Come è noto, i due punti fermi – indiscutibili e indiscussi – del governo Draghi, i suoi fondamenti, sono la totale adesione all’atlantismo, ossia alla Nato, e all’Unione europea e, quindi, al capitale finanziario transnazionale che la domina. Su tali presupposti il destino del governo Draghi non può che essere segnato.
Innanzitutto vi è la piena adesione alla più potente alleanza militare imperialista di tutti i tempi, che mira a estendere il proprio dominio su scala mondiale. Così, dopo aver portato a compimento la completa dissoluzione delle forze arabe progressiste e antimperialiste, principale ostacolo al predominio globale dopo la fine della guerra fredda, ora lo scontro si concentra nella nuova guerra fredda scatenata contro la Russia e la Repubblica popolare cinese, in quanto la loro alleanza comprendente anche l’Iran e il Venezuela, costituisce il principale ostacolo al nuovo “ordine” mondiale, imperialista e neoliberista.
Tale binomio è anche il motore dell’Unione europea, come ha dimostrato, nel modo più evidente, la presa di posizione ancora più improntata al pensiero unico di quella statunitense, che ha portato l’Ue a porsi a capo della crociata contro ogni forma di messa in questione del diritto di proprietà privata, anche se solo infrangendo questo tabù borghese si potrebbe giungere a una reale e rapida sconfitta della pandemia.
La Nato – alla quale praticamente l’intera Unione europea ha appaltato la propria politica militare e buona parte della stessa politica estera – è sempre più convinta di ritirare le proprie truppe dal Medio oriente e dalla stessa guerra al terrorismo, pur di concentrare sempre più le proprie enormi forze a contrastare Cina e Russia e gli altri paesi che, di fatto, costituiscono il principale ostacolo al mancato incontrastato predominio globale dell’imperialismo. Da qui la crescente enfasi a inquadrare il nuovo impero del male, ovvero il nuovo nemico globale, necessario a far aumentare il sostegno economico alla maggiore alleanza militare della storia – indispensabile per far fronte a una crisi di sovrapproduzione che, con alti e bassi, dura da oltre mezzo secolo – tenendo compatto il fronte imperialista e i suoi alleati, dalle petromonarchie, ai sionisti, dalla Colombia, all’Ucraina, alla Polonia e all’Egitto, veri ultrà della reazione internazionale.
È incredibile come le principali forze populiste italiane, che avevano fatto la loro fortuna fingendo di sostenere una posizione sovranista, si siano pienamente allineate ai diktat del governo Draghi, ovvero l'indiscutibile caposaldo dell’atlantismo ed europeismo. Tale completo tradimento della precedente retorica populista e sovranista ha portato le forze uscite vincitrici dalle ultime elezioni politiche a perdere sempre più consensi a tutto vantaggio dei post fascisti che sono stati, da sempre, i pasdaran dell’atlantismo in Italia.
Così, dopo tutta una serie di esercitazioni militari – sempre capeggiate dalla Nato – le forze delle potenze imperialiste si sono decisamente posizionate in funzione antirussa e anticinese; l’inizio della nuova guerra fredda è stato sostanzialmente sancito dai recenti vertici del G7 e della Nato.
Paradossalmente, persino il successivo vertice fra Biden e Putin è stato inquadrato in tale contesto, dal momento che – come durante la prima guerra fredda decisivo era stato il riavvicinamento alla Cina per isolare il nemico più temibile, l’Urss – oggi si mira a cercare un qualche accordo con la Russia, per contrastare l’avversario considerato maggiormente pericoloso, ovvero la Repubblica popolare cinese. D’altra parte, se la Russia resta il principale ostacolo al predominio internazionale dell’imperialismo sul piano militare, la Cina è divenuta il più significativo avversario dell’occidente liberale dal punto di vista economico e, almeno potenzialmente, anche ideologico.
Ora è quanto mai evidente come, anche nel caso di questa nuova guerra fredda, ad accendere il conflitto siano le potenze imperialiste, visto che i loro principali avversari sono in realtà – dal punto di vista politico, militare e ideologico – costantemente sulla difensiva. Dato di fatto che è, naturalmente, occultato dalla propaganda di guerra dell’imperialismo. Quest’ultima accusa la Russia per la secessione della Crimea dall’Ucraina e per il sostegno offerto all’unico alleato rimasto dal tempo dell’Unione sovietica, ossia la Siria, indispensabile per garantire ai russi un, da secoli imprescindibile, sbocco sul Mediterraneo. Naturalmente la Russia non avrebbe sostenuto la secessione della Crimea e non avrebbe supportato le forze russofone del Donbass se l’imperialismo non avesse rovesciato – con tutti i mezzi necessari, fra cui il pieno appoggio alle forze dell’estrema destra – il governo ucraino legittimamente eletto, non disponibile a rompere con la Russia e a entrare a far parte della Nato.
Discorso analogo vale per la Siria, se l’imperialismo occidentale non avesse cercato con ogni mezzo necessario – compreso il pieno sostegno al terrorismo islamico – di rovesciare il governo filorusso siriano, la Russia non sarebbe certo dovuta intervenire in suo sostegno.
Anche gli argomenti della propaganda rovescista dei paesi imperialisti, necessari a far ricadere sulla Cina le responsabilità della nuova guerra fredda, sono – quanto meno – risibili. Si rimprovera alla Cina il riarmo, in quanto il paese – sempre più posto sottopressione dallo strapotere statunitense – sarebbe divenuto il secondo investitore in armi, naturalmente a una distanza enorme dal primo, cioè dagli Usa. Si rimprovera altresì gli accordi economici della Cina con molti paesi del terzo mondo, che in realtà sono stati resi possibili proprio dalle politiche neocolonialiste e imperialiste del mondo occidentale.
Peraltro, nonostante l’aggressività sempre più smaccata dei paesi imperialisti – che hanno finito per rinunciare ai precedenti obiettivi internazionali, Corea, Cuba, Venezuela e Iran, ritirandosi sostanzialmente da Afghanistan, Iraq e Siria, per concentrare il proprio strapotere militare e ideologico contro la Repubblica popolare – quest’ultima ha fatto di tutto per mantenere un profilo il più basso possibile, cercando di incassare nel modo migliore i sempre più violenti colpi bassi che da anni subisce.
Peraltro la netta distinzione fra aggressori e aggrediti appare evidentissima dalle stesse ideologie utilizzate. Da una parte c’è il rilancio del consueto refrain della crociata per l’esportazione della democrazia la salvaguardia dei diritti umani, contro paesi bollati come autocratici. Un discorso che, naturalmente, dimostra tutta la propria strumentalità in quanto vale esclusivamente nei riguardi di chi, con la propria stessa esistenza, impedisce il pieno e incontrastato dominio a livello internazionale dei paesi imperialisti. Per cui mentre sarebbe un imperativo categorico per i paesi imperialisti “democratici” esportare, con ogni mezzo necessario, democrazia e diritti umani in Cina, Russia, Corea, Cuba, Iran, nessun paese occidentale si è mai sognato di esportare democrazia e diritti umani nelle petromonarchie, che rappresentano i paesi più sfacciatamente antidemocratici e violatori dei diritti dell’uomo.
Da parte di Russia e Cina non solo manca del tutto lo spirito di crociata e la volontà di esportare, con ogni mezzo necessario, il proprio modello – vero o presunto – all’estero, ma ci si batte contro le ingerenze negli affari interni degli altri paesi, base del diritto internazionale, e per un mondo multipolare. Peraltro mentre i paesi imperialisti fanno di tutto per esportare i propri “valori”, in primo luogo proprio in Russia e Cina, oltre che in tutto il resto del mondo, russi e cinesi sostengono di non avere nessun modello da esportare. Anzi, al contrario di quanto avveniva durante la prima guerra fredda, non fanno nulla per contrastare l’egemonia internazionale, in via di estensione anche al loro interno, dei “valori” dei paesi imperialisti. Del resto, mentre questi ultimi sostengano in tutto il mondo oppositori, di qualsiasi tipo, della Russia e della Cina, in particolare quest’ultimo paese si guarda bene dal rispondere a queste continue provocazioni.
