Come sappiamo, le idee, le concezioni del mondo sono importantissime, perché si possono impiegare come armi per far sì che gli agenti sociali interiorizzino l’ordine sociale esistente, i suoi valori, le sue regole. Questa impostazione non appartiene solo al marxismo, che certo ha stabilito una stretta correlazione tra sistema economico-sociale e le istanze sovrastrutturali [1]. È noto che la questione (struttura/sovrastruttura), cui dedicheremo qualche parola costituisce uno dei nodi teorici più rilevanti del marxismo, i cui fautori ne hanno dato numerose interpretazioni, che vanno dal determinismo più rigoroso all’idea dell’autonomia di un certo sistema di idee. Credo che la posizione che si prende su questo tema costituisca addirittura un discrimine tra chi è marxista e chi non lo è, nonostante si professi tale.
Sicuramente il fatto che negli ultimi decenni si sia trascurata la nozione di ideologia sostituendola con la nozione di cultura di matrice antropologica sta a significare che si intendono sganciare le idee dal loro substrato sociale, spiegando per esempio le differenze di classe con differenze puramente culturali. Si pensi, per esempio, al problema degli immigrati, presente non solo in Europa ma anche nell’America centrale, che di fatto costituiscono il sottoproletariato, ma che sono presentati come individui diversi da noi solo per determinati connotati etnici e culturali. In definitiva, l’abuso del termine cultura da parte dei mass media ha imposto un approccio puramente culturalista ai fenomeni sociali, marginalizzando sempre più la visione in termini di classe che è quella che dobbiamo pienamente recuperare, evitando tuttavia analisi piatte e semplicistiche delle altre dimensioni, dalla cui relazione reciproca scaturisce una certa formazione economico-sociale, ossia l’intero. D’altra parte, come è noto, è quello che insegnava Engels quando parlava di relazione reciproca tra le varie istanze sociali e della determinazione in ultima istanza (quindi del condizionamento esercitato in maniera indiretta attraverso molteplici mediazioni) della dimensione economico-sociale. Inoltre, lo stesso Marx osservava: “Per l’arte è noto che determinati suoi periodi di fioritura non stanno assolutamente in rapporto con lo sviluppo generale della società, né quindi con la base materiale, con l’ossatura per così dire della sua organizzazione. Per esempio i greci paragonati con i moderni, o anche Shakespeare”. E a ciò aggiungeva che gli autori greci “continuano a suscitare in noi un godimento estetico e costituiscono, sotto un certo aspetto, una norma e un modello inarrivabili”, a causa del fatto che le loro opere sono connesse alla fanciullezza dell’umanità legata a condizioni storico-sociali, che non si possono più presentare.
Negli ultimi decenni molti hanno parlato di una rinascita del marxismo [2] soprattutto quando la crisi economica, iniziata negli anni ’70 imponendo il sorgere del cosiddetto neoliberalismo, con il quale secondo David Harvey le élite dominanti hanno riconquistato quanto avevano perso nei gloriosi ’30 anni del 900, ha distrutto i diritti conquistati dai lavoratori nei paesi capitalisti avanzati. Tuttavia, questa rinascita, almeno nell’occidente avanzato, si è manifestata solo a un livello intellettuale elitario, e purtroppo bisogna registrare uno scollamento tra gli intellettuali e le masse popolari colonizzate dalle molteplici varianti delle ideologie dominanti. Scontente delle misure anti-stato sociale, prese per reagire alla crisi, dall’inefficienza delle istituzioni pubbliche, hanno creduto alla classica idea neoliberista e all’ideale del tutto astratto dell’individualismo, secondo cui in una società deregolamentata ci sarebbero stati maggiore libertà e maggiore benessere. Principi che concretamente si traducono nel trionfo della legge del più forte, ben rappresentata dall’espressione popolare “libera volpe nel libero pollaio”.
