Chi ha ucciso Karl Marx?

Se la crisi sconfessa le teorie liberiste, meglio dare la colpa a Marx e Keynes.


Chi ha ucciso Karl Marx?

Se la crisi sconfessa le teorie liberiste, meglio dare la colpa a Marx e Keynes.

di Ascanio Bernardeschi

“Non riconosco più le ragioni per cui ho demonizzato il capitale. Il mostro che fagocita tutto? Il Leviatano che succhia l'anima e il sangue dei lavoratori? Sconfesso quest'analisi. Il capitale è fatto dagli uomini, dalla loro intelligenza, dalla loro fantasia, dalle loro fatiche; è il risultato del lavoro, è ciò che gli uomini hanno fatto, è quanto di buono ci circonda e ci aiuta ad abitare il pianeta, a dominare una natura spesso ostile. Perciò è bene che chi ne è il detentore lo possa stabilmente possedere e ne tragga il giusto frutto” (Karl Marx, luglio 2015)

Avrei dovuto aspettarmelo, dal momento che l’Autore [1] – si legge nella quarta di copertina – è un docente universitario che ha iniziato la sua carriera alla Bocconi, luogo in cui si plasmano i cervelli in grado di produrre i disastri culturali e di giustificare quelli materiali che sono davanti agli occhi di tutti. Però il titolo era troppo accattivante, Marx & Keynes. Un romanzo economico, e l’invito nella stessa quarta di copertina prometteva “rigore scientifico, originalità narrativa, humor e suspense” con tanto di “finale imprevedibile”. Maledetta la mia curiosità! Così nello stand dei libri della festa di Rifondazione, non ho resistito alla tentazione di portarmi a casa il libro, per la modica cifra di 12 euro.

Non sono di palato fino, ma già nel primo capitolo mi ha infastidito un’affermazione secondo cui Marx avrebbe preferito il giornalismo all’accademia. Chi scrive della sua vita, sia pure in forma romanzata, dovrebbe sapere che l’attività giornalistica per quotidiani borghesi fu per il Moro un ripiego per mettere insieme il pranzo con la cena, visto che, dopo la laurea, pensava di ottenere la libera docenza a Bonn, dove insegnava il suo amico Bruno Bauer. Ma Bauer venne allontanato dall’Università. Non si schiuse così la carriera accademica di Marx, che passò al giornalismo diventando redattore della militante “Gazzetta renana”, prontamente interdetta dalla censura prussiana nel 1845.

Mi direte che un romanzo è anche frutto della fantasia. Ma allora perché promettere rigore? Meno sorprendente è un’altra affermazione di dolore attribuita al Marx fantastico per avere avuto come eredi/mostri Stalin, Mao, Che Guevara e Castro. Una dose di anticomunismo da parte di un bocconiano sta nel conto…

Ormai preparato al peggio, mi ha solo divertito un’altra frase messa in bocca al Moro: “ho sempre pensato che un’idea possa avere la forza di cambiare il mondo”. Ma come? Non aveva egli criticato in maniera netta l'idealismo e perfino le sue modiche tracce presenti nelle opere di qualche materialista non del tutto coerente? Non aveva detto che è la realtà materiale che determina le idee e non viceversa? Qui veramente avrei dovuto chiudere il libro. Ma maledetta la mia curiosità…

Il romanzo si regge sull'espediente di far incontrare Marx e Keynes in vari luoghi del mondo nell'epoca contemporanea, a partire dal maggio 2015. Non è solo un espediente narrativo, ma è funzionale a dichiarare che i fatti di oggi hanno smentito le loro teorie e anche a far dimenticare al lettore poco attento che certe “scoperte” di Keynes erano state anticipate, sia pure con formulazioni diverse, da Marx. Per esempio, si narra una difficoltà di quest'ultimo a comprendere la critica keynesiana della teoria quantitativa della moneta, quando invece lui stesso l'aveva enunciata per primo.

Assistiamo dunque a una risurrezione di Marx e Keynes che è anche una conversione del primo alle ragioni del capitalismo. Per la verità il romanzo non ci spiega come possa essere avvenuto questo pio cambiamento di fede proprio nel momento in cui l'evidenza di una grande crisi mondiale conferma che le sue analisi erano azzeccate; questa acquisita santità è un dato di partenza che evidentemente fotocopia solo l'opinione in merito del nostro Professore.

L'elenco degli spropositi messi in bocca con “rigore scientifico” a Marx e Keynes, rappresentati oltrettutto come estremamente vanitosi, sarebbe troppo lungo. Vi propongo un succinto campionario: viene stravolto il pensiero marxiano sulle religioni mediante un lettura banale della Questione ebraica; la legge della caduta tendenziale del saggio del profitto viene fatta coincidere con la previsione di un ineluttabile crollo del capitalismo; a Keynes viene attribuita l'opinione che la causa della crisi sia solo finanziaria, mentre di Marx si dice che non possiede gli strumenti per capirla, dimenticando i suoi passi sul capitale fittizio; viene capovolto il rapporto causa-effetto tra crisi finanziaria e crisi economica; la distinzione tra lavoro produttivo e improduttivo viene confusa con quella tra lavoro e non lavoro; sono completamente ignorati i nessi tra produzione e distribuzione, trattati come due sfere completamente separate e governabili separatamente; si parla di “valore del lavoro” - che Marx esplicitamente dichiarò come un non senso – anziché di valore della forza-lavoro; viene effettuata un'impossibile comparazione quantitativa tra valori d'uso; possiamo leggere anche di una sottovalutazione da parte di Marx del ruolo del danaro e della moneta…

Potrei continuare ma non è il caso. Piuttosto mi preme violare una regola fondamentale che dovrebbe essere seguita quando si recensiscono i romanzi gialli: non rivelare il finale. La violo di modo che i compagni, a differenza di me, possano resistere alla tentazione di sprecare inutilmente dodici euro tondi.

Discutendo fra di loro in più incontri i due illustri personaggi giungono a convenire che il bene risiede nella tecnologia e il male non risiede nel capitale e nel profitto, ma nel denaro. Quindi non si tratterebbe di abolire il capitalismo ma il denaro e la moneta. Per la verità le mie letture giovanili mi avevano insegnato che per Marx il capitale assume la forma sia di denaro (D) che di merce (M) e che è cruciale, per la stessa esistenza del capitalismo, il processo D-M-D' con cui si passa dalla prima forma all'altra, per poi ritornare nuovamente al denaro, questa volta aumentato. Come farebbe ad esistere il capitale senza denaro? E come il suo accrescimento, detto anche volgarmente profitto? Mi pareva anche di aver capito che per Marx l'insieme dei mezzi di produzione (materie prime, macchine, impianti ecc.), sono sempre esistiti, anche in società in cui non c'era traccia di capitale, ed esisteranno sempre. Tali mezzi assumono la forma sociale, storicamente determinata, di capitale proprio quando sono impiegati, insieme alla forza-lavoro acquistata come una merce, per dare linfa alla continua metamorfosi tra le sue varie forme M e D ed alla continua accumulazione di valore. Difatti Marx irrideva gli economisti che confondevano il contenuto materiale del capitale con la sua forma sociale e che lo facevano perché consideravano, come il nostro Professore, il capitalismo eterno. Alla modernissima e innovativa Bocconi, evidentemente, siamo ancora in epoca premarxiana.

Sono divertenti anche i passaggi in cui i due personaggi sognano un mondo armonico, in cui, scomparso il denaro, la ricerca del profitto da parte dei capitalisti avviene favorendo il benessere sociale, il rispetto dell'ambiente. Insomma sembra possibile che il capitalismo non sia conseguente con il suo movente unico di accumulazione di denaro e, forse, si strizza astutamente l'occhio a certe teorie “di sinistra” alla moda, che ritengono possibile promuovere la giustizia sociale e salvare l'ecosistema senza mettere in discussione il capitalismo.

Ma proseguiamo con il “rigore” immaginoso del romanzo. Il problema che si pone ai due è: come abolire il denaro senza creare caos? Semplice. Basta introdurre una moneta unica mondiale, dopo di che il passaggio a un capitalismo senza moneta sarà impercettibile. Non chiedetemi di più, perché questo è tutto quello che l'Autore ci dice.

A parte il finale a sorpresa.

Un tipo che seguiva i due da tempo, in un momento di panico lascia svolazzare una pila di carte che teneva in braccio, permettendo loro di leggerne una. Era la prima pagina del romanzo e il tipo era evidentemente il nostro Bocconiano. Veramente fantasioso!

Ora, compagni, sapete che non dovete sconvolgervi per la citazione in epigrafe. Avete capito di chi sono le parole. E scusatemi dello scherzo da prete per averle riportate senza aver indicato subito l'assassino. Ma un thriller è un thriller.

Note:

[1] Pierangelo Dacrema, Marx & Keynes. Un romanzo economico, Jaca Book, 2014, pp. 238, € 12,00

03/10/2015 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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