti divergenti dei sostenitori stranieri, potrebbero portare a una dissoluzione del paese. Più che con l’Afghanistan l’analogia più corretta potrebbe essere con la Libia del post Gheddafi.
Proviamo ad avanzare alcune ipotesi sul futuro della Siria, difficile da decifrare, che andranno verificate su un campo di battaglia i cui esiti verranno dai rapporti di forza fra le varie potenze interpreti del grande scontro interimperialistico in atto.
Siamo di fronte a un’importante vittoria di quello che si può definire il fronte liberal-neocon con appendice sionista, per tramite della manovalanza jihadista (la riuscita insomma di quanto tentato precedentemente, ma in modo fallimentare, con l’Isis), che sta cercando di appiccare il fuoco ovunque sia possibile (dall’autorizzazione a usare i missili a lungo raggio contro la Russia al colpo di stato in Corea del sud, ai tentativi di riordino del Medioriente) per rendere irreversibile la situazione di caos e conflitto prima che Trump salga al potere onde vanificarne a priori le possibilità di pacificazione (che anche ammesso siano sincere diventano sempre più difficili da realizzare) sostenute dal neopresidente e che vanno contro gli interessi del complesso militare-industriale. Appena rovesciato Assad un nuovo attacco con gli Atacms ha colpito il territorio russo a riprova di come dalla Siria all’Ucraina si tratti di diversi scenari di un unico conflitto globale e connesso.
Israele elimina la connessione via Siria fra Iran e Hizbalah con maggiori possibilità di tornare a colpire il Libano e riprenderne l’invasione; può contare sul fatto che le vicende siriane hanno distolto l’attenzione dal genocidio a Gaza che continua implacabile e dall’annessione della Cisgiordania; ha occupato altro territorio siriano (in particolare il monte Hermon, la montagna più alta della Siria, vicino al confine col Libano e a 40 chilometri da Damasco che può ora essere colpita dall’artiglieria israeliana e che costituisce un punto di osservazione anche per i territori libanesi roccaforti di Hizballah come la valle della Bekaa) [1] e si ritrova sul confine le formazioni jihadiste con le quali ha sempre intrattenuto ottimi rapporti, in particolare con i qaidisti di Jabhat al-Nusra li-ahl al-Sham (Fronte della vittoria del popolo del Levante), la denominazione precedente prima del rebranding in Hts, ai quali nel corso del lungo conflitto siriano ha garantito forniture di cibo, carburante, armi, medicinali e denaro [2]; lo stesso capo di stato maggiore Gadi Eiseknot (2015-2019) ha ammesso che Israele ha armato regolarmente i jihadisti [3]. Ricordiamo le dichiarazioni del ministro della difesa israeliano Moshe Ya’alon (2013-2016): “In Siria se la scelta è fra l’Iran e lo Stato islamico, io scelgo lo Stato islamico” [4]. Del resto le recenti dichiarazioni di Abu Abdo, comandante delle forze jihadiste ad Aleppo, che sottolineava come insieme a Israele stessero combattendo un comune nemico (Assad, Hizballah, Iran) e come si aspettasse collaborazione da Tel Aviv [5], o quelle di Abu Muhamad al-Julani, capo di Hts, che faceva profferte di pace a Israele e lo esortava a sostenere la rivolta e a colpire l’Iran [6], non lasciano molti dubbi. A questo punto Israele inizierà a pensare a come regolare i conti con Teheran, ma per fare guerra all’Iran ci vuole il beneplacito Usa e non siamo convinti che Trump sia d’accordo, ma bisognerà capire bene che ruolo potranno svolgere i liberal-neocon nella nuova amministrazione.
Un altro vincitore parrebbe essere la Turchia che punta a ritagliarsi una “fascia di sicurezza” di una trentina di chilometri sul confine nord-occidentale della Siria in funzione anticurda, vuole costruire un gasdotto dal Qatar attraverso la Siria verso l'Europa, ha di fatto messo le mani su Aleppo (la capitale industriale della Siria già abbondantemente saccheggiata dai turchi ai tempi della prima occupazione jihadista e tuttora oggetto delle brame del capitale turco) e già da tempo per via indiretta gestiva il governatorato di Idlib, con la speranza di poter riversare in Siria parte dei rifugiati. Ma alcuni elementi rischiano di rendere meno netta l’affermazione turca perché le potenziali connessioni curdo-israeliane, Tel Aviv ha sempre sponsorizzato la realizzazione di uno stato (vassallo) curdo in funzione antiaraba, trovano sostegno anche in una parte dell’amministrazione statunitense (i liberal-neocon), con le curde Quwwat Suriya al-Dimuqratiya (Forze democratiche siriane, Fds) che si stanno già scontrando con l’Sna filoturco, ma prima ancora hanno partecipato all’attacco alla Repubblica araba siriana varcando l’Eufrate per occupare punti strategici come Deir el-Zor e al-Bakumal spezzando il ponte terrestre fra Iran e Siria attraverso il quale Teheran ha inviato armamenti a Hizballah [7]. I progetti neottomani di Erdogan vanno a scontrarsi con la realizzazione del Grande Israele sionista. Gli usa molto probabilmente puntano a realizzare un collegamento fra i territori della Siria orientale (ricchi di risorse agricole e di petrolio indispensabile per una rinascita del paese) da loro occupati con gli ascari curdi delle Fds e la parte sud-occidentale della Siria nella quale si sta espandendo Israele. Ankara era favorevole a utilizzare i jihadisti per conquistare Aleppo, ma probabilmente non puntava a una dissoluzione dello stato siriano che si sta invece realizzando secondo i progetti israeliano-statunitensi che puntano a balcanizzare il paese. Inoltre visto che i curdi controllano, in conto Usa, i territori più ricchi della Siria chiunque punti a governare (jihadisti compresi) dovrà trovare un accordo con le Fds, magari con la concessione di forme di forte autonomia federale per i curdi temute dalla Turchia e con gli Usa che potrebbero negoziare un accordo Hts-Fds con appoggio di Israele. Gli Usa per ottenere un successo duraturo devono dunque riuscire a coordinare jihadisti, curdi e israeliani.
