Domenico Losurdo – anche prima dell’ultima grande opera da lui pubblicata [1] – in molti suoi testi, riesamina la distinzione tra “marxismo occidentale” e “marxismo orientale” che risale a Perry Anderson [2]. Tale questione è affrontata da Losurdo, in particolar modo, nel saggio “Marxismo occidentale” e “marxismo orientale”: una scissione infausta e nel saggio Come nacque e morì il “marxismo occidentale”, [3]. Accenni significativi su tale tema sono rintracciabili anche nel libro su Gramsci: Antonio Gramsci dal liberalismo al «comunismo critico» [4].
I due diversi approcci del marxismo sono dovuti, a parere di Losurdo, alla differente condizione storica dell’Occidente rispetto all’Oriente. Losurdo prende le mosse dal 1917: sia in Occidente, sia in Oriente, è al centro del dibattito la denuncia leniniana dell’imperialismo [5]. Mentre in Occidente l’imperialismo è condannato, oltre che per il massacro della guerra, anche perché sinonimo di irreggimentazione, militarizzazione e mobilitazione totale, così “lo Stato-nazione” era considerato “il Moloch sanguinario che sacrificava milioni di uomini alla sete di dominio e agli interessi del grande capitale” [6], in Oriente lo Stato nazionale era invece l’obiettivo da conseguire dopo l’emancipazione dal dominio coloniale. Ciò che in Oriente fa breccia dell’analisi di Lenin sull’imperialismo è la pretesa degli Stati imperialisti di arrogare solo a se stessi il privilegio di formare lo Stato e di fondare la propria ricchezza sul saccheggio e la rapina degli altri popoli. Ora, tra queste due interpretazioni non c’è, per Losurdo, contraddizione. In entrambe le posizioni viene preso di mira il capitalismo nella sua fase imperialista, pure se da prospettive diverse. Parliamo di due diverse lotte per il riconoscimento: nel caso dell’Occidente sono protagonisti la classe operaia e le masse popolari in genere che non vogliono essere più carne da macello a disposizione del potere dominante; nel caso dell’Oriente i protagonisti sono popoli interi che devono emanciparsi da anni e anni di umiliazioni dovute al giogo coloniale [7]. La contrapposizione tra “marxismo occidentale” e “marxismo orientale” avviene in seguito, ovvero dopo la nascita dell’Unione sovietica e al sorgere, in tale regime, delle prime difficoltà. Tale divaricazione si acutizza con la crisi del socialismo reale e si evidenzia con la contrapposizione tra marxisti che sono al potere e marxisti che sono all’opposizione “che si concentrano sempre più sulla «teoria critica», sulla «decostruzione», anzi sulla denuncia del potere e dei rapporti di potere in quanto tali. È qui propriamente l’atto di nascita del «marxismo occidentale», che progressivamente nella sua lontananza dal potere ritiene di individuare la condizione privilegiata per la riscoperta del marxismo «autentico», non più ridotto a ideologia di Stato” [8].
In questa dichiarazione di superiorità da parte del marxismo occidentale c’è, a parere di Losurdo, dell’ipocrisia. Il tanto celebrato ritorno a Marx da parte dei marxisti occidentali comporta l’oblio della questione coloniale, dimenticando che lo stesso Marx aveva sempre condannato l’ipocrisia della società borghese, il cui vero volto si mostrava proprio nelle colonie, dove emergeva in modo più evidente la sua barbarie. La pur giusta critica al socialismo reale, da parte di diversi esponenti del marxismo occidentale, rischia di diventare, a parere di Losurdo, un’apologia del regime liberale in quanto, con la sua ottica eurocentrica, dimentica la questione coloniale e finisce, come fanno Antonio Negri e Michael Hardt, con l’assimilare socialismo e nazionalismo: “vengono tranquillamente accostati e assimilati due paesi, di cui il primo ha dato un poderoso impulso al processo di decolonizzazione e il secondo si è proposto di ereditare e radicalizzare la tradizione coloniale, sino al punto di considerarla attuale nella stessa Europa orientale” [9]. Quindi, se è vero che le società socialiste hanno finito per cancellare la democrazia formale, è anche vero che esse “hanno stimolato la richiesta di democrazia ed emancipazione” [10] proveniente soprattutto dai popoli coloniali e di origine coloniale, le cui rivendicazioni sono state invece soffocate dalle società democratico-borghesi.
