Nei giorni del massimo picco dell’emergenza COVID-19 negli USA la notizia del ritiro ufficiale da parte di Bernie Sanders dalle primarie democratiche è passata probabilmente in secondo piano, soprattutto fuori dagli Stati Uniti. Questa decisione restringe il campo a questo punto ad una sfida Biden-Trump a novembre, il cui esito rimane molto incerto.
La vicenda tuttavia è interessante perchè è stata l’elemento scatenante di un acceso e folto dibattito all’interno della sinistra statunitense, ivi incluse le diverse anime della sinistra anticapitalista e comunista. Ne vogliamo approfittare anche noi per tracciare degli spunti di riflessione che vadano oltre la figura individuale di Sanders e si concentrino invece sulle prospettive future di azione politica della sinistra negli USA.
Il ritiro di Sanders: tradimento o ritirata strategica?
Pur non essendo ancora chiara la direzione che intenda prendere Bernie Sanders rispetto al movimento che lo ha accompagnato in questi 4 anni lungo due intense campagne per le primarie democratiche, in ogni caso il ritiro dalle primarie non sembra voglia significare da parte di Sanders l’abbandono tout court dell’azione politica a livello nazionale. E d’altronde, in alcune sue uscite recenti, lo stesso Sanders si era chiaramente pronunciato sulla necessità di una gestione della crisi, sanitaria ed economica, indicando una serie di punti che apparivano dei chiari obiettivi programmatici e dichiarando esplicitamente che la manovra straordinaria dei 3 mila miliardi di dollari varata dall’amministrazione Trump prevedesse misure insufficienti a sostenere il reddito delle classi lavoratrici, con un contributo una tantum di 1.000 dollari, mentre Sanders propone un reddito integrativo universale di 2.000 dollari al mese per tutta la durata della crisi per tutte la famiglie di lavoratori. Anche le altre misure proposte da Sanders vanno in una direzione ancora più radicale di quella che era stata la base programmatica della sua campagna elettorale.
La generalità delle reazioni delle forze politiche della sinistra anticapitalista e comunista negli USA è stata tuttavia caratterizzata da un atteggiamento fortemente critico nei confronti di Sanders, con la sola eccezione della rivista The Jacobin. Quasi tutti adesso mettono comunque in evidenza gli elementi socialdemocratici e riformisti del suo programma elettorale e quindi tendono a ricollocarlo all’interno dello status quo, dell’establishment, sia pure con toni e sfumature differenziate, collocazione che verrebbe dimostrata e sancita dal suo immediato appoggio alla candidatura di Biden, che è stata da quasi tutti percepita come precipitosa e stridente, se si pensa che fino a poche settimana prima l’atteggiamento nei confronti del suo principale avversario democratico era stato di feroce contrapposizione.
In effetti questa improvvisa svolta di Sanders ha provocato parecchi malumori, se non aperte contestazioni, soprattutto nella base del suo movimento che, come più volte abbiamo evidenziato, rappresenta un fenomeno politico reale nella società statunitense di questi anni.
Ma abbiamo deciso in questa sede di non volerci interessare troppo della vicenda politica personale di Sanders, quanto piuttosto cercare di capire cosa adesso ne sarà di quel movimento.
Molte, troppe analisi, nell’ergersi ad alfieri dei sostenitori scontenti, o “traditi” dallo “zio” Bernie, tendono a focalizzarsi eccessivamente sull’elemento individuale, quindi sul destino politico di Sanders, sulle sue radici, sul suo percorso, sugli errori commessi durante le campagne, sulla possibile malafede o comunque sulla mancanza di coraggio nel non aver voluto portare fino in fondo la sua battaglia, lui che si dichiarava essere contro il sistema ma che in realtà poi è finito con il piegarsi al sistema, per ben due volte, con Hillary Clinton nel 2016 e adesso con Joe Biden. Ovviamente dietro a tutto questo scenario si staglia la figura dell’ex Presidente Obama, che sembra aver diretto la regia di tutta la vicenda e Bernie alla fine ne esce come un interprete che ha recitato bene il suo copione.
D’altro canto, anche se minoritari, vi sono invece gli analisti maggiormente inclinati ad una visione tattica e pragmatica della politica, che vedono (o forse sperano soltanto?) in questa decisione di Sanders un ripiegamento che può essere definito tattico o forse più propriamente strategico. L’argomento forte, ma non sempre ineccepibile, di queste tesi, è basato sulla valutazione dei rapporti di forza. D’altronde, è pur vero che Bernie Sanders ha subito un attacco veramente massiccio e devastante da una gran parte dell’apparato mediatico mainstream in tutte le sue componenti, quelle che normalmente sembrano essere schierate su fronti contrapposti ma che il timore del “pallido” socialismo sandersiano li ha immediatamente compattati.
