Se vi avessero chiesto in quale elezione tedesca i socialdemocratici persero il 5% delle preferenze, i conservatori piú dell’8% e un partito di estrema destra, che alla precedente consultazione si era fermato a un risultato modesto, riuscì a ottenere 90 deputati in piú, la vostra risposta sarebbe dovuta essere Settembre 1930, quella dove il partito nazista aveva ottenuto la sua prima reale affermazione alle urne. Sarebbe dovuta essere. Non é piú così. Adesso avete una alternativa: le elezioni del 24 Settembre 2017. Come allora l’SPD perde consensi, il partito conservatore, come l’allora DVNP, vede calare di circa sette punti i suoi suffragi, e come allora anche i tedeschi hanno una alternativa. Una Alternativa di estrema destra. Alternative für Deutschland (AFD) ha superato la barriera del 10%, una entrata fragorosa nel Bundestag federale, ancor di piú dopo un 2017 passato in flessione di consensi, almeno stando ai sondaggi, e ancor di piú dopo che il banco é stato fatto saltare e il partito ha aderito pienamente al suo ruolo di forza fascista e reazionaria con cui veniva da tempo designato. Il quotidiano Die Zeit non usa mezzi termini per descrivere la situazione: “La fine della Repubblica Federale”.
Ma andiamo con ordine. La Cancelliera Eterna, seguendo la parabola discendente del suo ex-mentore recentemente scomparso Helmuth Kohl, vede drasticamente calare i propri consensi a livello nazionale, con particolari flessioni nel Länder orientali – non a caso, come vedremo a breve. Il risultato è del 33%, il peggior risultato della Union – il termine che indica la CDU e la CSU Bavarese - dai tempi del 1949, cioè dalla prima elezione della allora Germania Ovest. Angela Merkel paga una gestione della crisi dei rifugiati non in linea con molte anime all'interno del suo stesso partito, ma la flessione è inerente anche a quella che è stata chiamata negli ultimi anni la Socialdemocratizzazione della CDU. Come recita il quotidiano conservatore Die Welt, la cancelliera, assieme al suo partito, si è allontanata dall'economia – ovvero dalla particolare conduzione dell'economia locale tedesca guidata dalle unioni degli industriali tedeschi (BDA e BDI, tra i cui leader passati ricordiamo Hanns Martin Schleyer, membro in gioventù delle SS, assassinato dalla Rote Armee Fraktion nel '76) che faceva perno sul supporto della CDU stessa per fare il bello e il cattivo tempo. La coabitazione governativa con i socialdemocratici ha avuto, secondo l'opinione pubblica alemanna l'effetto di far convergere entrambi i partiti verso il centro e verso una comune guida dell'Unione Europea, che ha sì mantenuto il dominio tedesco sull'Eurozona – attraverso personaggi che non sfigurerebbero come cattivi in un film di James Bond, come il mai dimenticato Ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble – ma ha alienato diverse fasce dell'elettorato di riferimento sia nella CDU che nella SPD.
