Le tensioni di questi giorni tra il governo spagnolo di Mariano Rajoy e quello della Generalitat de Catalunya guidato da Carles Puigdemont, deciso a convocare per il 1° Ottobre un referendum che ponga il tema del divorzio tra la Catalogna e la Spagna, hanno destato attenzione e allarme a livello internazionale. Le iniziative repressive assunte dalla destra al governo a Madrid hanno riproposto interrogativi mai sopiti riguardo le radici autoritarie del regime costituzionale spagnolo del 1978, nato da una transizione alla democrazia liberale pattata dai partiti democratici con il fascismo preesistente. Un regime, quello del '78, sempre più incapace di offrire risposte alle tensioni che agitano la società, tra le quali le rivendicazioni nazionali in Catalogna, nei Paesi Baschi e in Galizia - ma non solo - acquisiscono una particolare rilevanza.
La società catalana e la sua dialettica politica non sono però polarizzate, come lo scontro in atto potrebbe far pensare, tra indipendentismo e fedeltà al governo di Madrid e le rivendicazioni delle masse catalane, a prescindere dall'interpretazione che ne offre il governo di grande coalizione indipendentista dell'attuale regione autonoma, rappresentano un'occasione di democratizzazione della vita civile per tutti i popoli dello Stato spagnolo.
Per approfondire questi aspetti e indagare il nesso tra autodeterminazione dei popoli, federalismo possibile e lotta per la conquista di una Terza Repubblica spagnola che dia risposta alle istanze di giustizia sociale, partecipazione e democrazia reale, abbiamo intervistato Nuria Lozano Montoya, responsabile del settore plurinazionalità di Izquierda Unida - la coalizione di sinistra che a livello statale unisce le forze della sinistra di classe (tra cui il Partito Comunista di Spagna) - ed esponente del Bloc de Comunistes de Catalunya (link).
[D] Quali sono gli antefatti della situazione attuale in Catalogna? Quali responsabilità politiche individuano i comunisti catalani per la situazione che si è generata in queste settimane?
[R] Lo Stato spagnolo è a tutti gli effetti uno stato plurinazionale, ma non solo: è anche multiculturale e plurilinguistico e dunque di una straordinaria ricchezza nella sua diversità, cosa che costituisce uno dei suoi potenziali più importanti. È ovvia la coesistenza di diverse culture e diverse lingue all'interno dello Stato. È anche noto il processo di formazione dello Stato spagnolo, con la coesistenza di diverse entità nazionali unificate in forma unipersonale sotto un unico capo di Stato, titolare delle corone di Castiglia e Aragona, tuttavia senza dar luogo a un vero stato nazione. Alcune di queste nazioni hanno mantenuto un'identità peculiare, qualcosa da cui non è estraneo l'elemento culturale e linguistico, ma soprattutto un'autentica volontà da parte della maggioranza della popolazione di essere, di esistere come soggetto politico sovrano che si riconosce come tale. Questa è una realtà che ha continuato a sussistere fino al presente e che segna profondamente non tanto la configurazione giuridica, quanto la realtà politica dello Stato spagnolo attuale. Certamente in Catalogna c'è un conflitto politico storico accentuato negli ultimi anni, che ha prodotto un blocco politico e istituzionale originato dalla sentenza della Corte Costituzionale contro lo Statuto d'Autonomia dell'anno 2010 (approvato con referendum dalla maggioranza della popolazione catalana) e dalla successiva subordinazione della politica ai procedimenti giudiziari. Questa situazione ha fatto in modo che la maggioranza della popolazione catalana consideri esaurito l'attuale assetto dell'autonomia e ritenga necessario avanzare verso nuovi scenari di sovranità mediante cambiamenti costituenti che abbiano al centro l'esercizio del diritto a decidere. È sotto gli occhi di tutti come il Partito Popolare (PP), contando sul pieno appoggio di Ciudadanos (populisti neoliberisti, N.d.R.) e sul codismo dei socialisti del PSOE, abbia dato una risposta al conflitto in termini di negazione o di azioni autoritarie, ciò che ne fa il principale responsabile della situazione di blocco in cui ci troviamo. Ma non è meno vero che è necessario un percorso alternativo che raccolga le aspirazioni delle classi popolari, superando le deficienze di quello di JxS e della CUP, le forze che governano in Catalogna, che si è dimostrato insufficiente come strategia capace di coinvolgere la maggioranza delle classi popolari della Catalogna per mancanza di contenuti sociali e di rigenerazione democratica, che dia risposta all'aspirazione dell'80% della società catalana che vuole esercitare il diritto di decidere. Solo un referendum vincolante, con piene garanzie democratiche, che riunisca le condizioni a cui facevo riferimento prima, può permettere l'espressione dell'opinione reale del popolo di Catalogna in un processo di autodeterminazione.
[D] Qual è la natura politica della coalizione che governa attualmente la Catalogna e quali settori sociali ne determinano le basi di massa?
