Quando abbiamo lanciato la necessità di una conferenza dei lavoratori e delle lavoratrici comunisti/e eravamo consapevoli delle difficoltà derivanti dalla frammentazione sia fra gruppi politici e sindacati sia all’interno di ciascuno dei due tipi di organizzazioni nonché dell’atavico vizio di sostenere le scelte di singole organizzazioni a discapito di percorsi unitari e conflittuali.
Il richiamo all’unità è sovente retorico e ideologico, e in tali casi non aiuta a costruire ambiti e percorsi comuni. È a nostro avviso sbagliata la divisione tradizionale tra sindacato e politica; serve superare invece la classica impostazione tradeunionista con sindacati sempre meno conflittuali e propensi a concludere accordi al ribasso in cambio del riconoscimento formale della loro “rappresentatività”.
Nel passato esperienze assembleari hanno scontato i limiti degli stessi comunisti, acuito le divisioni al nostro interno, finendo con lo sposare in toto le posizioni o di una corrente o di un’organizzazione sindacale e alimentando così la conflittualità sempre viva all'interno e tra le varie realtà conflittuali.
Non vogliamo sminuire le differenze di analisi, impostazioni, pratiche sindacali e politiche; fatto sta che nel corso degli anni ci sono stati scioperi di sigla contrapposti o richiami astratti a percorsi unitari oppure è prevalsa una logica perdente come quella di pensare che fosse possibile cambiare le scelte e i percorsi delle organizzazioni sindacali tradizionali.
Sempre negli ultimi anni sono nati coordinamenti che dell'unità facevano il loro cavallo di battaglia ma senza mai raggiungere gli obiettivi prefissati proprio per l’assenza di una analisi aggiornata della fase e per un richiamo astratto e ideologico alla stessa unità.
La pandemia ha acuito le contraddizioni e la crisi da sovrapproduzione. Ogni organizzazione sindacale si è dimostrata inadeguata a riorganizzare un fronte composito e articolato di lotta.
L’autoreferenzialità delle correnti sindacali non è stata certo di aiuto. Sono prevalse diffidenze arcaiche nate negli anni Settanta e Ottanta, mentre l’analisi della fase avrebbe dovuto imporre un salto di qualità che nei fatti non c'è stato e di cui oggi paghiamo ancora le conseguenze.
L’evoluzione tecnologica, quale aspetto del generale sviluppo delle forze produttive, consentirebbe di ridurre il tempo dedicato al lavoro a parità di salario permettendo ai lavoratori di poter godere di più tempo libero e, potenzialmente, eliminare o comunque ridurre i lavori usuranti e pericolosi.
Tuttavia ciò non avviene perché l’interesse del capitale è solo ed esclusivamente l'accrescimento di pluslavoro. L’utilizzo delle nuove tecnologie è funzionale da una parte ad accumulare il plusvalore e dall’altra a sviluppare sistemi di sorveglianza e punitivi per colpire le avanguardie nelle aziende.
Abbiamo ritenuto dirimente la lotta per la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario e di ritmi, quale prospettiva essenziale per ricomporre la classe, dando respiro agli occupati, stabilità e salario ai precari e lavoro ai disoccupati e sottoccupati. Allo stesso tempo siamo consapevoli che le nuove tecnologie hanno reso possibile estrarre in meno tempo la quantità di lavoro necessaria alla valorizzazione del capitale, riducendo i pori e le pause e adibendo i lavoratori al controllo contemporaneo di più dispositivi, con il risultato di non ridurre lo sfruttamento e lo stress da lavoro correlato che invece crescono sempre di più ripresentandosi in forme rinnovate.
Per queste ragioni non è sufficiente rivendicare la riduzione dell’orario. Occorre contrapporci a ogni forma di cottimo e di precarietà che rendono impossibile non solo la lotta per la riduzione dell’orario di lavoro ma contro il capitalismo della sorveglianza e l'aumento dei ritmi e delle mansioni esigibili.
È evidente l'utilizzo a fini capitalistici del telelavoro e soprattutto dello smart working: la tendenza diffusa è quella di introdurre forme di sfruttamenti che equivalgono al lavoro a cottimo che separano e isolano i lavoratori e le lavoratrici, rendendo problematica la loro socializzazione e aggregazione. Le organizzazioni sindacali si accontentano di rivendicare la regolamentazione dello smart working ma nulla fanno per contrastare la mancata erogazione di innumerevoli istituti contrattuali che ha determinato la riduzione del potere di acquisto dei salari di quanti sono utilizzati nella cosiddetta modalità agile.
Siamo convinti che la vecchia parola d'ordine del blocco degli straordinari sia ancora valida, ma al contempo prendiamo atto che la perdita del potere di acquisto e la stessa organizzazione del lavoro abbiano reso quasi obbligatorio il ricorso allo straordinario stesso. Senza dimenticare poi che alcuni contratti nazionali hanno da tempo obbligato la forza-lavoro ad andare oltre i limiti contrattuali dell’orario settimanale, su richieste aziendali considerate incontestabili.
Occorre anche contrastare la diminuzione dei salari reali, e non solo di quelli nominali, così come rivendichiamo la necessità di intensificare la lotta per il salario sociale e unire la classe lavoratrice nella lotta per il salario diretto, il salario indiretto (servizi sociali a prezzi gratuiti o politici) e differito (pensioni e Tfr).
La lotta per il salario oggi abbraccia ampi settori di lavoratori apparentemente “indipendenti” costretti, per lavorare, ad aprire Partita Iva trasformando la subordinazione in falso lavoro autonomo. La deregolamentazione delle leggi in materia di lavoro, l'attacco condotto dal padronato negli ultimi anni ha permesso la perdita di tutele e diritti collettivi ed individuali.
La stessa salute e sicurezza sul lavoro è divenuta una variabile dipendente dai profitti e non basta applicare normative che sono costruite ad arte per essere aggirate.
Ogni anno muoiono centinaia di operai e operaie, aumentano i contagi nei luoghi di lavoro, si presentano nuove malattie professionali, alcune delle quali devono attendere anni prima di essere riconosciute. I capitalisti non investono in sicurezza e salute sui luoghi di lavoro, la stessa nozione di benessere organizzativo è funzionale al pieno funzionamento della macchina lavorativa del capitale e nel frattempo le macchine e le tecnologie aumentano sempre più i ritmi attraverso il sistema degli algoritmi.
Serve quindi un deciso cambio di rotta. Abbiamo provato a incontrare alcune vertenze aperte come quella dei meccanici con lo sciopero generale della categoria. Nell’occasione abbiamo redatto e diffuso un “volantone” distribuendolo nel corso delle manifestazioni territoriali.
Il nostro obiettivo è la ricomposizione della classe senza la quale non sarà possibile avanzare alcuna rivendicazione. Il nostro obiettivo finale resta quello di sempre: il controllo da parte dei lavoratori dei ritmi e della produzione rilanciando la prospettiva dei Consigli e la collaborazione attiva del sindacalismo di classe e conflittuale.
È dirimente il rifiuto di quel collaborazionismo sindacale grazie al quale è stato sminuito il contratto nazionale per favorire invece il secondo livello di contrattazione attraverso un variegato sistema di deroghe che ha indebolito il potere contrattuale.
Siamo consapevoli di non essere autosufficienti ma al contempo un ambito, come quello della conferenza dei lavoratori e delle lavoratrici comunisti/e, resta per noi un percorso imprescindibile per unire le istanze sindacali e sociali a quelle politiche a partire dalle azioni di contrasto alla sempre maggiore repressione nei luoghi di lavoro.
Non abbiamo la sfera di cristallo ma siamo consapevoli che la conferenza possa essere strumento importante per unire più istanze e far avanzare il conflitto senza cui non ci sarà alcuna conquista e tutela reale.
Da una prima, partecipata, conferenza siamo usciti con gruppi di lavoro che hanno elaborato proposte di piattaforme che sottoponiamo al giudizio dei lavoratori in un prossimo incontro che si terrà per via telematica sabato 21 novembre alle ore 16.00. Per informazioni e per avere il link alla riunione: oppure al gruppo Facebook Conferenza nazionale del lavoratori e delle lavoratrici comunisti.