Lo sguardo verso il futuro
Come si evidenziava più sopra, un elemento fondamentale che accomuna un po’ tutte queste analisi, salvo poche eccezioni, è l’eccessiva attenzione alla vicenda politica personale di Bernie Sanders, perdendo di vista invece il movimento reale che nella società americana si è venuto a creare e rispetto al quale le due campagne elettorali di Sanders, sia nel 2016 e ancor di più nel 2020, hanno semplicemente agito come potente catalizzatore.
Abbiamo dato ampio spazio in questo giornale al movimento di base che si è creato negli ultimi anni negli Stati Uniti e che rimane tuttavia difficile da classificare con una terminologia precisa. Il termine “socialista” rischia di ingenerare forse speranze eccessive, anche se un dato di fatto inconfutabile è l’avvenuto sdoganamento del termine “socialista” e persino, entro certi limiti, “comunista” all’interno del dibattito politico mainstream statunitense. Anche su questo aspetto abbiamo dato ampiamente risalto nel nostro giornale.
Adesso si tratta soprattutto di comprendere come può evolvere e svilupparsi questo movimento politico che tuttora rimane piuttosto indistinto, relativamente poco strutturato, denso di contraddizioni sia attuali che potenziali al suo interno e soprattutto privo, al momento, di una guida e di una strategia politica effettiva, al termine di queste campagne presidenziali catalizzate attorno alla candidatura di Bernie Sanders.
Il bisogno di cercare una via d’uscita o una prospettiva futura partendo dall’individuazione della figura di un leader è purtroppo conseguenza della personalizzazione dello scontro politico, che ha sempre contraddistinto la vita politica americana e che è oggi ad un livello estremo, seguita comunque a ruota anche dalla politica europea e di altri paesi capitalisti del mondo con sistemi di democrazia rappresentativa borghese.
Fortunatamente diversi analisti e partiti politici della sinistra marxista sono consapevoli che si è arrivati ad un momento di svolta. Complice anche la crisi del COVID-19 che sta già assumendo la fisionomia di una crisi economica di proporzioni inaudite, le potenzialità del movimento di base “socialista” e “anticapitalista” (continuiamo volutamente ad utilizzare le virgolette) negli USA possono essere veramente promettenti. Tuttavia, si sa, le potenzialità per tradursi in atto hanno bisogno del verificarsi di determinate condizioni. è pensabile che queste condizioni debbano continuare ad essere rappresentate dall’ennesima futura candidatura presidenziale di Bernie Sanders? Peraltro, nell’ipotesi di vittoria di Joe Biden, questa ipotesi si potrebbe verificare addirittura soltanto nel 2028… insomma saremmo nella pura fantascienza!
Abbandonata quindi ogni eventuale illusione che il movimento possa continuare in quella direzione, si pone il tema di come trasformare la lotta politica, attorno a quali obiettivi continuare ad aggregare i militanti, gli attivisti e i simpatizzanti, con quali forme di organizzazione. Ed ecco che torna a prendere consistenza, da parte di alcuni, l’ipotesi del fatidico “terzo partito”.
E qui viene fuori subito il primo e più importante ostacolo da superare. Il sistema politico statunitense è forse la migliore rappresentazione del falso mito della democrazia rappresentativa borghese e delle contraddizioni di un sistema politico basato sull’eguaglianza formale. Questo ha portato il sistema ad essere dominato, ormai da oltre un secolo e mezzo, da due grandi partiti che condividono i presupposti di fondo del sistema stesso e hanno sempre impedito il crearsi di una terza forza soprattutto se antagonista al sistema. Inoltre questi due partiti non sono mai stati caratterizzati da un’organizzazione di massa e diffusa sul territorio, come avvenne in altre parti del mondo per buona parte del XX secolo. Si tratta piuttosto di “contenitori” politici caratterizzati da una elevata fluidità degli equilibri di potere interni e basati sull’ascendenza personale dei leader che via via si sono succeduti. Questo ovviamente fa il paio con la fortissima personalizzazione della vita e del dibattito politico, che si svolge prevalentemente sui media ed è quindi legato a filo doppio a questo stesso apparato mediatico. Il rapporto con gli elettori è verticistico e demagogico per definizione. Non c’è nessun corpo intermedio che favorisca una partecipazione attiva e la mediazione degli interessi collettivi, neanche in un’ottica corporativa. Questo ruolo di intermediazione è svolto dalle lobbies che sono centri rappresentativi di interessi sganciate dall’organizzazione partitica.
Inoltre, un sistema politico siffatto richiede ingenti risorse finanziarie per portare avanti le campagne elettorali e l’azione politica in genere e questa situazione produce uno sbarramento di classe difficile da superare e determina quindi la selezione di una classe politica perfettamente organica al capitale e ai suoi interessi e quindi lo scontro politico riproduce sempre i conflitti all’interno dei vari settori del capitale. Non viene assolutamente rappresentato alcun conflitto di classe per il semplice motivo che le classi subalterne non sono neanche rappresentate contraddicendo la stessa impostazione formale della democrazia rappresentativa borghese. Si intenda: la contraddizione è solo apparente. In realtà la sovrastruttura politica è perfettamente funzionale e integrata alla struttura economica.
Si tratta quindi di comprendere quali sono le opportunità reali per far nascere un terzo partito a sinistra che si inserisca nel sistema politico con una piattaforma antagonista ai due partiti dominanti, sfruttando la mobilitazione reale che si è avuta attorno alle campagne di Bernie Sanders. Oppure se convenga evitare di intestardirsi a percorrere questa strada e lavorare invece ad uno sbocco rivoluzionario agendo al di fuori del sistema politico-elettorale dominante.
A sostegno della prima tesi stanno due elementi fondamentali: il potenziale di mobilitazione di massa che le campagne di Sanders hanno fatto emergere e, corollario del primo, la capacità di recuperare le risorse economiche e finanziarie necessarie, attraverso una raccolta fondi di base, per sostenere l’azione di un partito nell’ambito del sistema mainstream, quindi partecipando attivamente alle campagne elettorali a vari livelli. È una visione che rimane sempre in un ambito socialdemocratico e riformista, ma che potrebbe comunque essere conveniente sostenere anche da parte dei partiti della sinistra anticapitalista, socialista e comunista, elaborando un programma minimo e inserendosi o interagendo in forme più o meno organiche con questo ipotetico terzo partito.
Il principale elemento di debolezza sta tuttavia nella difficoltà ad individuare quali, tra i soggetti attualmente esistenti, possano prendere convintamente e compattamente l’iniziativa per avviare un processo organizzativo. Sarebbe necessario partire da un nucleo originario che possa fungere da zoccolo duro del futuro partito. Quanto sono pronti i Democratici e Socialisti d’America (DSA) ad assumersi questo compito? E lo dovrebbero svolgere da soli oppure in collaborazione o federazione con altri soggetti minori che in questi anni sono stati molto attivi nella mobilitazione pro-Sanders? E sarebbe immaginabile un ruolo dei sindacati che dovrebbero quindi abbandonare il legame storico con il Partito Democratico?
Per concludere, i temi attorno ai quali continuare a sviluppare la mobilitazione prodotta da Sanders sono resi ancora più attuali e sentiti dalla situazione di crisi economica e sociale che sta venendo fuori dopo l’emergenza del Coronavirus: assistenza sanitaria pubblica e universale, accesso all’educazione superiore, problemi ecologici, lotta allo strapotere della finanza, lotta per i diritti degli immigrati e delle minoranze razziali, abolizione del mostruoso sistema carcerario.
Un elemento debole che invece ha caratterizzato l’esperienza del movimento di questi anni è rappresentato dalla politica estera, una delle principali contraddizioni di Sanders ed anche dei DSA. In questo senso le forze della sinistra comunista dovrebbero inserirsi prepotentemente e cercare di egemonizzare il dibattito interno anche se non sarà compito facile.
Una grande sfida
Di certo è che se questo processo di emersione di un terzo partito dovesse portarsi a compimento, allora ciascuno dei piccoli, quando non minuscoli, partiti e movimenti della galassia della sinistra antagonista statunitense, si troverebbe di fronte ad una scelta di carattere epocale. Le conseguenze di quelle scelte e la capacità o incapacità di tradurle poi in una prospettiva unitaria di classe, non mancheranno di esercitare dei riflessi anche sulle prospettive dei comunisti in tutto il resto del mondo.
È un momento veramente unico quello che sta vivendo la sinistra statunitense: un potenziale di mobilitazione politica che interessa una componente importante della popolazione, con dei connotati di classe ben definiti, alimentato da una progressiva presa di coscienza genericamente anticapitalista e in direzione di una prospettiva politica socialista che è stata sdoganata a livello mediatico ma i cui contenuti politici concreti vanno meglio definiti e orientati in senso rivoluzionario.
Una grande sfida insomma quella che attende le compagne ed i compagni americani ma alla quale nessun comunista in tutto il resto del mondo potrà e dovrà considerarsi estraneo.
Fonti:
Bernie Lost. But His Legacy Will Only Grow
Bernie Must Retool His Campaign Organization, Not Dismantle It
Which road to socialism: Bernie Sanders and voting in a pandemic
So Long, Bernie - CounterPunch.org
The Sanders campaign and building the movement for socialism