[R] In Catalogna governa una coalizione formata da due partiti, componenti del cartello Junts pel Sí (Uniti per il Sì - JxS):
- Il Partito Democratico Europeo di Catalogna (PdeCat - ex CiU), un partito di destra neoliberista, entusiasta dell'applicazione delle direttrici della Troika e dei tagli ai diritti sociali e del lavoro. Per quarant'anni hanno appoggiato nel parlamento spagnolo le principali misure di taglio di diritti e libertà e di smantellamento dello stato sociale. Un partito coinvolto in molteplici scandali di corruzione, basati su commissioni illegali per aggiudicare contratti d'appalto e sevizi pubblici, che è sempre stato nazionalista e solo negli ultimi cinque anni ha abbracciato l'ideale indipendentista.
- La Sinistra Repubblicana di Catalogna (ERC), il partito storico sostenitore dell'indipendenza, con un'ideologia più attenta in materia sociale, ma ugualmente neoliberista in materia economica e di politica internazionale.
Contano però anche sull'appoggio di un altro partito indipendentista: la Candidatura di unità Popolare (CUP), un'organizzazione che si definisce anticapitalista, ma che negli ultimi due anni ha subordinato tutto il suo programma anticapitalista alla rivendicazione nazionale. Di qui l'affermazione che facevo nella precedente risposta riguardo le deficienze del percorso, che si è dimostrato insufficiente come strategia capace di includere la maggioranza delle classi popolari della Catalogna per mancanza di contenuti sociali e di rigenerazione democratica, e dunque non adatto a corrispondere all'aspirazione dell'80% della società catalana che vuole esercitare il diritto di decidere.
La coalizione di governo e i suoi alleati della CUP sono maggioranza assoluta nel parlamento catalano, ma rappresentano il 45% dei voti. Conseguentemente non rappresentano la maggioranza della popolazione della Catalogna. Per quanto riguarda il sostegno di massa, esso è interclassista: vi sono componenti della classe operaia, piccola borghesia, classe media impoverita e ceti medi.
[D] Che posizione hanno assunto i comunisti rispetto al referendum convocato dal governo catalano per il prossimo 1° Ottobre?
[R] Pensiamo che sia necessario un percorso alternativo, capace d'interpretare le aspirazioni delle classi popolari, che superi le carenze di quello di JxS e CUP che si è dimostrato insufficiente come strategia capace di includere la maggioranza delle classi popolari catalane. Non condividiamo progetti nazionali carenti di contenuti sociali e di rigenerazione democratica e vogliamo dar risposta alla voglia di scegliere della grande maggioranza dei catalani.
Denunciamo come il PP abbia reagito alla situazione in forma di negazione del conflitto o di azioni autoritarie. Il governo di Rajoy è il principale responsabile della situazione che si è creata. Occorre difendere le istituzioni catalane dagli atti repressivi che hanno come protagonista il governo del PP o una giustizia politicizzata al servizio del PP, in una strategia che conta sul pieno appoggio di Ciudadanos e sull'acquiescenza dei socialisti. In questi giorni abbiamo assistito a fatti gravissimi, quali la messa sotto accusa della Presidenza del Parlamento catalano per aver permesso il dibattito parlamentare, la detenzione di alte cariche del governo e l'intervento della finanza e della polizia della Generalitat, ciò che equivale a una sospensione de facto delle istituzioni e delle libertà del popolo della Catalogna, al di fuori di ogni cornice legale. Si sono verificati gravi attentati alla libertà di espressione, come la chiusura di pagine web per ordine giudiziale e la schedatura di giornali e tipografie, come pure tentativi di schedatura di partiti politici legali senza ordine giudiziale, le cui sedi sono state accerchiate con unità di polizia in tenuta antisommossa. Si sono anche moltiplicati gli attentati al diritto di riunione: dentro e fuori dalla Catalogna sono state sospese manifestazioni e riunioni politiche a Valencia, Madrid, Gijón, Bilbao, Vitoria, Saragozza, impedendo così il dibattito sul referendum, e ciò è avvenuto per via extragiudiziale. Da ultimo, domenica scorsa a Saragozza quattrocento fascisti hanno circondato il luogo in cui si teneva un'assemblea che chiedeva dialogo e una soluzione negoziata e alla quale partecipavano circa cinquecento persone: in quell'occasione la polizia non si è fatta garante della nostra sicurezza, arrivando ad aggredire la Presidente del Parlamento d'Aragona.
Per noi è chiaro che solo il metodo referendario può esprimere l'opinione reale del popolo catalano nel processo di autodeterminazione. Questo referendum deve avere delle condizioni minime di validità: riconoscimento internazionale, appello inclusivo alla maggioranza sociale del paese e possibile espressione di diverse opzioni, così come conseguenze giuridiche e politiche che lo rendano effettivo. Per noi la responsabilità, se queste garanzie non si realizzano, è del governo del PP.
Va però anche detto che il quesito e la data del referendum annunciate dal governo della Generalitat non hanno contato sulla partecipazione di tutti i settori politici e non sono sufficientemente inclusivi rispetto alle posizioni esistenti nella società catalana. Il 1° Ottobre non si realizzerà il referendum effettivo di cui la società catalana ha bisogno, quindi noi facciamo appello alla mobilitazione per quella data, nel rispettando la diversità delle posizioni politiche, e al contempo c'impegniamo a continuare a lavorare per ottenere un vero referendum che sia effettivo e che risolva l'attuale situazione di blocco. Poniamo anche il problema della tutela dei lavoratori pubblici delle istituzioni catalane, che non devono essere penalizzati perché da professionisti ottemperano a decisioni la cui responsabilità è politica. Facciamo appello a partecipare a qualunque mobilitazione, manifestazione o proposta per difendere i diritti fondamentali e contro le azioni repressive del governo del PP.
[D] Quale sarebbe la via migliore, secondo voi, per affermare le rivendicazioni nazionali del popolo catalano e degli altri popoli dello Stato spagnolo?
[R] Noi sosteniamo che la Catalogna sia una nazione che ha il diritto all'autodeterminazione e che deve aprire, in chiave di rottura democratica, un processo costituente per conquistare un modello sociale democratico e nazionale al servizio delle classi popolari. Per esercitare questo diritto è necessaria una consultazione o referendum per giungere a un soggetto politico pienamente riconosciuto, qualunque sia la decisione finale della cittadinanza catalana rispetto alla relazione da avere con gli altri popoli dello Stato.
Per questo continueremo a lavorare, dopo il 1° Ottobre, per l'obiettivo irrinunciabile del referendum di autodeterminazione di cui il popolo della Catalogna ha bisogno, svolto in condizioni democratiche che preservino l'unità e la garanzia di continuare a essere un solo popolo, così come la piena effettività politica e giuridica.
Forti delle nostre radici che affondano nelle diverse culture federaliste e repubblicane catalane, come pure nel catalanismo popolare, da Pi i Margall a Valentí Almirall, Joan Comorera, Jordi Solé Tura, Pasqual Maragall o Miquel Caminal, tra gli altri, ci battiamo per una relazione fraterna con il resto dei popoli di Spagna, con i quali lottiamo congiuntamente per un modello di stato repubblicano, federale, plurinazionale, multiculturale e plurilingue, sociale e democraticamente avanzato, coordinando i processi costituenti (rispettando i tempi e le alleanze, così come l'autonomia di ciascuno) e le lotte unitarie delle classi lavoratrici e popolari dell'insieme dello Stato per avere più forza contro l'oligarchia che vuole perpetuare l'attuale status quo. Sosteniamo quindi una strategia di rottura democratica con il regime costituzionale del 1978 che includa il diritto all'autodeterminazione dei Popoli. La messa in pratica di queste due idee congiuntamente ci porta al superamento dello stadio dell'autonomia, avanzando verso un nuovo modello. Lavoreremo per la nostra alternativa di Repubblica Catalana liberamente federata con il resto dei popoli dello Stato spagnolo, come sintesi tra la prospettiva federale e la difesa dell'esercizio del diritto all'autodeterminazione nella Catalogna attuale. Per perseguire questo fine è necessaria la collaborazione tra federalisti, sovranisti e indipendentisti per affermare il diritto di decidere del popolo catalano. È in questo senso che occorre riorientare il processo nazionale catalano per uscire dalla situazione attuale.
[D] Che prospettive vedete per il movimento repubblicano nel complesso dello Stato soagnolo e che apporto può offrire il popolo catalano alla lotta repubblicana?
[R] Innanzitutto per noi il modello di Stato è parte integrante, è uno degli assi del necessario processo costituente per la rottura democratica che proponiamo. Un processo costituente che deve avere come base un'alleanza tra le classi popolari e i lavoratori dell'insieme dei popoli dello Stato spagnolo per dare impulso e trasformare in realtà la costruzione di una Repubblica Federale che difenda la maggioranza sociale lavoratrice. Il presupposto è pertanto un patto federale di libera adesione, che presupponga il riconoscimento effettivo del diritto all'autodeterminazione e anche che faccia della lotta contro il patriarcato, per la democrazia partecipativa, la giustizia sociale e la laicità la base per una nuova architettura sociale e politica favorevole alla maggioranza della popolazione.
Pertanto, la rottura del regime del '78 nel suo asse nazionale e territoriale è utile per mettere in discussione la continuità di un blocco costituzionale esaurito, di un patto costituzionale che ha bisogno di essere rinnovato perché ormai non serve a regolare né la convivenza tra i cittadini né quella tra i territori. La frattura creata dalla rivendicazione in Catalogna apre possibilità costituenti impensabili pochi mesi fa.
Lo Stato federale è la soluzione alla realtà plurinazionale dello Stato spagnolo che riconosca la sua composizione diversificata, garantendo riequilibri territoriali, anche rispetto agli attori sociali di uno Stato che, garantendo competenze ben definite e autosufficienza finanziaria, renda effettivi i principi di eguaglianza, solidarietà e progresso. In questo modo sarebbe possibile evitare l'esistenza di privilegi o discriminazioni di un territorio sugli altri, senza involuzioni in materia di diritti o libertà in nessuno di essi. È questo l'apporto del popolo catalano alla lotta repubblicana.