Certamente la rinascita del marxismo è legata al fatto che solo questo, nelle sue varie letture, è in grado di spiegare la crisi capitalistica nei suoi differenti aspetti, avendo portato alla luce le contraddizioni interne del capitale, il quale però con vari mezzi e con una certa abilità finora è riuscito a superarle, garantendo la sua circolazione e valorizzazione a danno dei lavoratori. A dimostrazione di quanto detto, Harvey racconta che, in occasione della crisi del 2007-2008, Elisabetta II si rivolse agli economisti ortodossi della London School of Economics per conoscere per quale ragione non avevano saputo prevedere quell’evento. La risposta si fece attendere sei mesi, dopo i quali gli interpellati risposero che non avevano tenuto in conto “il rischio sistemico” inerente alla dinamiche capitalistiche.
Dedico qualche parola al rapporto struttura/sovrastruttura, segnalando che generalmente i marxisti si sono allontanati dalla nozione di mero riflesso, adottata dalle impostazioni economicistiche, e hanno parlato di rifrazione, di articolazione tra struttura e sovrastruttura per cercare di cogliere la complessità della relazione tra i due livelli, distinguendo anche tra la cultura quotidiana che ha un rapporto più stretto con le dinamiche sociali (la pubblicità, la tv) e le più alte manifestazioni culturali, che se ne distanziano e che ripropongono problemi di una maggiore profondità storica.
Queste tematiche sono presenti nello stesso Marx, il quale nel libro primo del Capitale sviluppa il famoso parallelo tra l’ape e l’architetto: “Il nostro presupposto è il lavoro in una forma nella quale esso appartiene esclusivamente all'uomo. Il ragno compie operazioni che assomigliano a quelle del tessitore, l’ape fa vergognare molti architetti con la costruzione delle sue cellette di cera. Ma ciò che fin da principio distingue il peggiore architetto dall’ape migliore è il fatto che egli ha costruito la celletta nella sua testa prima di costruirla in cera. Alla fine del processo lavorativo emerge un risultato che era già presente al suo inizio nella idea del lavoratore, che quindi era già presente idealmente”. In altre parole, Marx sostiene che l’uomo che si appresta a una attività lavorativa è un individuo cosciente, e che quindi coscienza e lavoro sono indissolubili.
Come si è detto, il tema della capacità delle idee di plasmare in maniera profonda la nostra mente non è certo nuovo e si affaccia in maniera prepotente nel mondo contemporaneo, in cui a causa dello straordinario potere delle piattaforme digitali, del cosiddetto sistema GAFAM (Google, Apple, Facebook etc.), potente raccoglitore di dati e tracciatore dei profili degli utenti, del sistema di spionaggio interstatuale (i 5 occhi, relazione Google/Pentagono), appare ormai evidente quanto la nostra libertà sia una pia illusione. Lo stesso discorso vale per la tanto elogiata democrazia che, dipinta come un sistema egualitario, costituisce solo uno strumento per garantire e occultare un vero e proprio sistema oligarchico.
Già nel 1957 un autore statunitense, Vance Packard, analizzò il ruolo della pubblicità e della televisione con il suo libro I persuasori occulti, nel quale si prefigura in larga parte il nostro presente, in cui paradossalmente per valorizzare il nostro proprio io siamo schiavi di mode effimere e finiamo con l’assomigliarci tutti. Vittime di queste nefaste influenze sono soprattutto i giovani che non hanno un passato cui contrapporre il presente.
Questo desolante panorama è ben descritto in un libro pubblicato recentemente dalla Luiss University Press, Il capitalismo della sorveglianza di Shoshana Zuboff, nel quale si afferma che questo con le sue raffinate tecnologie si impadronisce dell’esperienza umana trasformandola in dati per indirizzare i nostri comportamenti. Questi dati vengono venduti alle transnazionali e costituiscono un patrimonio inesauribile e assai redditizio sulle nostre vite, sulle nostre tendenze anche politiche, sui nostri gusti. Al confronto il film sulla STASI La vita degli altri è una piacevole barzelletta. Ovviamente Google non si limita a collezionare le query (domande) sul suo motore: utilizza tutti i dati che può raccogliere su un utente per indirizzare la pubblicità che lo riguarda, dati che vanno a comporre il profilo di chi si avvale di questo strumento informatico.
