Oggi il panorama dei partiti politici europei si divide tra un polo di centro-sinistra progressista e un polo conservatore di centro-destra. Dal punto di vista della filosofia politica, il primo si può definire neoliberista e semilibertario. Nello specifico, libertario sulle questioni morali, sessuali, religiose, ma autoritario e invasivo, sin nei dettagli, sulla vita economica e sugli scambi in denaro e merce dei cittadini, in un modello di “uguaglianza” estremamente burocratizzata dei diritti civili formali e dimenticanza dei diritti sociali: pari diritti alla nascita, pari diritti “astratti”. La libertà in campo etico favorisce le trasformazioni culturali, aprendo al mercato – quindi all’espansione capitalistica – nuovi bisogni e nuovi spazi.
D’altra parte i partiti dell’area di centro-sinistra hanno abbracciato il tema del “cambiamento climatico”, con particolare riguardo alla questione della produzione di anidride carbonica, responsabile dell’effetto serra (fattore fondamentale, ma tuttavia non unico del reale e gravissimo dissesto dell’ecosistema terrestre in corso), conducendo una complessa, difficile e obiettivamente ambiziosa impresa a medio termine di transizione in ambito tecnologico-digitale, che dovrebbe in teoria salvare il pianeta, spostando sì gli equilibri tra diversi capitali, ma senza intaccare il capitalismo in quanto tale, né la crescente drammatica polarizzazione della ricchezza nella popolazione europea e mondiale.
Per un più completo inquadramento delle attuali tendenze politiche, è utile ricordare che i partiti del polo di centro-sinistra al governo si sono caratterizzati anche per un energico e sollecito interventismo allo scoppio della pandemia covid-19, con politiche di controllo sociale poliziesco e di limitazione delle basilari libertà personali per contenere i contagi: probabilmente, in carenza di un adeguato sistema sanitario, conseguente ad anni di politiche neoliberiste e tagli delle spese sanitarie, tali misure hanno comunque contenuto in maniera significativa i decessi, peraltro risultati altissimi. Tuttavia tale drammatica esperienza non ha suggerito ai governi, né di centro-destra né di centro-sinistra, di attrezzare i sistemi sanitari pubblici, deficitari e sottodimensionati, investendo in strutture e personale per fronteggiare possibili future pandemie (oltre che per garantire la salute e le cure mediche in tempi “normali”). La spesa pubblica destinata allo Stato sociale infatti è sempre più carente, mentre aumentano, in questi tempi, senza opposizione, le spese militari. È ad ogni modo intuibile che le direttive decisioniste e le tecnologie messe in atto e sperimentate per contrastare la pandemia potranno tornare utili ai governi in caso di future esigenze di controllo sociale, per qualsivoglia ragione.
L’altro polo, il centro-destra e la destra, non si discosta molto nelle politiche economiche, salvo una relativamente ridotta invasività burocratica sulla vita economica dei cittadini e delle imprese, a vantaggio comunque di queste ultime. Nel campo etico esso si caratterizza per una difesa ideologica dei valori tradizionali: popolo, patria, religione di Stato, famiglia tradizionale, ordine e contrasto dell’immigrazione – in forme disumane e con esiti tragici –, e così via; in campo economico tende a adottare politiche liberiste più favorevoli ai capitali nazionali rispetto a quelli transnazionali e riduzione delle tasse – più populisticamente annunciata che realizzata –, mentre non è al primo posto la tutela dell’ambiente.
Nonostante il grande astensionismo del voto, la scelta elettorale dei cittadini, in questi anni, sta premiando sempre più i conservatori e quella che segue potrebbe esserne una spiegazione. Vero o falso che sia, il futuro ci disegna scenari cupi, se non catastrofici, quali crisi economica in Europa, con riduzione del potere di acquisto dei salari e arretramento del livello di vita della classe media e nessuna speranza di miglioramento della classe povera, crisi climatica, aumento dei rischi idrogeologici, eventi metereologici estremi, aumento del livello del mare, accresciuto rischio di guerre mondiali e nucleari, pandemie, flussi migratori incontenibili e via dicendo. Dunque, in assenza di qualsiasi prospettiva di speranza di miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini e anzi in prospettiva di un peggioramento, il comportamento umano più istintivo consiste nel resistere e nel contrastare i cambiamenti di ogni genere, per tentare di mantenere quel minimo benessere ancora posseduto. Non solo le classi medie e la piccola borghesia, ma anche le stesse classi popolari – che pure negli anni ’70 erano vicine ai movimenti ecologisti quando questi si opponevano agli interessi della classe capitalistica – oggi non possono permettersi di appoggiare quelle trasformazioni tecnico-produttive contro il riscaldamento globale che vedono protagonista una classe dirigente legata agli interessi dei grandi capitali transnazionali finanziari e industriali, la quale farà senza dubbio pagare ai lavoratori e alle classi popolari, oltre che alla classe media, il costo, enorme, di tali trasformazioni. La preoccupazione riguardo al futuro favorisce dunque i partiti conservatori e securitari, “antiprogressisti”.
