L’anti-Goebbels: marketing e nazismo

In una società basata sul consumo, il marketing ha logiche impositive paragonabili alla propaganda totalitaria, non evidenti solo perché più subdole.


L’anti-Goebbels: marketing e nazismo

Anche se la tendenza generale è quella di associare la propaganda nazista alla propaganda politica in senso lato, in realtà i precetti di Goebbels sono indiscutibilmente affini anche alla logica pubblicitaria apparentemente più ingenua. Dunque, cosa possono avere in comune il marketing e il nazismo? Molte più cose di quanto non si direbbe a prima vista. 

La parola “marketing” può essere tradotta in italiano con “commercializzazione”, “mercantilistica”, “mercatologia” [1]. Da ciò si evince facilmente che gli elementi principali qui chiamati in causa sono due: la merce e il commercio di questa. Il suo scopo consiste nel saper presentare al consumatore, nella maniera più funzionale possibile, il prodotto che il consumatore stesso presume di dover desiderare. La questione, perciò, non si basa tanto sui bisogni del compratore ma sul suo desiderio di possedere la merce commercializzata. Ciò che però dobbiamo notare è che tale desiderio, instillato da tecniche ben precise, è un desiderio affatto proprio (originale) del soggetto, bensì è il risultato di un processo che lo preconfeziona e lo serve al malcapitato fruitore sotto forma di libera scelta. Un preconfezionamento, questo, che ricorda da vicino quello chiamato in causa da G. Anders ne L’uomo è antiquato, quando scrive che: “Un seguace di Hitler che avesse dichiarato: «il mondo è una mia rappresentazione», sarebbe stato inconcepibile. E non soltanto perché, in quanto uomo di massa, prendeva la sua rappresentazione per il suo mondo, ma perché ciò che egli considerava «mondo» era la rappresentazione di un altro che gli veniva recapitata a domicilio” [2]. 

In guisa simile a quanto letto sopra, possiamo dire che la scelta libera e personale del consumatore non esiste punto, perché ciò che il consumatore crede essere il suo desiderio è in verità il desiderio di un altro che gli viene “recapitato a domicilio”. Infatti, lo scopo del marketing, che segue la volontà cieca del capitale di impinguarsi, non è affatto proporre ma imporre. Il prodotto, anche se in apparenza è un elemento neutrale, è qualcosa che viene in realtà falsamente proposto e subdolamente imposto al consumatore. L’imposizione acquista quindi una forma mascherata, innocua, travestita di espressioni falsamente amichevoli, ed atta a porre in essere l’unica ragione di vita del marketing stesso: contribuire attivamente al profitto del capitale. Anche se l’imposizione in questione non segue il metodo brutalmente coercitivo del regime nazista, essa è comunque frutto dell’insegnamento di ciò che il fondatore della propaganda ha inventato per istillare nel cuore e nelle menti dei tedeschi la parola Führer e l’ideologia della razza – vera e propria merce politica, l’unica possibile.

  1. Doob nel suo saggio del 1950, Goebbels: i principi della propaganda, ha estrapolato dagli scritti del nazista le regole fondamentali per una propaganda politica infallibile che vale la pena riportare integralmente [3].
  2. Propagandist must have access to intelligence concerning events and public opinion.
  3. Propaganda must be planned and executed by only one authority.
  4. The propaganda consequences of an action must be considered in planning that action.
  5. Propaganda must affect the enemy’s policy and action.
  6. Declassified, operational information must be available to implement a propaganda campaign.
  7. To be perceived, propaganda must evoke the interest of an audience and must be transmitted through an attention-getting communications medium.
  8. Credibility alone must determine whether propaganda output should be true or false.
  9. The purpose, content and effectiveness of enemy propaganda; the strength and effects of an expose; and the nature of current propaganda campaigns determine whether enemy propaganda should be ignored or refuted.
  10. Credibility, intelligence, and the possible effects of communicating determine whether propaganda materials should be censored.
  11. Material from enemy propaganda may be utilized in operations when it helps diminish that enemy’s prestige or lends support to the propagandist’s own objective.
  12. Black rather than white propaganda may be employed when the latter is less credible or produces undesirable effects.
  13. Propaganda may be facilitated by leaders with prestige.
  14. Propaganda must be carefully timed.
  15. Propaganda must label events and people with distinctive phrases or slogans.
  16. Propaganda to the home front must prevent the raising of false hopes which can be blasted by future events.
  17. Propaganda to the home front must create an optimum anxiety level.
  18. Propaganda to the home front must diminish the impact of frustration.
  19. Propaganda must facilitate the displacement of aggression by specifying the targets for hatred.
  20. Propaganda cannot immediately affect strong counter-tendencies; instead it must offer some form of action or diversion, or both.

