La guerra in Ucraina imperversa senza esclusione di colpi, tant’è vero che anche l’opzione nucleare non è più un tabù e se ne sta parlando, forse per abituarci alla terribile idea. È un conflitto combattuto su molteplici piani, da quello militare a quello mediatico (con la relativa propaganda), dai rifornimenti di armi di ultima generazione all’Ucraina alle migliaia di contractor, pardon volontari, che operano da mesi sotto le bandiere dell’esercito ucraino, dalla guerra nel cyberpazio a quella nello spazio vero e proprio, attraverso le ricognizioni satellitari, dall’impiego massiccio di intelligence, alle sanzioni che giocano un ruolo determinante e le cui conseguenze sono patite soprattutto dalle popolazioni dell’Unione Europea (Ue).
La novità è che a fine settembre è avvenuto il sabotaggio dei gasdotti Nord Stream 1 e 2, realizzati per bypassare, transitando per il mar Baltico, paesi non proprio amici della Russia (paesi baltici, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, Ucraina) e per rendere così la fornitura di gas ai paesi europei, soprattutto alla Germania, indipendente da eventuali ricatti di tali paesi. Rinviamo a tal riguardo a questo articolo che risulta tra i più documentati tra quelli usciti.
Pochi sanno tuttavia che Nord Stream 1 era stato chiuso dalla Russia a inizio settembre, per l’impossibilità – dovuta alle sanzioni – di effettuarvi indispensabili manutenzioni, mentre Nord Stream 2, in grado di trasportare 55 miliardi di metri cubi di gas all’anno, non era ancora entrato in funzione, sempre in conseguenza della guerra. Da questi gasdotti dipendeva il rifornimento gas ai paesi Ue a prezzi decisamente convenienti per gli acquirenti, in virtù di vecchi accordi commerciali sospesi all’indomani dell’intervento russo in Ucraina, sempre a seguito delle ben note sanzioni.
Molto è stato detto e scritto sul sabotaggio. Abbiamo letto perfino notizie farlocche di un terremoto o un altro evento geologico del quale gli esperti non riportano traccia alcuna.
Svezia e Danimarca sostengono invece che il sabotaggio del gasdotto Nord Stream sia conseguenza di una precisa trama. Lo scopo, secondo noi, è quello di alimentare ulteriormente l’escalation e di favorire il raggiungimento dei veri obiettivi di questa guerra.
Di sabotaggio, fuori da ogni discussione o ragionevole dubbio, dobbiamo parlare come delle conseguenze ecologiche derivanti dalla fuoriuscita di gas dal Mar Baltico a conferma che in guerra si ricorre a ogni mezzo necessario per la vittoria, incluse le devastazioni ambientali. Così gli atti di guerra contro la Russia vengono effettuati anche utilizzando le sanzioni e il sabotaggio dei gasdotti. Ecco che nella nuova fase del conflitto viene aperto un nuovo fronte in cui entrano in gioco direttamente le infrastrutture energetiche e di comunicazione sottomarine con la messa in atto nel Baltico di una forma di Brinksmanship, una pratica per cercare di ottenere un vantaggio, spingendo in avanti situazioni pericolose.
Ogni mezzo viene utilizzato per allargare la guerra coinvolgendo direttamente i paesi occidentali che già vi sono fortemente invischiati attraverso l’invio delle armi, le sanzioni e le prossime annessioni alla Nato di Finlandia e Svezia.
Occorre però parlare anche di una guerra economica silenziosamente condotta da parte degli Usa contro i paesi dell’Ue. L’obiettivo delle sanzioni e dell’atto terroristico è evidente. Si vuole definitivamente spezzare il legame economico fra Russia e Germania, già compromesso con l’invio di armi all’Ucraina, e far dipendere l’approvvigionamento energetico dei paesi europei da altri fornitori con un duplice vantaggio per gli Usa.
Sul piano economico gli Usa compaiono fra i principali fornitori alternativi di gas e petrolio e quindi sono avvantaggiati dalle sanzioni, in un momento in cui i suoi conti con l’estero sono fortemente deficitari. Inoltre, dato che le imprese statunitensi pagheranno i prodotti energetici nella misura di un ottavo circa di quanto sono costrette a pagare quelle europee, si produrrà un significativo smantellamento dell’apparato produttivo nel vecchio continente, con imprese che si trasferiranno in Usa.
Vi è poi un vantaggio di e di ordine geostrategico, in quanto guerra e sanzioni ostacolano un’integrazione euroasiatica, che gli States temono come il demonio.
La questione energetica è parte attiva di questo conflitto [1]. Del resto si sprecano le fonti sulle dichiarazioni di autorevoli personalità politiche statunitensi che osteggiano quei gasdotti o addirittura ne minacciano la soppressione [2].
Che l’obiettivo non sia solo la Russia lo dimostra il fatto, assolutamente prevedibile, che quel paese non subirà passivamente le sanzioni, ma sta allacciando rapporti commerciali con altri partner come India, Cina e nazioni a loro vicine e quindi saranno principalmente i paesi dell’Ue a dover fronteggiare lo tsunami economico e il disastro sociale, con imprese che senza aiuti chiuderanno i battenti e masse di lavoratori in cassa integrazione. Inoltre il rincaro generalizzato delle bollette farà precipitare nella povertà molte famiglie, costrette a scegliere se mangiare o riscaldarsi. Occorre considerare anche le pesanti conseguenze ambientali dovute all’esigenza di installare rigassificatori o addirittura centrali nucleari.
Altro elemento rilevante è che, al di là delle proclamazioni di solidarietà di facciata, si sta sfaldando l’Ue e ciascun paese cerca soluzioni proprie, con l’Ungheria che si è smarcata esplicitamente e gli altri paesi che cercano di affrontare il problema con sostanziali aiuti alle imprese, aiuti che per le norme europee sarebbero addirittura proibiti in quanto violano il sacro tabù della concorrenza. Ma in questa generosa e affannosa elargizione di aiuti, si salverà chi potrà spendere di più. La Germania, per esempio, ha già annunciato una sorta di megascudo antirincari da 200 miliardi di euro e accentuerà così il suo margine di vantaggio rispetto ai paesi più fragili e indebitati, guadagnando quote di mercato a scapito loro. Fra quelli che potranno metterci molte meno risorse finanziarie, spicca l’Italia.
Gli scenari che qualcuno definiva ironicamente apocalittici si stanno invece rivelando reali, con una escalation militare orchestrata da Biden che avrà ripercussioni negative sulle economie europee, sui paesi in via di sviluppo, che dipendono dalle forniture di grano da Russia e Ucraina, e su un’opinione pubblica occidentale incapace di cogliere lo stretto collegamento tra crisi economica e guerra. Il tutto nel quadro di un conflitto interno all’area dei paesi a capitalismo avanzato, a dispetto della lieta novella di un’Europa e di un blocco occidentale coesi.
E allora la parola d’ordine “fuori l'Italia dalla guerra” diventa realistica e un obiettivo politico per il quale valga la pena di mobilitarsi, contrastando anche la militarizzazione dei territori sull’altare delle mire espansionistiche della Nato e dei suoi obiettivi strategici.
Note:
[1] Si vedano in proposito i numerosi studi disponibili nel sito dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (Ispi), disponibili qui, tra i quali segnaliamo in particolare questo: Ciclo “Russia-Europa: la guerra dell’energia” | Crisi del gas: come superare l’inverno | ISPI (ispionline.it)
[2] Una buona parte sono condensate in questo video.