Mosca e Teheran escono sconfitte, per quanto in modo diverso. La Russia, dopo aver evitato di farsi coinvolgere in un’ulteriore campagna militare con rischio di “sovraestensione” dei suoi fronti punta a mantenere le sue due basi militari (navale a Tartus e aerea a Hmeymim) strategiche per la proiezione nel Mediterraneo e in Africa e per fare questo è disposta a trovare accordi con i nuovi padroni della Siria, bisognerà vedere come ciò sarà possibile (del resto i sistemi di difesa missilistici russi possono essere utili a chiunque e le basi non sono state attaccate dai jihadisti, né c’è stato il bisogno di evacuarle, segno di contatti già avviati fra Mosca e le bande ribelli) dato che gli Usa punteranno a sloggiare le basi russe facendo le debite pressioni sui nuovi governanti, in tal caso per i russi sarà necessario riposizionarsi nel Mediterraneo con delle basi in Nordafrica (Algeria e/o Libia più facilmente).
La peggiore sconfitta è dell’Iran dato che la Siria costituiva un elemento indispensabile per la proiezione nel Mediterraneo e corridoio strategico dell’Asse della resistenza, oltre che prezioso cuscinetto difensivo (da questo punto di vista ora restano soltanto le milizie sciite irachene), col rischio di vedere fortemente indebolita la geniale costruzione del generale Soleimani. Ci sarebbe anche da interrogarsi sugli scontri interni alla classe (borghese) dominante iraniana e chiedersi se la volontà del governo “riformista” desideroso di riprendere le vantaggiose relazioni economiche con l’Occidente non abbia chiesto il sacrificio di alcuni alleati (Hizballah è convinto che sia colpa degli iraniani se i sionisti hanno eliminato i suoi capi con troppa facilità), per retrocedere da un conflitto considerato troppo oneroso, ma queste per ora rimango ipotesi sulle quali sarebbe comunque opportuno approfondire l’indagine. Se così fosse si tratterebbe di un progetto molto pericoloso perché indebolisce l’Iran e lo rende più vulnerabile. A ben guardare dopo la caduta della Siria Teheran farebbe meglio ad accelerare i tempi per dotarsi di armamento atomico. Al di là comunque delle ipotesi tutte da verificare resta il fatto che la proiezione egemonica iraniana ha subito un duro colpo e si possono avanzare previsioni di nuovi tentativi di “rivoluzione colorata” che potrebbero svilupparsi a breve contando sull’indebolimento conseguente alla caduta di Damasco.
Anche la Cina ha subito un danno perché vede colpita una potenziale linea di transito della Bri e un’importante alleato come l’Iran e assiste a una significativa vittoria dei suoi avversari nella contesa per il controllo del Medioriente.
Assistiamo quindi, perlomeno nell’immediato, bisognerà poi vedere che succederà alla distanza, a un’importante successo della componente liberal-neocon-sionista che ha saputo almeno in parte compensare la sconfitta patita in Ucraina. Il conflitto in Ucraina e quello in Asia occidentale sono aspetti di un unico conflitto interimperialistico fra Usa e alleati da un lato e il fronte russo-cinese-iraniano dall’altro. Secondo Pepe Escobar il progetto di capovolgere l’Asia occidentale mettendola a ferro e fuoco potrebbe trasformarsi nella prima guerra capace di coinvolgere i Brics [8].
Note:
[1] Cfr. Alex MacDonald, “Mount Hermon: Why Control of Syria's Highest Peak Matters”, Middle East Eye, 10 dicembre 2024.
[2] Cfr. Marco Santopadre, “Israele bombarda la Siria. L’Onu: ‘Tel Aviv sostiene gli islamisti’”, Contropiano, 8 dicembre 2014; Rory Jones ‒ Noam Raydan ‒ Suha Ma’ayeh, “Israel Gives Secret Aid to Syrian Rebels”, The Wall Street Journal, 18 giugno 2017; Stefano Mauro, “Onu: Israele sostiene i gruppi jihadisti in Siria”, Contropiano, 22 giugno 2017; Sharmine Narwani, “Are al-Qaeda Affiliates Fighting Alongside U.S. Rebels in Syria’s South?”, The American Conservative, 25 giugno 2018.
[3] Cfr. Anshel Pfeffer, “Smash the Bases, Spare the Men – Israel’s Invisible War in Syria”, The Sunday Times, 13 gennaio 2019.
[4] Cit. in Judah Ari Gross, “Ya’alon: I would Prefer Islamic State to Iran in Syria”, The Times of Israel, 19 gennaio 2016.
[5] Cfr. “Il comandante dei ribelli al giornalista israeliano: ‘Stiamo combattendo contro un nemico comune’” (originale in ebraico) Canale 7, 5 dicembre 2024.
[6] Cfr. Gianluca Pacchiani, “Syrian Rebel Commander Urges Israel to Support Uprising, Strike Iran-Backed Forces”, The Times of Israel, 6 dicembre 2024.
[7] Cfr. Sean Mathews, “US Smells Russian and Iranian Blood in Syria, But Rebel Offensive Challenges Kurdish Ally”, Middle East Eye, 6 dicembre 2024.
[8] Cfr. Pepe Escobar, “The Syria Riddle: How It May Turn into the First BRICS War”, Strategic Culture Foundation, 4 dicembre 2024.