Analizzando una per una le regole succitate ci rendiamo conto che il principio che vi sottende è, né più né meno, l’antenato concettuale di tutte le strategie di marketing di cui il capitalismo si serve per vendere e produrre merci. Non essendo però questa la sede adatta per tale operazione, è sufficiente qui gettare lo sguardo solo su alcune. “To be perceived, propaganda must evoke the interest of an audience and must be transmitted through an attention-getting communications medium”; la propaganda, cioè, deve evocare l’interesse del fruitore, utilizzando un mezzo di comunicazione che già di per sé attiri l’attenzione. Chissà in quanti corsi di strategie pubblicitarie e simili il concetto espresso in questa frase è stato sbandierato senza immaginare che fosse figlio della mente di uno degli uomini più spietati della storia. Infatti, se non fosse perché le ha concepite Goebbels, queste regole potrebbero benissimo – con qualche piccolo ritocco – abitare i manuali di marketing più agguerriti. “Propaganda may be facilitated by leaders with prestige”; chi meglio di una figura carismatica, magari il capo di una importante squadra di calcio, può sponsorizzare la merce che il capitale impone al mercato? Anche le regole che a prima vista sembrerebbero aliene al mondo della sponsorizzazione, ad una attenta analisi, mostrano la loro stretta correlazione con le strategie da quest’ultima impiegate: “material from enemy propaganda may be utilized in operations when it helps diminish that enemy’s prestige or lends support to the propagandist’s own objective”; non è forse vero che gli uomini ai vertici delle grandi aziende, o più platealmente delle grandi multinazionali, venderebbero le loro madri per carpire i segreti delle concorrenti e ottenere qualunque cosa possa portare a una loro svalutazione sul mercato? “Black rather than white propaganda may be employed when the latter is less credible or produces undesirable effects”; e ancora, non è forse vero che quando la credibilità di una data azienda dominante, o di un dato settore, inizia a venir meno, allora questa azienda o quel settore attingono dalla propaganda nemica pur di acquisire gli strumenti per risollevare la propria? 

Neanche quando L. Doop riporta chiaramente che “propaganda must be planned and executed by only one authority” il pensiero di Goebbels si allontana dal principio fondamentale che anima il marketing sin nel profondo: al di là delle lotte intestine fra le multinazionali e fra le aziende, ciò che in definitiva gli interessa è solo adempiere al dovere che l’autorità economica suprema (il profitto) gli ha ordinato, ovverosia, dare voce alla volontà del capitale di possedere tutto tramite la vendita di tutto! Non è forse vero che la propaganda capitalistica non accetta – e impedisce – che la sua acerrima nemica (“la propaganda” ambientalista) proferisca parola? Non è forse evidente a tutti che, se potesse, la prima farebbe sparire dalla faccia della terra la seconda senza pensarci un solo attimo? 

Quelle fin qui analizzate sono solo alcune delle regole che compongono questa sorta di manifesto programmatico enucleato dai carteggi di Goebbels; ma il lettore attento avrà già intuito che pur continuando con la lettura delle rimanenti non si caverebbe altro che un’inquietante e indubbia affinità con i metodi utilizzati dai pubblicitari professionisti.

Si direbbe dunque che il capitalismo (prima quello anglo-americano e adesso quello globale) abbia fatto tesoro del lascito nazista. Riconoscendo la funzionalità della sua propaganda – sia dal punto di vista psicologico che, di conseguenza, dal punto di vista economico – il capitalismo ha ben interiorizzato i principi di Goebbels e li ha fatti, a pieno titolo, propri, spacciandoli addirittura per una invenzione originale. Il fondo spietato che animava la propaganda nazista e quello che mette in moto le dinamiche dei funzionari del capitale non sono che la medesima cosa: la volontà di sottomettere l’altro al proprio dominio tramite l’imposizione (più o meno coatta) di una logica totalitaria. Per tali ragioni, chi oggi avverte la necessità di un cambio di rotta, chi riconosce il marciume del linguaggio stereotipico del cosiddetto advertising – che ammalia le menti più deboli e avvezze alla logica del consumo indiscriminato – può a buon diritto essere considerato l’anti-Goebbels. Quest’ultimo è colui che riconosce il malsano alla base della logica speculativa pubblicitaria, non ovviando mai agli obblighi che la propria onestà intellettuale gli impone.

In definitiva, ogni lettore attento, nel momento in cui analizza senza pregiudizio ciò che si cela dietro le tecniche degli spot pubblicitari, si trasforma nell’anti-Goebbels, in quanto smaschera i mostri esistenti dietro le famiglie felici della televisione e dietro l’ideologia spietata delle multinazionali, le quali ingannano il consumatore tramite mezzucci psicologici atti a farlo sentire migliore di un altro o meno in colpa con se stesso – informandolo, per esempio, che lo 0,0 ecc. % del ricavato del guadagno va ai bambini poveri dell’Africa o alla lotta contro la deforestazione dell’Amazonia e così via [4]. L’anti-Goebbels non è più l’individuo ingenuo che ingurgita senza fiatare il mantra del consumo ma è il soggetto politicamente consapevole che si sbarazza dell’ideologia dominante (Amazon, Netflix e via dicendo) e ritorna a Marx più convinto che mai

 

Note:

[1] Cfr. https://it.wikipedia.org/wiki/Marketing

[2] Anders, G., L’uomo è antiquato I. Considerazioni sull’anima nell’epoca della seconda rivoluzione industriale [1956], Bollati Boringhieri, Torino 2007, p 169.

[3] Doob, L.W., The Public Opinion Quarterly, Vol. 14, No. 3, Oxford University Press on behalf of the American Association for Public (Autumn, 1950), pp. 419-442.

[4] Cfr. S. Žižek, La nuova beneficenza dei capitalisti in https://www.internazionale.it/opinione/slavoj-zizek/2010/10/24/la-nuova-beneficenza-dei-capitalisti

19/03/2021 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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