Secondo la Zuboff “il capitalismo della sorveglianza” mira alle cosiddette economie di azione, le quali si fondano su “interventi che hanno lo scopo di migliorare la certezza della previsione effettuando un certo numero di azioni: spingono, regolano, stimolano, manipolano, modificano il comportamento in direzioni specifiche, il che può comportare l’inserimento di una particolare espressione nel feed di notizie Facebook o l’improvvisa apparizione di un pulsante «acquista» sul telefono”. Nonostante questa descrizione dell’oggi sia condivisibile, non è possibile concordare con la storia del capitalismo propostaci dalla Zuboff. Infatti, a suo parere, in precedenza il capitalismo sarebbe stato più rispettoso dei principi democratici e sarebbe degenerato a partire dal 2000 a causa dell’inventiva degli informatici e dello stato di emergenza imposto dopo l’11 settembre.
Comunque, è certo che qualsiasi battaglia per imporre idee diverse da quelle dominanti deve tenere conto di questi terribili aspetti del capitalismo attuale e anzi avvalersi in modo critico e creativo di questi avanzamenti tecnologici.
Credo che un ultimo tema da trattare riguardi il valore di verità delle ideologie. Si tratta di una questione complicata, perché se le idee derivano dalla vita sociale, non possono essere completamente distaccate da essa e debbono apparire verosimili per affermarsi; se non avessero questo carattere non sarebbero credute e accettate, come di fatto avviene. Per esempio, l’idea borghese che una persona ricca è migliore di una povera si fonda sul fatto innegabile, che la prima ha tanti privilegi e che la società riconosce il suo merito. Del resto, le numerose citazioni classiche di Marx mostrano come il denaro, la meretrice universale, sia in grado di trasformare gli individui, attribuendo loro qualità e talenti che non possiedono. Per fare un esempio più difficile, l’idea che la realtà sia un ammasso caotico di eventi – come sostengono molti postmodernisti – si fonda su di un fatto reale: siamo impotenti di fronte al sistema attuale, siamo in quella che qualcuno ha definito la crisi della direzione politica dei lavoratori, che si manifesta in forme di dissenso irrazionali, isolate e disorganizzate quando tutti siamo dinanzi allo stesso terribile mostro, purtroppo incapaci di reagire.
Cosa possiamo opporre a tutto questo con le nostre modeste forze? Direi analisi della società contemporanea sviluppate secondo il metodo dialettico, che ci mostra costantemente le due facce interrelate della realtà, facendoci scoprire che la sua dimensione positiva non esisterebbe senza quella negativa di cui si nutre voracemente. In particolare, il metodo dialettico deve essere usato per far emergere le relazioni di classe soggiacenti a tutti i fenomeni sociali, come per esempio le riforme della scuola e dell’università, che sono state trasformate in istituzioni addette alla formazione della forza lavoro adeguata a questo sistema. Solo in questo modo potremo svegliare l’interesse di classe e alimentare la coscienza dei lavoratori, mostrando l’altra faccia di un mondo sempre più disuguale e contraddittorio e svelando le cause di questi suoi caratteri.
Come scrisse Marx in un memorabile discorso del 1856, fatto in occasione del quarto anniversario del giornale operaio “The People’s Paper”: “Da un lato sono nate forze industriali e scientifiche di cui nessun’epoca precedente della storia umana ebbe mai presentimento. Dall’altro, esistono sintomi di decadenza che superano di gran lunga gli orrori tramandatici sulla fine dell’impero romano. Ogni cosa oggi sembra portare in se stessa la sua contraddizione. Macchine, dotate del meraviglioso potere di ridurre e potenziare il lavoro umano, fanno morire l’uomo di fame e lo ammazzano di lavoro. Un misterioso e fatale incantesimo trasforma le nuove sorgenti della ricchezza in fonti di miseria”.