Ci si può chiedere se gli squilibri dell’ecosistema abbiano già superato il “punto di non ritorno”, non tanto in termini assoluti, cioè della possibilità teorica di fermare la catastrofe – probabilmente almeno in parte ancora contenibile – quanto in termini di reale disponibilità dell’umanità ad impegnarsi effettivamente per invertire la rotta, accettando dei costi altissimi che le classi dirigenti mondiali non potrebbero che scaricare prevalentemente sui lavoratori. La reazione, per lo più non cosciente, a questa drammatica situazione, è alla base della negazione dello stesso problema climatico: un vero processo collettivo di rimozione psichica del trauma irrisolvibile, analogamente a quanto occorso con la negazione della pandemia di covid-19, considerata – e non solo da pochi soggetti paranoidi – un’invenzione dei complottisti. Anche per queste ragioni gli elettori si spostano a destra, verso partiti conservatori, tanto più che gli stessi programmi di riconversione energetica previsti dai partiti del polo “progressista” non appaiono molto chiari né pienamente realizzabili e risolutivi. Il sistema capitalistico, che si basa sull’aumento di consumi e sprechi, e che è responsabile dei danni all’ecosistema, in definitiva non sembra strutturato per impegni così vasti, profondi e a lungo termine, che dovrebbero snaturarne i principi, mettendo al primo posto gli interessi collettivi e la cooperazione umana, anziché la concorrenza e la massimizzazione del profitto privato.
Un’ultima considerazione riguarda la psicologia delle masse e lo sviluppo ideologico: perché mai in questi ultimi decenni, quantunque il capitalismo, almeno in Europa, non produca un aumento di benessere nelle masse, ma, al contrario, polarizzazione delle ricchezze, strapotere e nuove forme di sfruttamento, e dove quindi le condizioni oggettive per una rivoluzione comunista sarebbero massime, mancano come non mai le condizioni soggettive, allontanandoci da possibili prospettive in tale direzione o di trasformazione sociale? Si può ipotizzare, tra le spiegazioni, la circostanza storica che i pur difettosi e parziali tentativi di alternativa al capitalismo, sorti dalle lotte del secolo passato, sono stati sconfitti, vanificando ogni speranza di successo: di conseguenza l’attuale visione del mondo, pur pessimistica e persino distonica nei confronti dello stesso capitalismo, è incapace persino di “immaginare” la costruzione di un sistema alternativo. Paradossalmente, se negli anni ’70 i comunisti potevano ironizzare sugli slogan degli estremisti della cultura sessantottina quali “l’immaginazione al potere!”, o negli anni ’90 quelli dei Social Forum del movimento No Global di “un mondo diverso è possibile!”, sulla base del fatto che la rivoluzione va fatta non fantasticata, oggi una tale critica sarebbe del tutto incomprensibile, dacché un sistema alternativo non viene neppure pensato.
Se le cose stanno così, non può meravigliare – ed è nella natura umana – che i lavoratori anziché organizzarsi collettivamente e cooperare per lottare contro il sistema capitalistico di sfruttamento, si facciano la concorrenza tra loro, competano tutti contro tutti, si pestino i piedi per il posto di lavoro ed il salario migliore possibile. Oggi, in chiave ideologica, forse, a giocare un ruolo antirivoluzionario, più che l’imborghesimento del proletario, fattore importante nel dopoguerra, è piuttosto la disperazione verso il futuro. Tale situazione favorisce infatti l’isolamento degli individui, proprio l’opposto della coscienza di classe necessaria all’organizzazione della lotta, che costituisce la condizione soggettiva necessaria a una prospettiva rivoluzionaria.
Per tentare, oltre che un chiarimento, una via di uscita da questo cul de sac, bisognerebbe riprendere l’insegnamento di Marx che ci mostra come la sovrastruttura scaturisca, in ultima istanza, pur in maniera dialettica e non rigidamente determinata, dalla struttura. Infatti, questa mancanza di speranza in un futuro positivo, con le discusse conseguenze ideologiche individualiste e conservatrici, dipende proprio dalla evidenza indubbia che il sistema economico capitalistico effettivamente non produce più progresso per l’umanità. Proprio da questa consapevolezza dovrà pur partire, primo o poi, se non sarà troppo tardi (incombe il rischio di una guerra nucleare che chiuderebbe ogni discorso progettuale), un nuovo internazionalismo dei lavoratori che indichi che “il sol dell’avvenire” per l’umanità tutta è imprescindibile dall’abbattimento del capitalismo quale modo di produzione nel nostro pianeta.