I marxisti orientali, da Ho Chi Minh a Mao fino a Castro, non hanno mai contrapposto lotta di liberazione nazionale e internazionalismo, considerando la prima momento necessario del secondo, non venendo così meno alla formula della Logica hegeliana “secondo cui l’universale dev’essere tale da abbracciare in sé «la ricchezza del particolare»” [11]. La lotta di liberazione nazionale è così una tappa fondamentale, a parere di Losurdo, del cammino verso l’universalismo, verso “quello che Gramsci definisce l’«umanesimo integrale»” [12]. Diversamente stanno le cose nel marxismo occidentale che, da Adorno a Negri, fedele a una visione astratta dell’universale, ha messo in contrapposizione le lotte di liberazione nazionale con l’internazionalismo e l’universalismo, non accorgendosi come la stessa lotta di liberazione nazionale è una forma della lotta di classe. Così paesi come la Cina e il Vietnam che, per consolidare la raggiunta indipendenza nazionale, hanno intensificato al massimo lo sviluppo delle forze produttive, si sono guadagnati ai giorni nostri il disdegno dei “reduci del marxismo”.
Se è vero che, come pensano i marxisti occidentali, la lontananza dal potere [13] permette un maggiore esercizio della critica è anche vero, secondo Losurdo, che più difficile, in tale posizione, risulta la comprensione della storia e dei suoi conflitti e, invece, è più facile assumere un “atteggiamento idealistico e in ultima analisi” di “fuga dalla storia” [14]. Il marxismo occidentale ha così, secondo Losurdo, rappresentato “involontariamente due fondamentali figure delle filosofia hegeliana”: la saccenteria del dover essere, che si appaga della critica senza trovare possibili soluzioni o alternative e l’anima bella allorché “gode della lontananza dal potere come di una condizione della propria purezza. Forse non è un caso che ai nostri giorni riscuota grande successo a sinistra un libro che già nel titolo invita a «cambiare il mondo senza prendere il potere» [15]. L’autodissoluzione del marxismo occidentale si configura qui come l’abbandono del terreno della politica e l’approdo alla religione” [16].
Losurdo, a partire dalla critica al cosiddetto marxismo occidentale, elabora il suo originale ripensamento del marxismo, da cui si dipana il suo marxismo eterodosso, di cui occorrerà individuare i punti salienti e gli aspetti maggiormente problematici.
Note:
[1] Losurdo, Domenico, Il marxismo occidentale. Come nacque, come morì, come può rinascere, Laterza, Roma-Bari 2017.
[2] Cfr. Anderson, Percy, Il dibattito nel marxismo occidentale, Laterza, Roma-Bari 1977.
[3] Cfr. rispettivamente Losurdo, D., “Marxismo occidentale” e “marxismo orientale”: una scissione infausta, in Höbel, Alexander e Albertaro, Marco, Novant’anni dopo Livorno. Il Pci nella storia d’Italia, Editori Riuniti, Roma 2014, pp. 17-50 e Id., Come nacque e morì il “marxismo occidentale”, in a cura di Cingoli, M., e Morfino, V., Aspetti del pensiero di Marx e delle interpretazioni successive, Edizioni Unicopli, Milano 2011, pp. 395-418.
[4] Cfr. Id., Antonio Gramsci dal liberalismo al “comunismo critico”, Gamberetti Editrice, Roma 1997, in particolar modo il capitolo VII.
[5] Cfr., in particolare, Lenin, Vladimir I. U., L’imperialismo fase suprema del capitalismo, in Id., Opere complete, Editori Riuniti, Roma 1955-70, Vol. 22.
[6] Losurdo, D., Come nacque…, op. cit., p. 413.
[7] cfr. Id., “Marxismo occidentale”…, op. cit., pp. 17-22.
[8] Id., Come nacque…, op. cit., p. 413.
[9] Ivi, p. 414.
[10] Ibidem.
[11] Ivi, p. 415.
[12] Ivi, p. 416.
[13] La politica di emancipazione al di fuori e a distanza dallo Stato è, in modo esemplare, un assioma del pensiero di uno dei principali esponenti dell’odierno marxismo occientale: Badiou.
[14] Ivi, p. 415.
[15] Losurdo si riferisce al libro di John Holloway: Cambiare il mondo senza prendere il potere. Il significato della rivoluzione oggi, tr. it. di Sergi, V., Carta, Roma 2004.
[16] Ivi, p. 417.