La stessa SPD consegue invece il peggior risultato della sua storia federale del dopoguerra. Il 20,5% è una debacle di proporzioni inaudite; a nulla è valsa a inizio anno la miracolosa risalita della SPD nei sondaggi nazionali dopo la candidatura dell'ex-presidente del Parlamento Europeo – e attore mancato - Martin Schulz al posto del leader del partito e Ministro degli Esteri Sigmar Gabriel. Dopo un breve entusiasmo dovuto alla popolarità propria delle istituzioni europee nel bacino elettorale Socialdemocratico, le brutali sconfitte delle elezioni regionali a maggio in Schleswig-Holstein e soprattutto nel feudo dell'SPD del Renania Settentrionale-Westfalia – dove l'SPD vide una flessione del 8% nel mese precedente alle elezioni – avevano lasciato presagire un risultato modesto per la formazione politica socialdemocratica. Il 20,5% tuttavia è addirittura inferiore alle aspettative e riflette una totale mancanza di efficacia nella condotta governativa dell'SPD, ridotta a cane da guardia della Merkel nel nome di una unità nazionale a maschera dell'attuale dominio teutonico dell'Eurozona. Questo risultato però cambia almeno una delle carte in tavola: Schulz ha dichiarato che non è disposto a formare un ulteriore – sarebbe stato il terzo in quattro tornate elettorali – cartello governativo con la CDU. Niente più GroKo, Große Koalition. Rimarrà a capo del partito, ma prenderà il ruolo di capo anche dell'opposizione, un ruolo che negli ultimi 20 anni l'SPD ha rivestito solamente una volta, nel 2009, interregno liberal-conservatore tra i governi CDU-SPD che hanno caratterizzato la linea federale dopo le dimissioni di Gerhard Schoeder. Il motivo di questa scelta non è, ovviamente, solo una ritrovata opposizione al prossimo governo Merkel, verso il quale piuttosto ci si aspettava ancora una volta il supporto dell'SPD. La scelta è fondamentalmente connessa a quel fragoroso ingresso nel parlamento dell'estrema destra, al fine di non lasciarvi il ruolo di Oppositionsführer, che tradizionalmente viene ricoperto dal primo candidato (Spitzenkandidat) della maggior forza non governativa presente nel Bundestag. Ovviamente un tale risultato e una tale scelta non sono passati in sordina nei ranghi dell'SPD stesso, in nome anche della strada centrista pienamente adottata dalla fine degli anni 90 nella direzione del partito e in una parte dei suoi elettori. L'ex-sindaco di Amburgo e padre nobile dell'SPD Klaus von Dohnanyi ha chiesto a gran voce le dimissioni di Schulz da leader del partito. Nonostante il supporto di alcuni membri dell'establishment socialdemocratico più vicini agli obiettivi della GroKo tra cui Johannes Kahrs è indicativo come Schulz rimanga per ora sì capo del partito, ma non sarà più il Parteivorsitzender, il capo del gruppo parlamentare dell'SPD, carica che di solito era unificata nella figura del capo del partito. Il dibattito all'interno dell'SPD è appena iniziato, e saranno determinanti le prossime elezioni in Bassa Sassonia, nelle quali, anche se la speranza di vittoria sarà nulla – la Bassa Sassonia è a maggioranza CDU poiché Brema, città di sinistra al suo interno, fa Land a sé in nome della sua tradizione anseatica – un risultato inferiore al 27,4% preso alle consultazioni federali creerebbe un nuovo terremoto all'interno del partito (gli attuali sondaggi ruotano attorno al 30%).
Tra i partiti più piccoli, i liberali pro-finanza e pro-EU a guida nordica dell'FDP ritornano in parlamento con un convincente 10,7%, dopo che 4 anni fa erano drammaticamente usciti dal Bundestag, esclusi dalla soglia di sbarramento del 5% appena sfiorata. Ha avuto una grande influenza in ciò, oltre al sistematico indebolimento della Cancelliera, il nuovo volto del partito, Christian Lindner, adatto a rappresentare il bacino elettorale del partito, ovvero la medio-alta borghesia arricchita che non si vuole mescolare idealmente con la base popolare della CDU e che non ha problemi a fornire un supporto entusiasta a misure finanziarie neo-liberiste e monetariste. Lindner si è inoltre apertamente dichiarato a favore dell'uscita della Grecia dall'Eurozona, in senso apertamente punitivo. Una Grexit che possa fare della Grecia, ed eventualmente di altri stati dell'europa meridionale una Bengodi per le avventure finanziarie tedesche, cosa tra l'altro già in atto. Lindner ha inoltre dichiarato che una condizione per l'ingresso nel governo dell'FDP è condizionato alla fine degli aiuti economici alla Grecia, e questo pone già grandi ostacoli all'unica possibile coalizione di governo uscita da queste elezioni, ovvero la coalizione Jamaika, dalla bandiera del paese: CDU (Nero), FDP (Giallo), e Grüne (Verde). Questo perchè i Verdi hanno invece raggiunto un ragguardevole 8,9%, in crescita rispetto alle consultazioni del 2013, e perchè la classica combinazione CDU-FDP non arriva nemmeno lontanamente alla maggioranza di 330 seggi richiesta. I verdi sono riusciti ad andare oltre i sondaggi – che li attestavano attorno al 7% - e a diventare il partito più importante per questa possibile coalizione di governo. La CDU già governa coi Verdi nel Baden-Württemberg, e i Verdi, forti del consenso di sinistra nel Länder dell'ovest, hanno come principale funzione programmatica proprio quella di essere ago della bilancia di eventuali governi. Il programma governativo dei Verdi è di fatto, vago e inconsistente; si sono infatti visti togliere alcuni anni or sono la battaglia dell'ecologismo proprio da Angela Merkel, soprattutto circa la riduzione e lo smantellamento delle centrali nucleari, su cui i Verdi avevano praticamente creato il loro ruolo politico post-Chernobyl. Le differenze da un punto di vista economico con l'FDP sono però abissali come non mai, e la formazione di un governo in breve tempo è utopia, e non sarebbe impossibile rivedere la ricomparsa dell'SPD nella contrattazione politica che avrà luogo nei prossimi mesi.
