“Il bambino non è un essere vuoto, che deve a noi tutto ciò che sa e di cui l’abbiamo riempito. No, il bambino è costruttore dell’uomo, e non esiste uomo che non sia stato formato dal bambino che egli era una volta. Ciò che la madre crea è il neonato, ma è il neonato che produce l’uomo.”
Maria Montessori, da La mente del bambino. Mente assorbente
Parlare di Maria Montessori è un compito arduo poiché sia in Italia che all’estero, in questi decenni, la sua opera ha cominciato a riscuotere il successo che merita e si può incorrere nel rischio della ripetizione. Al netto di libri, giochi e attività educative che molti producono nel suo nome [2], anche se in modo non sempre fedele, il suo lascito è davvero imponente e, forse, ancora non del tutto compreso.
Il pensiero di Maria Montessori ha avuto il destino di essere sempre, sostanzialmente, fuori moda: all’inizio ha pagato il fatto di essere donna in una comunità, quella scientifica di inizio Novecento, di uomini; ha poi subito la censura fascista perché ritenuto troppo individualista; in seguito è caduto nel dimenticatoio proprio perché individualista in una società che, almeno a parole, cominciava a propugnare l’universalismo.
Nella fase odierna in cui ogni ideologia o ideale sembrano fuori moda, però, la Montessori ritrova credibilità perché il suo pensiero, fondato su solide basi scientifiche, suscita rispetto e attenzione come, forse, quello di pochi altri pensatori.
Andiamo a ritroso e cerchiamo di capire chi era Maria Montessori.
Nata nel 1870 a Chiaravalle, figlia di una famiglia della media borghesia marchigiana, viene indirizzata agli studi da entrambi i genitori ma soltanto la madre incoraggia il suo desiderio di intraprendere la strada della medicina, che il padre ritiene materia maschile. La madre, che la spunterà, fa leva sul monito di papa Leone XIII che indica nella medicina la materia più prettamente femminile (e il motivo lo sa solo lui...).
La madre sarà il sostegno per ogni scelta della figlia, sia quelle professionali che personali.
Nonostante l’accoglienza non proprio inclusiva dei colleghi universitari, Maria Montessori si laurea in medicina nel 1896 ed è tra le prime tre donne a raggiungere l’obiettivo in Italia. Le materie in cui eccelle sono psichiatria, igiene e pediatria, che diverranno i pilastri del suo pensiero.
Negli anni dell’apprendistato si appassiona al tema dei bambini “anormali”, come allora venivano definiti, e alla possibilità di inserirli nella società.
Trascorre il primo conflitto mondiale in Spagna; al ritorno aderisce al Partito Fascista ma ben presto avrà da pentirsene. Lombardo Radice e altri luminari del ventennio, inizialmente attratti dal suo pensiero, ben presto cominciano ad avversarla perché la ritengono troppo scientifica, con l’aggravante di essere propensa al riconoscimento del valore della donne. Per questo motivo, pian piano perde l’appoggio e il sostegno della comunità medica.
A causa dell’ostracismo di cui diviene vittima per la vita autonoma che conduce [3] e per il pensiero innovativo che professa, negli anni della Seconda guerra mondiale vive in domicilio coatto a Adyar, nel Sudest dell’India, dove ha sede la società teosofica di cui fa parte.
Grazie a questo periodo di sostanziale confino, ha la possibilità di venire a contatto con le realtà più degradate di quel grande continente e di sviluppare ulteriormente le sue ricerche sulle potenzialità della mente del bambino.
La vita di Maria Montessori è un percorso a ostacoli di cui il più pesante sembra essere il rapporto con il maschile: dal padre che non la vuole medico alla comunità scientifica che la denigra; dal professor Giuseppe Montesano, suo mentore, da cui avrà un figlio che lui non riconoscerà mai, all’avversione di Mussolini per la sua personalità. Tutto ciò, però, non ha in alcun modo indebolito la sua volontà di offrire ai bambini un mondo alla loro portata, in grado di comprenderli, accettarli e valorizzarne le caratteristiche per farne donne e uomini autonomi.
Il bambino “completo” di Maria Montessori
Il percorso montessoriano, come abbiamo visto, parte dallo studio dei bambini con problemi psichiatrici; non a caso sceglierà la neuropsichiatria quale indirizzo di specializzazione.
Secondo lei, il metodo applicato su bambini “frenastenici” [4] era ugualmente valido su quelli che non mostravano patologie psichiatriche. Montessori identifica il bambino quale essere completo, “capace di sviluppare energie creative e possessore di disposizioni morali” [5]. L’adulto dimentica ciò che è stato in nuce e comprime le proprie potenzialità; sta quindi alla pedagogia rinforzarle finché sono attive, così da non renderle vane. Per far ciò, secondo Montessori, il principio fondante è la “libertà dell’allievo”, che ne favorisce e potenzia la creatività intrinseca.
Questo semplice ma rivoluzionario concetto fa tremare le cattedre dei pensatori fascisti che, nella loro povera libertà di giudizio, immaginano scuole di bambini ribelli e sovversivi, indotti dalla cattiva maestra Montessori a seminare caos nel loro ordinato orticello. Niente di più sbagliato, in realtà, perché la scienziata sa bene quanto l’ordine incida sul buon esito dello studio e della crescita personale. La disciplina è il fine del percorso montessoriano; non mera disciplina da bacchetta sulle dita, però, bensì consapevole percorso verso la realizzazione delle proprie peculiari capacità. Un bambino che abbia avuto la possibilità di svilupparsi in modo libero e incoraggiato dagli adulti a percorrere autonomamente la propria strada, sarà un adulto in grado di porsi interrogativi, comprendere il perché delle proprie scelte e incidere positivamente sulla società.
