Le istituzioni sono luoghi di conflitto!

Astensione. Anche alcuni comunisti l’hanno praticata! Non è altro che una vecchia pratica rilanciata dai servi odierni del capitalismo corrente per imperare su un elettorato deluso, che, anche se leggermente minoritario, va ancora a votare.


Le istituzioni sono luoghi di conflitto!

Introduzione della Redazione di LCF. Riteniamo che questo articolo possa contribuire a ragionare insieme sulla mancanza di un progetto politico della sinistra di classe in grado di incidere nella società e nel processo elettorale. Pur condividendo con l’autore il rifiuto dell’opzione astensionista ne diamo una lettura leggermente differente. Partecipare alle elezioni è senz’altro un passaggio utile per rilanciare un progetto politico per il cambiamento di società, e tanto più se si è minoritari, come oggi, è dannoso per il raggiungimento del proprio fine chiamarsene fuori. Riteniamo che il problema centrale, invece che l’assenza di candidati della classe nel panorama politico esistente, sia l’assenza di un progetto politico di classe, non minoritario ma credibile tra i lavoratori, che sia in grado di incidere nel processo elettorale. Quale soluzione può essere adatta in questa fase per mettere da parte la frammentazione politica nella sinistra di classe, arrivata al paradosso che certi compromessi politici vanno bene in Francia ma non nel proprio Paese, e dare l’avvio a un progetto politico condiviso?

Una moda politica? Dico subito di sì. L’astensione al voto, oggi, è anche una moda politica, praticata da alcuni comunisti, naturalmente condita con tutte una serie di articolazioni pseudo-ideologiche e argomentazioni varie comunque politicamente infantili oppure fasciste. Quale obiettivo ha l’astensione al voto? Un solo obiettivo quello di fare in modo che nelle assemblee elettive istituzionali ci sia sempre una maggioranza corposa alle dipendenze dei Poteri forti, siano esse delle assemblee locali, nazionali o che sia quella del parlamento europeo. Ormai è chiaro che le assemblee elettive non si riuniscono più in aule che in passato erano denominate di pensiero. In questa fase sono dei centri o degli aggregati, certo eletti, di intermediazione tra le varie forze politiche rappresentate. Queste forze politiche si autogestiscono tra di loro, con una propria agenda, programmando i lavori, del parlamento o dei Consigli comunali-regionali, in funzione dei settori di competenza, con gradi di approvazione decisi sempre da loro e di astrazione ordinaria dalla realtà dei problemi della società che rappresentano a livello istituzionale. 

Sono state altre fasi quando le assemblee elettive erano dei luoghi di conflitto in senso dialettico dove si affrontavano opposte visioni di interessi socio-economici differenti. Il conflitto, in sé, e nelle assemblee elettive non è da intendersi, come viene ordinariamente presentato in questa fase o illustrato dai media, come uno scontro fisico. Questa pratica di conflitto con scontri fisici è sempre stata inefficace per migliorare le condizioni socioeconomiche dei ceti popolari e avvantaggia sempre i Poteri forti. L’ordinaria gestione delle assemblee elettive non produce mai niente di concreto per le classi subalterne e anzi svolge un ruolo primario per cancellare diritti acquisiti, non modificando mai nulla a vantaggio dei ceti subalterni ma avvantaggiando sempre i circoli della borghesia d’ordine. Ecco perché è necessario che rappresentanti di operai e ceti popolari siano eletti nelle assemblee elettive e istituzionali, per avere rappresentanza in modo che si rilanci il conflitto, quello dialettico, e non quello in corso  basato sullo scontro verbale-fisico. Bisogna che operai e ceti popolari si organizzino, almeno formando liste di candidati quando ci sono le elezioni.  

In Italia la storia delle astensioni al voto non ha avuto alti e bassi ma dagli anni Settanta è gradualmente aumentata anche in relazione alle varie fasi politiche. Certo il cittadino in generale non ci crede più, o quasi, che i cambiamenti socioeconomici possano avvenire attraverso il voto, ma personalmente ho opinione diversa. Alle recenti elezioni del 9-10 giugno per le elezioni del parlamento europeo soltanto il 49,69% degli aventi diritto è andato a votare e con questa articolazione:

Circoscrizione I, Italia Nord-Occidentale, 55,09%;

Circoscrizione II, Italia Nord-Orientale, 53,96%;

Circoscrizione III, Italia Centrale, 52,52%;

Circoscrizione IV, Italia Meridionale, 43,72%;

Circoscrizione V, Italia Insulare, 37,77%.

Come si vede, al di là delle aree geografiche, l’affluenza alle urne è stata bassa e la differenza tra il nord-ovest e isole è stata del 17,32%. L’astensione è stata grande e rappresenta un dato preoccupante, anche se concorrono fattori geografici in quanto nel nord, in generale, ma in particolare a Milano e nella Lombardia, ci sono maggiori processi politici in campo e di conseguenza ci sono più attivisti impegnati. Queste attività si traducono in un'affluenza alle urne maggiore. Tra il sud e il nord la differenza è notevole ed è dovuta in prevalenza al fatto che i flussi di emigrazione dal sud verso le regioni del nord e anche verso l’estero sono alti e non pochi migranti hanno ancora la residenza nelle regioni del sud e per varie motivazioni non affrontano viaggi soltanto per votare. Al di là dei numeri però c’è l’aspetto politico perché, al di là degli impedimenti personali, non andare a votare è una scelta politica che è legata al proprio giudizio sulla gestione politica delle istituzioni. Pesa che nella realtà pochissimi elettori hanno qualche volta parlato con un parlamentare che hanno eletto e se è un europarlamentare quasi nessuno ci ha mai parlato, di massima lo si conosce per foto o in video attraverso le televisioni o la rete. È chiaro che la comunicazione tra elettori ed eletti è affidata ai media, i quali fanno le loro scelte non in condizioni d’incertezza ma in base ai programmi politici o in relazione al ruolo politico del candidato, in funzione degli obiettivi che le loro aziende si propongono. 