Arriviamo all'elefante nella stanza. Alternative für Deutschland. Il partito creato come comitato elettorale per le elezioni del 2013, capitanato da professori di economia di varie università tedesche con orientamento anti-euro, in nome di un rinnovato dominio monetario tedesco, è finalmente entrato nel Bundestag. 12,6% di voti, terzo partito nel parlamento, 3 Direktmandaten, un successo quasi inaspettato vista la flessione nei sondaggi che aveva accompagnato AfD per tutto il 2017. Negli ultimi giorni un certo rialzo aveva fatto pensare ad un risultato intorno al 10%, ma è evidente che la sincerità nei sondaggi, quando si tratta di votare determinati partiti non è proprio una priorità. Ma come può essere un movimento fondato da professori di economia una minaccia per la democrazia nello stesso modo in cui lo fu l'NSDAP nel 1930?
Tralasciando qui per motivi di spazio considerazioni economiche e soprattutto analogie tra la situazione tedesca post-1929 e quella europea degli ultimi anni, la situazione vede AfD come partito che ha subito una inesorabile e ineluttabile evoluzione da formazione pro-finanza nazionalista a bastione della estrema destra fascista e xenofoba europea. Nel 2015 il fondatore del partito Bernd Lucke fu esautorato dalla leader dell'ala destra del partito, Frauke Petry, della quale avevamo già parlato qui un anno fa in riferimento alle elezioni regionali del 2016. Ma, sorpresa sorpresa, nei mesi precedenti alla campagna elettorale, la stessa Petry si è trovata al centro di polemiche e discussioni all'interno del partito che hanno portato alla sua marginalizzazione sempre più progressiva, se non come immagine del movimento sullo scenario nazionale, di sicuro circa la sua influenza sul contenuto delle politiche promosse dal partito. AfD si è dunque affacciata alla competizione elettorale presentando come candidati di punta Alexander Gauland e Alice Weidel. Gauland, ex-membro della CDU e strenuo difensore del movimento anti-immigrati e anti-islamico PEGIDA – presente soprattutto a est – si è fatto notare in campagna elettorale per aver giustificato le azioni della Wehrmacht nella seconda guerra mondiale. Il capo del partito in Turingia, Björn Höcke, ha definito il monumento per le vittime dell'Olocausto a Berlino un “Monumento vergognoso”, non certo intendendo il provare vergogna per le azioni commesse. Nel mentre la leader del partito al parlamento europeo, Beatrix von Storch, nipote del Conte von Grosigk – Ministro delle Finanze sotto Hitler -, si era già fatta notare per aver apertamente richiesto la difesa del confine tedesco dai rifugiati attraverso l'uso delle armi da fuoco. Appena dopo le elezioni dunque, Frauke Petry ha annunciato di non aderire al gruppo ormai dichiaratamente fascista e xenofobo dell'AfD nel Bundestag. Dopo aver tolto la leadership del partito a Lucke ha dunque subito lo stesso destino, volendosi smarcare maldestramente da un partito politico la cui deriva fascista è stata tuttavia inaugurata da lei stessa, colpevole di affermazioni del tutto analoghe a quelle della sua sodale von Storch. Rimarrà però in parlamento, in qualità di eletta diretta nella circoscrizione elettorale della cosiddetta “Svizzera Sassone” al confine con la Repubblica Ceca. Perchè, ebbene sì, AfD sfonda soprattutto a est.