Le Case dei Bambini
Così come farà anche un altro grande pedagogista italiano, Mario Lodi, con la sua Casa delle Arti e del Gioco, anche la Montessori utilizza il termine “casa” per le sue scuole, oggi diffuse in tutto il mondo.
Rispetto alle altre, le scuole montessoriane hanno la caratteristica di essere realmente pensate a misura di bambino. Non sono ambienti per adulti a cui i bambini debbano adattarsi ma viceversa. Solo per fare un esempio banale: gli interruttori della luce sono ad altezza dei bimbi ed è l’adulto a doversi piegare. Ogni oggetto è dimensionato sui bambini che lo utilizzano e che così hanno la possibilità di rapportarsi con una realtà a propria misura. Ciò favorisce l’autonomia e di conseguenza la possibilità di pensare e agire in modo indipendente.
È importante sottolineare che la prima Casa dei Bambini nasce nel 1907 a San Lorenzo, uno tra i quartieri più degradati della capitale, e accoglie sia bambini sani che con problemi psichici. L’interazione tra queste due realtà e la “normalità” che viene colta è uno dei grandi traguardi di tutto il pensiero montessoriano. Il bambino è in grado di adattarsi alla diversità dell’altro; ciò che conta è lasciargli il tempo e lo spazio per farlo. Questa semplice ma fondamentale ispirazione dovrebbe essere seguita oggi con particolare attenzione. Nella nostra multietnica società, infatti, sono i bambini a poter fare da ponte tra chi viene da fuori e chi accoglie. Con i bambini, ci dice la Montessori, non occorrono parole ma gesti: il bambino guarda e, in qualche modo, assimila. La personalizzazione dell’esperienza diviene essa stessa nuova esperienza; esempio e modello. Imparando da solo il funzionamento delle cose, il bambino diviene tramite di comprensione tra il mondo adulto e quello che arriva da fuori. È inutile, per esempio, spiegare come funziona un gioco; ciò che davvero crea l’esperienza è fornire il materiale e rimanere a disposizione, senza imporsi. Lasciare spazio e tempo affinché l’intelligenza infantile riesca a far funzionare il gioco oppure, perché no, cambiarne le regole e creare il nuovo dal già visto.
L’educazione cosmica
Uno dei concetti a nostro avviso più potenti del pensiero montessoriano è quello di “educazione cosmica”, ossia: favorire un senso di responsabilità e di consapevolezza nei confronti della rete di relazioni che collega l’individuale al multiplo, il microcosmo al macrocosmo. In parole semplici, Montessori incoraggia l’adulto a lasciare che il bambino sviluppi l’empatia, il senso di responsabilità e di appartenenza a un intero di cui egli è un componente minimo. Se ogni bambino avesse questa possibilità, vedremmo uscire dalle nostre scuole nuovi cittadini; protagonisti e non sudditi; creativi e non esecutori. Se non avessimo visto che ciò può funzionare, anche in contesti realmente difficili (come San Lorenzo a inizio Novecento o l’India degli anni Quaranta) potremmo credere che sia utopia ma non lo è. È solo molto più faticoso e, inizialmente, meno gratificante. L’adulto, infatti, non è più il maestro che elargisce il sapere ma un custode attento; un ammiratore della creatività e dell’intelligenza infantile che da sola riesce e produrre la meraviglia.
Note:
[1] cit. da: Maria Montessori, Educazione per un mondo nuovo, Milano, Garzanti, 2028 (a cura di C. Grazzini).
[2] Con l’occasione del settantesimo anniversario dalla morte (avvenuta nel 1952) in Italia sono fiorite numerose pubblicazioni indirizzate sia a un pubblico di specialisti sia di carattere divulgativo, sul metodo educativo montessoriano. Anche se non tutte di uguale valore scientifico, hanno però il merito di aver riacceso il dibattito sul tema e di aver spinto educatori e insegnanti a confrontarsi con questa ineguagliata conoscitrice della mente del bambino. Per quanto concerne i giochi educativi di “marchio” montessoriano, anche se spesso il legame è davvero flebile, vanno però tutti nella direzione dell’autonomia e dell’ndipendenza del bambino e ciò, in una società di gamer compulsivi, ha già di per sé un grande merito.
[3] In seguito alla relazione con il professor Giuseppe Montesano, Maria Montessori ha un figlio, Alessandro, che non sarà mai riconosciuto dal padre. Costretta a non riconoscerne la maternità, lo affida a una famiglia di Vicovaro (nella campagna romana) e in seguito lo fa crescere in collegio. Alla morte di sua madre, Maria può prendere il figlio con sé ma ufficialmente ne parla come di un nipote affidatole. Solo con l’apertura del testamento materno, nel 1952, Alessandro potrà dichiarare al mondo la verità. Montesano, dopo anni di relazione professionale e affettiva, abbandona Maria e si sposa con un’altra donna. Da quel momento, lei vestirà in nero fino alla fine dei suoi giorni, a testimonianza del lutto per la morte del suo grande amore.
[4] Con questo termine si indicava, fino a tutta la prima metà del 'Novecento, la galassia delle malattie psichiatriche. Il significato era legato al concetto di “debolezza”, “insufficienza” mentale. Con lo sviluppo delle neuroscienze, il termine è stato sostituito da “psichiatria”.
[5] Maria Montessori, La scoperta del bambino, Milano, Garzanti, 1950 (prima ediz. Ital.)