Jalalla! Visto che per una volta ci tocca commentare una vittoria e non una sconfitta, è meglio impiegare la parola che gli Aymara della bellissima Bolivia utilizzano per sottolineare un trionfo: dunque Jalalla a Luis Arce e David Choquehuanca, nuovi presidente e vicepresidente, candidati dal Mas; Jalalla ai popoli della Bolivia che hanno sconfitto in una competizione elettorale democratica la destra golpista che lo scorso anno aveva cacciato con la violenza e l’appoggio dell’imperialismo Usa il legittimo presidente Evo Morales.
Spicca il silenzio assordante dei mass media occidentali pronti a tessere le lodi di chiunque vinca le elezioni con una sola condizione: che questo chiunque ovviamente risponda ai canoni del “Washington consensus” e in subordine almeno a quelli di Bruxelles. Tuttavia, i dati parlano chiaro e hanno un tono di voce molto alto: il candidato del Movimiento al Socialismo si aggiudica secondo gli ultimi dati in nostro possesso (questo articolo viene scritto nel pomeriggio del 21 ottobre) il 54,01% dei voti, il rappresentante di Comunidad Ciudadana, Carlos Mesa raggiunge il 29,52%, mentre il leader della destra estrema di Creemos, Luis Fernando Camacho si attesta il 14,37%.
Cosa ci dice la vittoria del Socialismo del XXI secolo in Bolivia?
È decisamente troppo presto per carpire tutti gli insegnamenti che ci vengono dalle elezioni boliviane e dalla non inaspettata (dati i sondaggi elettorali) vittoria del “Socialismo del XXI secolo”. Tuttavia, alcune cose vanno dette anche ora sotto l’incalzare del martello dell’attualità.
Innanzitutto, un dubbio: che quella che fu definita la resa di Evo quasi 12 mesi fa, il suo non reagire militarmente contro i golpisti, sia stata invece una prova di grande lungimiranza?
Di sicuro, i dati elettorali sembrerebbero essere dalla sua parte, ma è anche vero che spesso si finisce per imboccare la strada giusta per le ragioni sbagliate: si tratta ora di capire se il Mas è stato in grado di assorbire le contraddizioni che hanno indebolito il suo governo prima del golpe e se il nuovo presidente Lucho Arce sarà in grado di indicare la parabola di un nuovo impegno nazionale alla società boliviana, spostando i rapporti di forza in favore dei popoli originari, dei lavoratori e degli sfruttati tutti.
Ha giocato in favore del Mas forse anche la difficoltà di Trump ad attuare una politica di aggressivo condizionamento delle elezioni boliviane durante la campagna elettorale per le presidenziali statunitensi e nel mezzo della catastrofica gestione dell’epidemia di Coronavirus.
L’altra evidenza che emerge è che per l’ennesima volta la destra in America Latina non ha la forza di rimanere al governo, il suo progetto politico parla necessariamente a una minoranza; le sue politiche neoliberiste sono incompatibili con l’esistenza fisica delle classi popolari e persino dei ceti medi.
Si può ribattere che questo non è accaduto in Colombia e nemmeno in Guatemala, ma si tratta di paesi che vivono in situazioni di crisi sociale permanente, in bilico sull’abisso della disgregazione nazionale e che tengono insieme i cocci solo grazie all’impiego della forza militare, convenzionale e non, e per l'appoggio economico e logistico degli Stati Uniti.
Laddove Washington non ha le risorse per tenere in piedi questi regimi perché le nazioni che governano sono troppo grandi oppure perché escono da esperienze politiche progressiste, la destra liberista o anche estrema con agganci con l’integralismo protestante si sfarina. La parabola di Mauricio Macri in Argentina è eloquente. L’unica vera eccezione nel subcontinente latinoamericano è per ora il Brasile di Bolsonaro (https://www.lacittafutura.it/esteri/bolsonaro-aumenta-i-consensi-in-piena-pandemia), ma forse la chiave di questa peculiarità sta nella dimensione del paese che consente a quel governo comunque una politica redistributiva, sebbene del tutto distorta.
Il pericolo del secessionismo in Bolivia
Mentre scriviamo giunge la notizia che l’estrema destra integralista di Creemos contesta la validità del processo elettorale democratico in Bolivia che ha condotto alla vittoria di Arce e della sinistra.
L’evento è da ricollegarsi al rifiuto del capo dell’estrema destra Camacho di appoggiare il leader della destra “moderata” Mesa. Il progetto politico di Creemos è nato come secessionista, legato ai “pruriti” indipendentisti della regione boliviana del sud-est con capitale Santa Cruz: si tratta della parte più ricca del paese, il centro agro-industriale più legato al Brasile e all’Argentina che alla Bolivia andina, indigenista e socialista.
Intendiamoci: anche unita la destra in Bolivia sarebbe rimasta minoritaria come mostrano i dati elettorali. Di qui forse le ragioni della scelta politica di Camacho di non giocare davvero la partita elettorale, ma di tentare ora quella del discredito e in futuro, forse, quella della rottura dell’unità nazionale della Bolivia: un tentativo già esperito in qualche modo con lo pseudo referendum autonomista del maggio del 2008. Non è da escludere che a Washington abbiano deciso per ora di mandarlo avanti per lasciarsi le mani libere in un prossimo futuro per non accettare la vittoria di Arce o per proteggere a livello internazionale la causa del separatismo.
Occhi aperti quindi perché con la vittoria del Mas di domenica 18 ottobre si è vinto una importantissima battaglia, ma non la guerra. Per intanto appoggio al nuovo presidente socialista della Bolivia, un duro lavoro lo aspetta, rendiamoglielo più agevole con una grande solidarietà internazionalista: EL PUEBLO UNIDO JAMAS SERA VENCIDO!!!