Non abbiamo ancora parlato del risultato di Die Linke; per poterlo fare è tuttavia necessario individuare le caratteristiche degli spostamenti elettorali che hanno permesso un tale risultato da parte di AfD. Alternative für Deutschland ruba un milione di voti alla Merkel e mezzo milione di voti a Die Linke, e quasi tutti a Est, dove diventa secondo partito scavalcando la Linke, e insidiando, soprattutto in Sassonia, il primato della CDU, che fino ad ora vedeva il consenso nello stato prussiano raggiungere picchi del 40%. AfD supera ovunque, tranne che a Berlino Est la Linke e insidia una ridimensionata CDU.
Debacle dunque anche per Die Linke? In parte sì, è innegabile. Il risultato del 9,2% è sotto le aspettative, i sondaggi vedevano la formazione di sinistra consistentemente attorno al 10 %. Seppur questo sia un miglioramento rispetto al 2013 (+0,6%) anche in termini di seggi e di mandati diretti – oltre ai 4 storici di Berlino la Linke vince anche a Leipzig sud – non era questo il risultato che si prevedeva, specialmente dopo aver eletto a candidata principale Sahra Wagenknecht, una delle politiche della Linke più note a livello federale per il suo carisma, la sua capacità dialettica e per le sue proposte politiche – è a capo della corrente interna della Linke che si dichiara esplicitamente comunista. A est la Linke non è più il partito di protesta, non è più il partito di chi è stato emarginato e rigettato dal capitalismo selvaggio dell'ovest che svendette al miglior offerente l'apparato produttivo/economico della DDR. La Linke ottiene consistentemente ad est il 15%, ma raramente sfonda il 20%, una soglia che era sempre stata il suo marchio di fabbrica nei Länder orientali. Come ha fatto però la Linke a migliorare il risultato federale? La situazione è in controtendenza, per la prima volta a Ovest dove la Linke rimpiazza il mezzo milione di voti persi verso l'AfD con un pari numero proveniente dall'SPD a ovest. In tutti i Länder occidentali supera la soglia del 5%, persino in Baviera, ma soprattutto la Linke si dimostra una forza politica di rilievo nei grandi centri urbani della Renania e in diversi casi anche nelle zone più tetragone all'ex discendente della SED. 12% ad Amburgo, 13% a Brema, 11% a Bielefeld, 10% a Munster, 11% a Colonia, 10% a Dortmund, Bochum, e Norimberga, 11% a Friburgo e un inaudito 8% a Monaco. Risultati impensabili qualche anno fa, dove nemmeno il successo elettorale del 2009 (11,9% nazionale) era riuscito ad arrivare, arroccato principalmente nel dominio orientale della Linke.
Come riassume la Frankfurter Allgemeine Zeitung si è trattato per la Linke di aver giocato bene la partita ma di non aver vinto molto. Se alle elezioni del 2013 la tanto decantata unione tedesca Rot-Rot-Grün aveva avuto effettivamente la maggioranza dei seggi – non convertitasi in governo per le divergenze fondamentali tra SPD e Linke – qua ci troviamo nettamente in una fase regressiva. Il rischio è che si concretizzi una convergenza nei banchi dell'opposizione tra SPD e Linke che veda la seconda essere una stampella, un “utile idiota” per le politiche centriste della SPD. Questo rischio è tangibile visti i diversi governi locali condotti in collaborazione, una prospettiva di cui è ormai legittimo parlare nel dibattito politico interno. Visto il fallimento di far rientrare nei ranghi quel bacino elettorale conquistato dalla retorica reazionaria e fascista a est, la Linke deve effettuare una profonda riflessione sul tipo di linea politica da tenere, al fine di evitare una assimilazione con quei partiti dell'Establishment che ne porterebbero al soffocamento, politico e di consensi. Con un nemico ormai non più alle porte, ma entrato nelle stesse istituzioni tedesche, adottare posizioni sul breve termine o indirizzate a determinate politiche per avere effetto immediato sull'elettorato perso, rischia di creare confusione e alienazione verso quella che ancora rimane la solida base elettorale del partito. Già all'inizio degli anni 30 in Germania, una tale confusione lasciò ampio spazio alle forze del fascismo e della reazione, con conseguenze ben note, ma forse non più agli stessi tedeschi.