Tanto meno, al contrario degli Stati Uniti, Russia e Cina pretendono di fondare su basi divine e religiose la loro volontà di potenza sul piano internazionale. Né sostengono e di fondo credono di stare dalla parte del bene impegnato in una guerra infinita contro il male, rappresentato dai propri antagonisti.
Inoltre, al contrario dei proprio avversari imperialisti “democratici”, si guardano bene dal sostenere il terrorismo e il fondamentalismo religioso internazionale con lo scopo di mettere in difficoltà i propri avversari. Né, tanto meno, mirano a costruire basi militari e a puntare armi atomiche in paesi limitrofi o confinanti con i paesi imperialisti, sebbene questi ultimi facciano esattamente il contrario, a partire dagli Stati Uniti d’America. Né, tantomeno, organizzano un po’ in tutto il mondo (contro)rivoluzioni colorate per rovesciare governi legittimi alleati dei propri avversari sul piano internazionale.
Paradossalmente, poi, sono proprio i paesi imperialisti liberali a violare costantemente le regole del libero mercato, con le proprie politiche protezioniste o, peggio, con gli embarghi e i blocchi economici imposti ai propri avversari e a chiunque non si sottometta. Anzi, è paradossalmente proprio la Repubblica popolare cinese a dover difendere la libertà di commercio sul piano internazionale.
Anche l’uso del linguaggio è indicativo a tal proposito. I paesi imperialisti democratici, a partire dagli Stati Uniti, non si fanno scrupoli a insultare nel modo più pesante i governanti dei paesi con cui si battono a livello internazionale, definendo Putin o Xi Jinping come degli autocrati. Allo stesso modo tutti i mezzi di comunicazione, persino quelli sedicenti comunisti, in occidente definiscono il presidente russo uno zar. Al contrario cinesi e russi si guardano bene da definire imperialisti i leader della Nato, sebbene in questo caso lo siano senza ombra di dubbio. Tutto ciò nonostante Putin e Xi Jinping godano nei loro paesi quasi sempre di una popolarità ben più vasta dei dirigenti dei principali paesi imperialisti.
Indicativa anche l’attitudine opposta della società civile, mentre quella “libera” dei paesi imperialisti è sempre completamente allineata alla propaganda di guerra dei propri paesi contro Cina e Russia – al punto da essere spesso più realista del re – l’“irreggimentata” società civile russa e cinese non solo non denigra i “valori” occidentali e i paesi imperialisti, ma spesso e volentieri è influenzata dalla visione del mondo dei propri avversari.
Prendiamo ad esempio l’arte più popolare, ossia il cinema; mentre nei film occidentali i cattivi sono sempre più spesso russi e cinesi, nei film girati e prodotti in questi ultimi paesi gli imperialisti occidentali non sono mai presentati come cattivi, o nemici da combattere. Anche sul piano del senso comune mentre nei paesi imperialisti è molto diffuso un giudizio ideologico fortemente negativo nei riguardi degli antagonisti internazionali del proprio paese, ciò è enormemente meno diffuso in Russia e Cina. Allo stesso modo, mentre nei festival dei paesi imperialisti si premiano costantemente film soprattutto russi e cinesi che criticano pesantemente i loro governi, sistemi politico-economici etc., il contrario non avviene mai.
Alla luce di tutto ciò è evidente che ogni sincero democratico, anche nei paesi imperialisti, dovrebbe battersi per il multipolarismo contro lo spirito di crociata e la continua intromissione – con ogni mezzo necessario – nella politica interna di altri paesi, in quanto si tratta di capisaldi delle Nazioni Unite, del diritto internazionale e della coesistenza pacifica. Al contrario, spesso nei paesi imperialisti sono proprio i “sinceri democratici” o addirittura i “sedicenti comunisti” a essere in prima linea nella criminalizzazione dei paesi oggettivamente antimperialisti e nel sostegno a ogni sorta di ingerenza in tali paesi, comprese le (contro)rivoluzioni colorate.