Questo procedimento, secondo cui un fenomeno si rovescia nell’altro non annullandolo se non cambia il contesto complessivo, di cui si possono trovare molteplici esempi nell’opera di Marx, caratterizza l’impostazione di quest’ultimo, ma anche il suo straordinario stile letterario che impiega efficacissime metafore prese dalla letteratura universale, in cui questo capovolgimento viene perfettamente a incarnarsi.
Come ha notato Ludovico Silva, uno studioso venezuelano riferendosi ai Manoscritti economico-filosofici del 1844, Marx costruisce il suo procedimento dialettico attraverso “opposizioni concettuali che riflettono quelle sintattiche”, non sempre facili da seguire; d’altronde, nei Manoscritti egli affronta la tematica dell’alienazione, che si dispiega in una sorta di sdoppiamento del proprio io, opportunamente espressa stilisticamente “mediante lo sdoppiamento delle frasi, in composti di opposti lineari” (Silva, cit. nel bel saggio di Donatello Santarone, Umanesimo socialista e letteratura mondiale nell’opera di K. Marx, “Marxismo Oggi”, 2019).
Si deve ribadire che la dimensione letteraria in Marx non è in alternativa alla dimensione argomentativa della sua prosa scientifica. Tutta la sua scrittura è attraversata da una forte compenetrazione del letterario e dell’extraletterario per mostrare che i lati negativi e distruttivi di una società volta al mero profitto sono già stati sperimentati nella grande letteratura mondiale. Di qui la sua profonda capacità di catturare i lettori con le sue similitudini, le sue opposizioni, le sue osservazioni paradossali. Egli era perfettamente consapevole di questi tratti della sua prosa (soprattutto quella del libro primo del Capitale), giacché scriveva a Engels, che lo sollecitava a pubblicarlo, che il pregio dei suoi libri era quello di costituire “un tutto artistico”, ossia un insieme che prima di essere pubblicato doveva squadernarsi nella sua completezza dinanzi ai suoi occhi (Santarone, aprile 2019).
Che occorra sviluppare analisi di questo tipo dei vari aspetti della società contemporanea e che sia indispensabile trovare i mezzi adeguati all’oggi per diffonderle nel tentativo di riempire il vuoto che ci separa dalle masse è evidente, benché purtroppo non siamo dotati delle qualità di Marx.
Come ci dimostrano Stuart Hall e David Harvey, la battaglia delle idee che fecero con grande successo gli intellettuali organici al capitalismo, le varie fondazioni e università per imporre l’ideologia neoliberale e trasformarla in senso comune, distruggendo gradualmente ogni forma di coscienza di classe, fu condotta certo con un’altra prospettiva ma con un accanito impegno, sostenuto da straordinari mezzi. Impegno che non ci deve venir meno, osservando le insistenti manifestazioni di protesta, che scuotono alcuni paesi capitalistici e esprimono malessere e un barlume di consapevolezza della necessità del cambiamento.
Ancora una volta il richiamo non può essere che alle parole di Marx: “Il nostro motto dev’essere dunque: riforma della coscienza non mediante dogmi, ma mediante l’analisi della coscienza mistica, oscura a se stessa, sia che si presenti in modo religioso sia in modo politico. Apparirà chiaro allora come da tempo il mondo possieda il sogno di una cosa della quale non ha che da possedere la coscienza, per possederla realmente” (Lettera a Ruge del 1843, cit. in Santarone 2019).
Note:
[1] Un concetto centrale della sociologia francese, a cavallo tra Ottocento e Novecento, è quello di rappresentazioni collettive, ossia quelle rappresentazioni che ogni individuo deriva dalla vita sociale.
[2] Alla rinascita nei paesi occidentali corrisponde il processo di sinizzazione del marxismo che si sta sviluppando tra gli intellettuali cinesi e che qui mi limito a segnalare.