In generale quasi mai un parlamentare risponde alle mail che riceve e la motivazione, a volte dichiarata e non divulgata dai media, è perché ne ricevono migliaia e si decide di non rispondere a nessuno. Quindi il voto di un cittadino si volatizza nel momento in cui viene messa la scheda elettorale nell’urna. Ecco allora che un quadro di ragioni si delinea con semplici osservazioni per le quali il cittadino, che è solo nel deserto della politica attuale, decide di non andare a votare perché andarci o no sortisce lo stesso effetto, che è quella della indifferenza istituzionale e dei politici professionisti; inoltre nella fase in corso le centrali della politica e  il governo in carica non considerano il cittadino come un soggetto che ha dei diritti sanciti dalla Costituzione, ma soltanto come un potenziale elettore che deve approvare o meno. Se va a votare oppure non ci va è indifferente per le sorti dei business soprattutto legati ai mercati finanziari. La partecipazione alla politica dei cittadini-elettori oggi si è completamente azzerata e il loro coinvolgimento è ostacolato non da barriere fisiche ma dalle politiche in campo indirizzate verso i profitti, mentre i ceti subalterni sono continuamente penalizzati. Al riguardo è da considerare che gli strumenti pubblici di comunicazione, come la Rai ad esempio, sono impegnati prevalentemente ad oscurare i problemi reali e la loro organizzazione è finalizzata a garantire la messa in onda degli spot pubblicitari, che rilanciano continuamente l’acquisto di prodotti vari che spesso non interessano.

Questo è un po’ il quadro entro il quale l’astensione dal voto ha la sua gestazione e la sua formazione fino a diventare, come è oggi, una linea politica corposa con articolazioni a livello geografico, viaggiando dialetticamente attraverso le seguenti interpretazioni maggiormente accreditate: “ammazza è tutta una razza” oppure “destra e sinistra sono la stessa cosa”. Queste due articolazioni di pensiero sono ovviamente le più diffuse e anche le più evidenti nell’ambito dei dibattiti che si fanno quando si discute della politica e quando capita che i temi in discussione siano le votazioni del momento. Di conseguenza chi non va a votare assume un giudizio, ampiamente condiviso ed espresso sia nella prima che nella seconda sentenza, che i politici sono tutti uguali e hanno in prevalenza obiettivi personali da raggiungere; tuttavia la seconda, che è più raffinata, è stata confezionata nel tempo in aree politiche che comunque parteggiano per la destra, anche se con qualche distinguo, soprattutto perché coloro che l’hanno pronunciata si ritengono di essere né di destra e né di sinistra. Spesso però si è notato che sono simpatizzanti di Benito Mussolini.

La realtà della politica esclude il coinvolgimento diretto dei cittadini verso le istituzioni. Le assemblee elettive sono precluse agli operai, agli operatori dei Call Center, agli impiegati e a volte anche a qualche tecnico che ragiona con la sua testa. Quando a volte sono candidati non vengono votati perché sono boicottati dai componenti della lista stessa nella quale si sono presentati o, spesso, come accade regolarmente non vengono messi in lista, anche se, a livello locale, spesso però ci sono; tuttavia questi ceti sociali che hanno bassi redditi non hanno strumenti di comunicazione disponibili con il corpo degli elettori proprio a causa delle limitate risorse finanziarie, che sono necessarie per pagarsi un minimo di propaganda, e prendono voti soltanto nell’ambito dei circuito dei famigliari e amici, circuito sempre ombreggiato da quelli più ampi di candidati che investono capitali propri. Così, la loro funzione si esaurisce portando soltanto un po’ di voti al candidato sindaco di riferimento che è quasi sempre un avvocato o un commercialista oppure un insegnante/docente universitario o un imprenditore liberista.

Cambiare questi modi di fare politica è impossibile o quasi, ma è chiaro che il rischio che le elezioni non avranno più peso politico è reale. Ci sono già molte evidenze al riguardo, tra le quali quella della diminuzione dell’affluenza alle urne è la più evidente, e secondo me, anche la più importante. Questa disaffezione dalla politica è come un tappo che una volta saltato completamente fa venire fuori con violenza tutti gli altri obiettivi che i circoli del capitalismo corrente vogliono raggiungere. La prima classe di questi obiettivi è che i cittadini e i loro rappresentanti - quando vengono eletti s’intende - non debbono mai rompere le uova nel paniere a quelli che sono i business che si concretizzano nelle istituzioni, siano esse locali, regionali, nazionali o europee. Business e istituzioni sono nell’insieme la frontiera della democrazia, quella borghese sia chiaro, che viene continuamente rilanciata per assicurare profitti sempre in aumento; mentre per i lavoratori si tratta di far valere, quando non dà fastidio, soltanto delle opzioni che debbono essere quasi vuote, in modo da non mettere mai in crisi l’obiettivo primario del capitalismo, ovvero quello di fare profitti sempre più grandi; mentre il costo del lavoro deve essere sempre quanto più basso possibile per assicurare soltanto un minimo di sussistenza ai lavoratori, ma solo quanto basta per coprire i consumi primari.   

28/06/2024 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

Condividi

L'Autore

Felice di Maro

La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

Newsletter

Iscrivi alla nostra newsletter per essere sempre aggiornato sulle notizie.

Contattaci: