L’Italia è già coinvolta nella nuova fase della guerra in Siria. Basta seguire il profilo twitter @ItaMilRadar per vedere i percorsi degli aerei statunitensi che partono dalle basi americane sul nostro suolo per missioni nei cieli della Siria. Il presidente del consiglio dimissionario si permette di lanciare anatemi sul fatto che non si possa tollerare “l’uso di armi chimiche”.
Mentre questo articolo viene scritto, l’unico dubbio del presidente americano Trump sembra essere quello tra pochi interventi aerei – come successo nell’aprile 2017 – o un’operazione su vasta scala. Il Regno Unito della Brexit trova immediatamente l’unità con la Francia del campione europeista Macron: la Siria va bombardata. Merkel dice che non ci sono dubbi sulle armi chimiche, si rammarica che il Consiglio di Sicurezza ONU non sia unito, pensa di dover fare tutto quello che è in suo potere per “fermare il massacro”, ma non parteciperà alle operazioni militari. Ci permettiamo di tradurre: abbiamo interessi diversi, ma non ci opporremo all’ennesimo bombardamento della Siria.
Non c’è bisogno di traduzione per quanto riguarda l’interventismo di Turchia, Israele e Arabia Saudita. Da anni considerano la Siria il loro tabellone di Risiko, fomentando l’ISIS, Al Nusra e ogni possibile fazione di fanatici. L’ultimo partito a intervenire è stato quello russo, in difesa dei noti interessi nell’area e in accordo col governo di Damasco.
Ogni fantasia sul possibile ruolo isolazionista del “pazzo” alla Casa Bianca è stata spazzata via, e tra poco queste fantasie verranno spazzate via anche dallo scenario italiano. In caso di scioglimento delle camere, rimane in carica il governo dimissionario, che già concede le basi sul territorio italiano. In caso di governo a 5 Stelle, Di Maio ha già giurato da Mattarella la fedeltà alla NATO.
E ora, noi?
Nel 1999 la guerra del Kosovo portò in piazza decine di migliaia di persone ogni settimana, la scelta di D’Alema (e di quello che oggi è in gran parte il gruppo dirigente di Art1Mdp-Liberi e Uguali) creò un trauma. Nel 2003 la guerra in Iraq portò in piazza milioni di persone. Probabilmente all’epoca la maggioranza degli italiani capiva a livello intuitivo il legame tra interessi capitalisti e guerra, l’opposizione tra interessi popolari e guerra.
Era un secolo fa. Ora tutto è cambiato.
La nostra debolezza soggettiva però non può essere una scusa per non fare nulla. Se non abbiamo più la capacità di mobilitare le masse come 15 o 20 anni fa, dobbiamo tornare ad annodare i fili più elementari dell’opposizione all’imperialismo: non spetta a noi decidere chi governerà la Siria. Non perché seguiamo un’idea astratta di diritti umani e non ingerenza (principi che ogni grande potenza usa e disfa a proprio piacimento). Perchè è un diritto che spetta solo ai popoli della Siria che, in questi anni, hanno dimostrato che la guerra in corso è una guerra di aggressione imperialista. In Siria oggi è in corso la lotta tra forze oggettivamente votate all’aggressione e forze momentaneamente votate alla pace. Queste sono parole di Salam Alsharif, del Partito della Volontà Popolare: “Le prime sono rappresentate dal mondo unipolare statunitense, che si trova nella sua fase di decadenza perché le sue basi materiali sono erose. Le seconde sono rappresentate dal mondo multipolare in fase ascendente, in cui la sovranità dei paesi e dei popoli è affermata e l'intervento esterno, soprattutto quando unilaterale, è condannato. Malgrado i disastri provocati dalle forze internazionali della guerra, le forze della pace sono riuscite a scongiurare in Siria lo scenario peggiore, rappresentato dal ripetersi della tragedia libica o irachena”.
Quando il nostro paese si è schierato con la NATO o le coalizioni dei volenterosi - arrogandosi il diritto di regime change in Afghanistan, Iraq e Libia - ha prodotto solo disastri. Disastri per i popoli aggrediti, basta ricordare il terrificante conteggio dei morti in Iraq: da centinaia di migliaia di morti a più di mezzo milione, a seconda delle stime e degli anni presi in considerazione. Questo è quello che succede quando ci assumiamo la responsabilità di proteggere. E non solo: la nascita stessa dell’ISIS, i morti ammazzati negli attacchi in Europa.
Potere al Popolo in questi giorni rilancia giustamente l’uscita dalla NATO, una posizione importante per la costruzione di quella forza internazionale dei lavoratori che sarà il vero contraltare all’imperialismo. Pensiamo che dobbiamo cominciare a dare sostanza a questa posizione. Questa è una proposta per Potere al Popolo, e per tutti quelli che si muovono sul terreno dell’antimperalismo: proviamo a misurare l’efficacia della nostra azione politica, proviamo a misurare quanto saremo in grado di diffondere l’idea e la parola d’ordine che non abbiamo il diritto di decidere per gli altri popoli.