Ci sono personaggi che, grazie al contributo che danno allo sviluppo del pensiero, riescono a superare le barriere cui la loro stessa appartenenza sembrerebbe condannarli. Uno di questi, certamente, è don Lorenzo Milani, prete fiorentino, educatore raffinato e visionario, di cui quest’anno celebriamo il centenario dalla nascita.
Ciò che rende a nostro avviso unica l’esperienza di don Milani è la sua totale apertura al mondo dell’infanzia, la sua capacità di entrare in rapporto con i bambini e di realizzare con e per loro esperienze che, a tutt’oggi, sembrano ancora avveniristiche.
Lorenzo Milani nasce a Firenze il 27 maggio 1923 e muore, sempre a Firenze, il 26 giugno del 1967. La famiglia da cui proviene è una delle più in vista della città; da parte materna è erede del filologo Domenico Comparetti, di cui Lorenzo e i fratelli acquisiranno il cognome per volontà dello stesso Comparetti. La famiglia paterna è ebrea, anche se non praticante. Alla promulgazione delle leggi razziali, i genitori chiedono l’intercessione del vescovo per far battezzare i loro figli e salvarli così dalla persecuzione fascista.
Lorenzo entra in seminario giovanissimo, per propria scelta, suscitando non poco stupore in famiglia. Mostra da subito un attaccamento filiale ed estremo all’istituzione che lui chiamerà sempre “la ditta”.
La ditta si comporterà in modo davvero poco materno nei confronti di don Lorenzo, sempre criticato per le sue posizioni di difesa dei ceti più deboli e per la convinzione che ogni bambino abbia diritto all’istruzione. Altra spina nel fianco della curia fiorentina sono le sue posizioni antimilitariste, espresse soprattutto nel volume L’obbedienza non è più una virtù [1], pubblicato nel 1965, per il quale il Priore (come lo hanno sempre chiamato i suoi ragazzi) subirà un processo il cui secondo grado verrà interrotto dalla morte dell’imputato. Fino al 2014 L’obbedienza non è più una virtù non è stato accettato dalla Chiesa.
In questo testo, che nel periodo corrente torna a essere di estremo interesse, Milani e i suoi ragazzi argomentano con lucidità la dignità dell’opporsi alla guerra. Il vescovo di Firenze, monsignor Florit, sarà il più acerrimo oppositore di don Milani e scriverà sul suo diario personale che tale posizione rappresenta un’offesa alla nazione italiana [2]. Le posizioni pacifiste di don Milani lo condannano alla Sospensione a Divinis, che è la massima pena cui può essere sottoposto un sacerdote. Tanto per rendere l’idea della gravità, in questi anni di scandali vaticani ben pochi preti pedofili subiscono analoga pena.
Quando scoppia la polemica con i cappellani militari, Lorenzo Milani è già stato spostato da tempo a Barbiana, minuscola parrocchia del Mugello, in cui non arriva né luce né acqua. Barbiana è stata la “punizione” infertagli perché uomo dalla schiena sin troppo dritta, che combatte ogni giorno della propria vita per dare dignità ai bambini delle famiglie più povere. Nonostante la vera e propria violenza che subisce da parte della Ditta, Lorenzo Milani rimane fino in fondo un figlio devoto e fedele, che mai alzerà la voce per difendere se stesso. Accusato di essere un “prete rosso” sia dalla destra che dalla Curia fiorentina, in realtà don Milani professerà sempre una posizione di avversione al comunismo ma, al di là delle etichette e delle sensibilità personali, forse è stato comunista come pochi altri intellettuali italiani. Di fronte a tanta fede, facciamo un passo indietro e ci limitiamo a prenderne atto, perché la comprensione di ciò esula dal tema di questo articolo, che si incentra sull’educatore Milani.
Il diritto di dividere tra stranieri e italiani
A nostro avviso, la pedagogia del Priore Milani, peraltro mai invecchiata, ha acquisito nuovo valore alla luce dei processi migratori che in questi decenni interessano il nostro paese. Come i suoi contadini analfabeti e denutriti, molti dei bimbi che nascono in Italia da genitori migranti partono con lo stesso gap: situazioni famigliari difficili, scarsissime possibilità di essere seguiti nello studio, povertà educativa. Come quelli di San Donato e Barbiana, anche questi hanno bisogno di essere “rinforzati”, di acquisire conoscenze ed entrare a far parte di un contesto sociale in cui si sentano accolti e partecipi.
“Se voi avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri, allora io reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni sono la mia patria, gli altri i miei stranieri.” [3]
Una frase del genere, risalente al lontanissimo 1965, appare avveniristica nella scuola italiana dei nostri giorni, in cui lo “straniero” viene ancora spesso vissuto come un problema, come un ostacolo da sopportare per gli anni dell’obbligo scolastico, senza quasi mai investire davvero su di lui/lei. Si dà per scontato che il famigerato ascensore sociale funzioni per loro meno ancora che per chi vanta origini italianissime e che, semplicemente, Mohammed, Keira, Daniel e Sarah non avanzeranno in niente rispetto ai genitori. Li condanniamo a essere inferiori rispetto a noi, a prescindere dalle capacità personali e alle inclinazioni. Chi scrive conosce la difficoltà delle dinamiche che si instaurano tra famiglie straniere e insegnanti italiani, e non sottovaluta affatto gli ostacoli che la differenza di esperienze e retroterra culturale produce. Se è difficile confrontarsi tra simili, è difficilissimo farlo tra persone che non ragionano neppure nella stessa lingua, ma ciò rappresenta la meta per cui dobbiamo lavorare. Tutte le bambine e i bambini che frequentano la scuola italiana devono avere le stesse opportunità di apprendimento e crescita, e non solo sulla carta. Ciò, però, come intuiva don Milani, è impossibile se non dotiamo TUTTI di strumenti efficaci, primo tra tutti la lingua. Molti dei bambini che frequentano la nostra scuola a casa parlano in una lingua diversa dall’italiano e, soprattutto nella sfera affettiva, che attiene alla madre-lingua, non riescono a esprimersi come noi; da ciò deriva un senso di frustrazione e di estraneità che soltanto una scuola davvero alla portata di tutti potrebbe combattere. Don Milani tutto ciò l’aveva capito prima di tutto: prima del ’68, della contestazione giovanile e di ciò che da essi è derivato. Ad oggi, però, la sua pedagogia è in gran parte lettera morta. Forse troppo difficile da realizzare, forse utopistica: di fatto non attuata.
Nelle parole dei ragazzi di Barbiana, raccolte in Lettera a una professoressa [4], c’è la spiegazione più lucida e chiara della pedagogia di Lorenzo Milani:
“A poco a poco abbiamo scoperto che questa è una scuola particolare: non c’è né voti, né pagelle, né rischio di bocciare o di ripetere. Con le molte ore e i molti giorni di scuola che facciamo, gli esami ci restano piuttosto facili, per cui possiamo permetterci di passare quasi tutto l’anno senza pensarci. Però non li trascuriamo del tutto perché vogliamo accontentare i nostri genitori con quel pezzo di carta che stimano tanto, altrimenti non ci manderebbero più a scuola. Comunque ci avanza una tale abbondanza di ore che possiamo utilizzarle per approfondire le materie del programma o per studiarne di nuove più appassionanti. Questa scuola dunque, senza paure, più profonda e più ricca, dopo pochi giorni ha appassionato ognuno di noi a venirci. Non solo: dopo pochi mesi ognuno di noi si è affezionato anche al sapere in sé… Prima l’italiano perché sennò non si riesce a imparar nemmeno le lingue straniere. Poi più lingue possibile, perché al mondo non ci siamo soltanto noi. Vorremmo che tutti i poveri del mondo studiassero lingue per potersi intendere e organizzare fra loro. Così non ci sarebbero più oppressori, né patrie, né guerre.”
Non c’è nulla di più ingiusto che far parti uguali tra diseguali [5]
Nella scuola delle tre “i”, e poi di tutte le altre artificiali innovazioni che abbiamo visto sfilare negli ultimi decenni, questo semplice concetto sembra ancora lingua morta. Se è vero che abbiamo BES (bisogni educativi speciali) e altre attenzioni per chi è portatore di problematiche oggettive, è anche vero che i bambini provenienti da altre culture, o anche dal disagio ambientale all’interno di italianissime famiglie, non vengono davvero accolti. Per far ciò, insegna don Milani, è necessario dare loro più di quanto diamo a chi non parte svantaggiato. Ciò perché l’uguaglianza è una meta e non un dato di partenza. Ognuno dei nostri bambini è diverso dall’altro e ognuno necessita di attenzioni e cure particolari. È necessario che l’educatore veda le differenze e non se le nasconda, perché solo così può appianarle.
“Avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani, per cui l’obbedienza non è ormai più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni, che non credano di potersene far scudo né davanti agli uomini né davanti a Dio, che bisogna che si sentano ognuno l’unico responsabile di tutto” [6].
Con la semplicità del maestro abituato a parlare ai piccoli, don Lorenzo li incita a non nascondersi dietro scuse e giustificazioni; bisogna essere cittadini ed esercitare doveri e diritti con dignità e impegno, perché dal contributo di ognuno dipende il futuro di tutti. La scuola di Barbiana metteva il pensiero critico al centro di ogni insegnamento. Nulla veniva mai appreso in modo passivo, ma tutto era posto sotto il setaccio dell’analisi personale e del gruppo. Ogni singola nozione o notizia veniva analizzata da ciascun allievo, perché dal sentire di ognuno si potesse costruire un’opinione condivisa. In anticipo di decenni, don Milani usa tecniche come il cooperative learning, il pear to pear, il circle time, e lo fa con naturalezza, intuendo che dallo scambio tra pari, dalla messa in gioco di ciascuno e dallo scambio di saperi e interessi, passa la possibilità di crescere e apprendere.
“A nostra difesa però c’è che ognuno di noi è libero di lasciare la scuola in qualsiasi momento, andare a lavorare e spendere, come usa nel mondo. Se non lo facciamo non crediate che sia per pressione dei genitori. Tutt’altro! Specialmente quelli che abbiamo già preso la licenza siamo continuamente in contrasto con la famiglia che ci spingerebbe al lavoro e a far carriera. Se diciamo in casa che vogliamo dedicare la nostra vita al servizio del prossimo, arricciano il naso, anche se magari dicono di essere comunisti. La colpa non è loro, ma del mondo borghese in cui sono immersi anche i poveri. Quel mondo preme su di loro come loro premono su di noi. Ma noi siamo difesi da questa scuola che abbiamo avuto, mentre loro poveretti non hanno avuto né questa né altra scuola.” [7]
Note:
[1] Don Lorenzo Milani e i ragazzi di Barbiana, L’obbedienza non è più una virtù, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze, 1965.
[2] diario personale del cardinale Florit, 6 marzo 1965.
[3] da L’obbedienza non è più una virtù.
[4] da Lettera a una professoressa, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze, 1967 (il testo esce postumo, rifinito dai ragazzi di Barbiana all’indomani della morte del Priore).
[5] ibidem
[6] da L’obbedienza non è più una virtù.
[7] da Lettera a una professoressa.