Davvero l'Unione europea vuole entrare in guerra con la Russia? Ma soprattutto perché vorrebbe farlo ora? Queste sono due domande importanti e dalle risposte che si intende dar loro dipende l'interpretazione del momento (comunque tragico) che vive il “Vecchio Continente”.
Le recenti dichiarazioni belliciste del presidente della Repubblica francese Emanuel Macron hanno aperto uno scenario di diretto confronto militare tra le forze della Nato e quelle della Federazione russa sul terreno ucraino.
Il 14 marzo scorso in un'intervista a una tv francese, Macron ha infatti affermato: "Non escludo l'invio delle truppe in Ucraina, la Russia non può e non deve vincere". Le sue affermazioni giungono dopo quelle della presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen sulla non esclusione di una guerra ancora più estesa in Europa, sull'utilizzo dei beni russi congelati a favore del regime di Kiev e sulla necessità che l'Ue investa maggiormente nel settore della “difesa”.
Seguono, invece, le dichiarazioni di Macron quelle comuni rilasciate nel vertice trilaterale di Berlino di metà marzo con il cancelliere tedesco Olaf Scholz, il premier polacco Donald Tusk e lo stesso inquilino dell'Eliseo nelle quali, pur escludendo un intervento diretto di forze armate occidentali, si è promesso un ancora maggiore impegno in termini di approvvigionamento di armamento pesante a favore dell'Ucraina.
Dopo Avdiika
Tutte queste esternazioni di determinazione a proseguire l'appoggio alla difesa armata di Kiev arrivano dopo le difficoltà dell'amministrazione Biden, impegnata in una campagna elettorale a dir poco in salita, a proseguire nel sostegno incondizionato a Zelensky, ma soprattutto giungono dopo la caduta di Avdiika del 17 febbraio. Questa cittadina costituiva fin dal 2014 una piazzaforte delle forze armate ucraine e consentiva loro di tenere sotto pressione con bombardamenti la citta ribelle e filorussa di Donetsk.
La fine della fortezza filo-Kiev ha determinato un rimarchevole slittamento dei rapporti di forza a favore di Mosca soprattutto nel Donbass. Anche perché alla carenza di armi derivanti dalle difficoltà di finanziamento dello sforzo bellico ucraino da parte degli Stati uniti e alla minor disponibilità di uomini reclutabili da parte di Kiev (la popolazione dell'Ucraina era di circa 36 milioni di persone l'anno scorso, mentre quella della Russia era di circa 146 milioni di abitanti), si sta aggiungendo il crollo del morale del cosiddetto fronte interno. Questo sfaldamento da una parte prende una forma reazionaria: le famiglie di chi sta al fronte pretendono che tutti gli uomini disponibili vadano a combattere per sostituire quelli che esausti sono lì da molto tempo, senza privilegi da parte di nessuno. Dall'altra, appunto, assume una forma disfattista da parte di chi ragionevolmente non intende andare a combattere senza mezzi e dinanzi a una forza russa preponderante.
In ogni caso, l'impossibilità della prosecuzione della guerra da parte di Kiev produce una crisi di legittimità delle forze politiche nazionaliste che hanno guidato la controrivoluzione di Maidan e il conseguente colpo di Stato con tutto quello che ne è seguito.
Battere i pugni per trattare?
In questo contesto di sconfitta evidente del tentativo nazionalista ucraino di riprendersi i territori perduti tra il 2014 e il 2024, giunge l'appello di Macron a non far vincere Putin. È possibile, pertanto, che si tratti di un tentativo di evitare un disfacimento della parte ucraina non per proseguire la guerra di attrito contro Mosca, ma per arrivare a un armistizio in condizioni che non siano di resa totale, per impedire all'esercito russo di avanzare anche su Odessa e per consentire a medio termine un congelamento della situazione sul fronte ucraino in un quadro di tipo simile a quello che divide da 70 anni la penisola coreana.
Una soluzione che peraltro costringerebbe comunque la Russia a investire ingenti risorse economiche ed umane nella difesa dei territori recentemente conquistati.
Certamente, questo rilancio può in ogni caso essere molto pericoloso sia perché in una situazione internazionale molto tesa ogni esternazione bellicista può portare più vicini a un confronto totale (anche nucleare) potenzialmente letale per l'umanità, sia perché innesca ancor di più il meccanismo perverso dell'economia di guerra che da una parte approfondisce la crisi delle classi popolari europee sottraendo loro risorse dello stato sociale per investirle nell'industria bellica, sia perché aumenta la forza dell'apparato militare-industriale e la sua capacità di creare provocazioni internazionali per accrescersi ulteriormente.
Ora più che mai è necessaria la costruzione di una piattaforma politica per la pace in ogni paese d'Europa. Alla costruzione di questa piattaforma che non include soltanto la costituzione di liste per le prossime elezioni europee, ma anche la promozione di una vasta mobilitazione popolare, deve partecipare in prima fila la sinistra di classe ovunque collocata.
Qualsiasi istanza elettorale pacifista per apparire credibile deve necessariamente dimostrarsi tale da subito e ben prima del confronto elettorale.